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Il Conclave. È inarrivabile l’ideale sociale di Francesco?

Il Conclave. È inarrivabile l’ideale sociale di Francesco?

Cari amici,

Si ha un bel chiudere con i chiavistelli le porte della Cappella Sistina, e montare i fumaioli per i fumi, nero e bianco, due simboli mondani dell’impermeabilità della Chiesa al mondo esterno, che più mondani di così non potrebbero essere. Altro che ospedale da campo! Ma il mondo fa egualmente irruzione nel Conclave, attraverso la decisione di Netanyahu e del suo governo al completo, di scatenare i “carri di Gedeone” per occupare tutta la Terra di Gaza, ripulita della presenza palestinese.

Quale altro evento, di analoga portata, potrebbe piombare sulla Chiesa, discendente da Abramo secondo la carne, a ispirarne la scelta e a farla correre di nuovo al sepolcro vuoto di Gerusalemme? Se nel prossimo Conclave gli elettori del Papa gireranno la testa dall’altra parte, potrà essere eletto qualunque cardinale di cui si è fatto il nome in questi giorni. Ma se guarderanno allo stato del mondo, più che un cardinale essi dovranno eleggere una Chiesa che esprima un Papa capace di affrontare le gravissime crisi che oggi sconvolgono la Chiesa universale e il mondo.

Due sono oggi le crisi che più gravemente sfidano il Vangelo. La prima è quella di Gaza, nella quale il genocidio in corso infligge alla storia che stiamo vivendo il vulnus di una crudeltà e di una violenza che non credevamo oggi possibile, mentre secondo la parola culminante di Gesù alla Samaritana “la salvezza viene dai Giudei” (vangelo di Giovanni). Questa parola viene oggi smentita non solo per quanto riguarda i Palestinesi, e probabilmente gli stessi Ebrei di Israele, ma la stessa pace del mondo. Inoltre la tragedia di Gaza rischia di travolgere anche la storia futura, nella quale secondo la promessa dovrebbe giungersi alla ricomposizione dell’intera famiglia umana, quando “tutto Israele sarà salvato” (lettera ai Romani).

Questo doveva essere invece “il tempo favorevole”, il kairòs del tempo di ora. La Chiesa pertanto, intesa nell’accezione più larga attribuitale da papa Francesco come “popolo di Dio” non può non farsi carico di questa contraddizione e non considerarla prioritaria, anche rispetto ad aspettative e riforme pur necessarie nella presente vita e sviluppo della compagine ecclesiale. Perciò le Chiese, non solo la cattolica romana, ma anche le altre che stanno vivendo la tragedia del Vicino Oriente e di Gaza, sono particolarmente coinvolte nelle scelte di questo Conclave.

La seconda crisi che mette più gravemente in questione non solo il Vangelo ma l’intera profezia biblica, è il rovesciamento del mandato di Gesù di istituire (e preparare) la pace, “non come il mondo la dà”. Secondo Isaia la pace non come il mondo la dà starebbe nel non imparare più l’arte della guerra (cioè “disimpararla”) e nel mutare le spade in aratri e le lance in falci. Per tutta la storia si è fatto il contrario (“se vuoi la pace prepara la guerra”) ma oggi le proporzioni di questo rovesciamento sono inaudite, non solo per il volume del mercato delle armi e per la trasformazione in armi dei principali mezzi di produzione (e ora anche delle “terre rare”), ma qui da noi anche per l’esplicita e proterva volontà politica dell’Europa di abbandonare la sua momentanea dedizione alla pace e di farsi un esercito da almeno 800 miliardi di dollari, nel contempo alimentando e perpetuando la guerra tra la Russia e l’Ucraina.

Qui le Chiese implicate sono le Chiese europee, quelle ortodosse, ora più che mai scisse, e quella cattolica, sicché la dimensione ecumenica del problema si aggiunge a quella diplomatica e politica; e qui dovrebbero particolarmente essere chiamate in causa le Chiese in Europa che hanno una più avanzata tradizione non di gelida neutralità, ma di profezia della pace.

È possibile attivare queste dinamiche di eccezionale portata, contro la tentazione di ricadere nell’abitudine e nell’ovvio dopo il carismatico ministero di papa Francesco? Potrà la società, potrà l’etica pubblica assecondare questa “nuova creazione” nonostante il pensiero unico dominante, contro il senso comune laico che regola la comunicazione sociale? Certo è una sfida alla secolarizzazione. Ma questa è davvero così compiuta? L’entità del consenso che si è manifestato in occasione del funerale di papa Francesco, che però era tangibile anche prima, dimostra che il commiato dalla fede non è così generalizzato come si ritiene, non è sostituito nel migliore dei casi da una generica spiritualità; e anche l’ipocrisia del compianto di molti leaders, tanto sottolineata, non era forse così diffusa: se tutti davvero fossero così falsi e malvagi non ci sarebbe nulla da sperare, perché sono purtuttavia questi potenti, o quelli che riusciremo a mettere al posto loro, che debbono cambiare il corso delle cose. E davvero è così inarrivabile l’ideale sociale propugnato da papa Francesco? Egli proponeva a tutti cose semplici e familiari, la pace, la pietà, il soccorso in mare, carceri più umane, ricordarsi dei vecchi, non bombardare i bambini: chi davvero poteva non volerlo? E anche la misericordia di Dio, l’inferno vuoto: a chi non piacerebbe? Papa Francesco non era a capo di un’agenzia umanitaria, svelava una nuova prossimità di Dio. I post-teisti non c’erano arrivati, avevano scoperto che, con la modernità, Dio non lo si può pensare nell’alto dei cieli: ma perché, prima stava lì? Francesco ha spiegato, e mostrato con la sua vita e la sua morte, che più che dichiararlo perduto, si tratta di incontrarlo altrove: meta-teisti, un più di Dio, non post-teisti, un Dio che c’era, ed ora non c’è più.

Con i più cordiali saluti,

“Prima Loro” (da un’idea pubblicata sul Fatto Quotidiano del 6 maggio 2025).

*Foto ritagliata di BriYYZ tratta da Flickr

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