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Israele accusato di genocidio: inizia al Tribunale dell’Aia il procedimento voluto dal Sudafrica

Israele accusato di genocidio: inizia al Tribunale dell’Aia il procedimento voluto dal Sudafrica

Con l’accusa di aver violato la Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio (UN Genocide Convention), adottata all'unanimità dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 9 dicembre, il Sudafrica ha trascinato Israele (che aderisce alla Convenzione) di fronte alla Corte Internazionale di Giustizia, organismo delle Nazioni Unite con sede all’Aia. Sul sito della Corte si legge che domani e dopodomani prenderanno il via le udienze chiamate a fare luce sulle accuse mosse a dicembre dagli avvocati sudafricani, secondo i quali il reale intento di Israele – che ha scatenato un’offensiva sulla Striscia di Gaza dopo gli efferati attentati di Hamas del 7 ottobre – è quello di eliminare la popolazione residente nella Striscia di Gaza. Il Sudafrica chiede dunque ai giudici dell’Aia di emanare misure urgenti – applicabili anche in presenza di un semplice dubbio da parte della Corte sulle accuse mosse, anche prima che si arrivi a conclusione del procedimento – per interrompere provvisoriamente l’azione genocidaria di Israele nei confronti delle popolazioni rinchiuse e bombardate nella Striscia, ridotte alla fame, alle quali è preclusa ogni possibilità di trovare riparo e di ricevere aiuti umanitari.

Nelle 84 pagine della Procedura di Istituzione della Domanda si punta il dito contro l’iniziativa genocidaria condotta nella Striscia, contro l’inazione del governo israeliano per evitare il genocidio in atto e per prevenire ogni forma di istigazione istituzionale a commetterlo. Primi responsabli dello stato di cose, il presidente della repubblica Isaac Herzog e il primo ministro Benjamin Netanyahu.

Ricorda il periodico comboniano Nigrizia in un articolo odierno che questa iniziativa rappresenta «solo l’ultima di una serie di provvedimenti intrapresi dopo il 7 ottobre» dal Sudafrica, «che ha sostenuto con costanza la causa palestinese fin dalla fine del regime di apartheid, terminato nel 1994. Pretoria, che all’inizio del conflitto si era anche offerta come mediatrice, ha convocato anche una riunione di emergenza del gruppo dei BRICS sul tema a novembre. Il Paese mediorientale ha criticato duramente la denuncia sudafricana alla Corte dell’Onu, accettando di difendersi in sede di tribunale ma avvertendo Pretoria che “la storia la giudicherà senza pietà” per essersi resa “complice” di Hamas. Il presidente Herzog ha definito l’azione sudafricana “atroce e insensata”. Gli Usa hanno invece bollato come “priva di qualsiasi merito” l’iniziativa legale sudafricana». Sottolinea ancora Nigrizia che però, a fronte delle dure accuse mosse dal blocco pro-Israele, numerosi Paesi (su tutti i 57 membri dell'Organizzazione della Cooperazione Islamica) e realtà della società civile internazionale guardano con interesse all’intraprendenza del presidente sudafricano Cyril Ramaphosa.

Il mensile dei comboniani chiarisce anche un altro aspetto della questione: il Tribunale dell’Aia sulla carta ha potere vincolante, per via dell’adesione dei due Paesi alle Nazioni Unite (e quindi alla Corte) e alla UN Genocide Convention. Oltre ai tempi lunghi del procedimento, quello che manca alla Corte è un sistema di organismi che possano attuare le sue decisioni, come dimostra l’ordine provvisorio del 2022 che obbligava la Russia a interrompere l’aggressione all’Ucraina. Ordine del tutto ignorato. A titolo esemplificativo ricordiamo anche che l’organo giudicante dell’Onu, nel 2004, aveva chiesto a Israele di fermare la costruzione del muro di separazione, definendolo contrario al diritto di autodeterminazione e di libertà di movimento dei palestinesi e al diritto internazionale, in quanto stabilisce un’annessione di fatto. Anche questo pronunciamento della Corte è stato ignorato da Israele.

Sarebbe comunque importante il peso politico e mediatico di un’eventuale parere favorevole all’accusa: «Un’eventuale sentenza a favore di Pretoria – spiega ancora Nigrizia – metterebbe un’enorme pressione su Tel Aviv e, forse soprattutto, sui suoi alleati più vicini e sostenitori in termini di armi e finanze, in modo particolare gli Stati Uniti e diversi Paesi dell’Unione Europea. Per fare un esempio, continuare a fornire armi a un Paese che sta commettendo un genocidio costituirebbe una violazione delle leggi statunitensi ed europee e rischierebbe di aggravare i già accessi dibattiti politici interni sulla questione, oltre che l’opposizione della società civile».

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