Nessun articolo nel carrello

Woodstock di Dio?  Il Giubileo dei giovani e il rischio dell’illusione collettiva

Woodstock di Dio? Il Giubileo dei giovani e il rischio dell’illusione collettiva

Il seguente articolo è ripreso dalla pagina Facebook di Rocco Femia, giornalista, produttore musicale e teatrale in Francia, fondatore della rivista Radici, che l'ha postato in data di ieri 3 agosto.

Più di un milione di giovani si sono riversati nella piana infinita di Tor Vergata per incontrare Papa Leone XIV. Una folla immensa, un entusiasmo autentico, una logistica impeccabile, un’energia che sembra sfidare il disincanto del nostro tempo. Eppure - lasciatemelo dire - anche questa volta mi porto via un dubbio antico: che cosa resta davvero?

Ho vissuto tante Giornate Mondiali della Gioventù. Ricordo quella indimenticabile di Buenos Aires con Giovanni Paolo II, dopo la prima celebrata a Roma. Ero giovane anche io, era tanto tempo fa, e avevo fede nel fatto che la Chiesa potesse, con questi raduni, cambiare la storia. Portare Cristo nel cuore delle nuove generazioni. Vedere, sentire, sperare. Ma oggi, da cristiano più inquieto e da giornalista meno ingenuo, mi interrogo con forza: che cosa muovono davvero questi grandi eventi? Cosa resta una settimana dopo, un mese dopo, un anno dopo?

Siamo ancora qui, in una Chiesa che raduna milioni di giovani per pochi giorni, ma fatica a generare cammini di vita vera. Una Chiesa che sa riempire le spianate, ma non sempre accende comunità capaci di accogliere, ascoltare, cambiare insieme. Una Chiesa che parla di pace, ma non smuove i governi che fanno la guerra. Che commuove, ma raramente converte. Perché non è riempiendo parrocchie che si misura la forza del Vangelo, ma nella capacità di generare vite sovversive, coraggiose, autentiche. E su questo, il divario tra l’entusiasmo collettivo e la trasformazione quotidiana è ancora troppo ampio.

Questi giovani che gridano “siamo qui!” con la forza dell’età e della fede - chi sono davvero? Rappresentano le mentalità del loro tempo, o sono una minoranza esaltata, benintenzionata ma poco incisiva? Possono davvero cambiare la logica violenta, consumista, ipocrita del nostro mondo? E soprattutto: quanto questi eventi rispondono alla sete di Vangelo e quanto, invece, ne replicano solo le forme, gli slogan, l’apparato?

Non voglio essere ingiusto. C’è un cuore pulsante di generosità, di ricerca, di bellezza. Lo si vede nei canti, negli abbracci, nelle lacrime. Ma questo cuore finisce stritolato tra due illusioni: da una parte l’idea che basti “esserci” per cambiare; dall’altra quella che basti la macchina organizzativa per convertire.

No, non basta.

Anzi, il rischio è che tutto questo sia – mi si perdoni l’irriverenza - una Woodstock cattolica. Un’orgia collettiva di emozioni religiose, che lascia un vuoto maggiore di quello che pretendeva di colmare.

E in tutto questo, un Papa canonico, ordinato, che richiama all’obbedienza più che alla rivoluzione evangelica, non riesce ad aprire davvero nuove strade. Parla, ma non sorprende. Benedice, ma non inquieta. È lì, eppure sembra assente alla domanda più radicale del Vangelo: «Vuoi davvero cambiare?». Anche quando risponde alle domande dei giovani – sull’amicizia vera, sul coraggio di scegliere, sul modo concreto di incontrare Cristo – le sue parole, pur sincere e talvolta toccanti, restano chiuse dentro la liturgia dell’atteso. Non scuotono. Non rompono. Non aprono brecce. Come se l’istinto di proteggere la forma avesse ancora la meglio sulla necessità di cambiare il corso.

Forse mi sbaglio, ma preferisco condividervi quello che sento.

E poi devo dire che, in mezzo a quel milione di giovani, ho riconosciuto anche tanti volti noti. Ragazzi e ragazze che vivono in mondi ovattati, dove non manca nulla: figli del nostro Occidente benestante, più esperti di filtri Instagram che di Vangelo, più pronti a documentare l’emozione che a viverla fino in fondo. Giovani cresciuti tra comfort e immagini, dove il senso viene spesso sostituito dall’effimero, la profondità dall’apparenza. E allora mi chiedo: cosa resta, il giorno dopo, di questo bagno di speranza? Cosa succede quando tornano nelle loro stanze ordinate, negli schermi infiniti, nei like istantanei? Quella luce che sembrava vera, resterà accesa?

Tra quelle voci, ne ho ascoltate due che non riesco a dimenticare. La prima è quella di Pilar, una ragazza sudamericana che ha parlato con forza, senza retorica. Ha detto che la Chiesa, se volesse, potrebbe denunciare con chiarezza le ingiustizie dei poteri economici e politici che opprimono i più deboli nei suoi Paesi. Non ha nulla da perdere, ha aggiunto, e tutto da guadagnare. Ma resta spesso prudente, se non muta, come se avesse ancora paura di perdere qualcosa: consensi, equilibri, privilegi. La sua era una voce che chiedeva giustizia, non soltanto misericordia.

Poco più distante da lei, una ragazza romana, che ieri sera ha preso la parola durante la veglia con una naturalezza spiazzante. Figlia di una famiglia benestante, cresciuta tra scuole d’élite e viaggi europei, ha raccontato con leggerezza il suo percorso di fede. Eppure, nel suo sguardo, nel tono sereno con cui parlava di Dio, si percepiva una distanza profonda dal dramma degli esclusi. Mi è tornata in mente l’immagine del ricco e del povero, del protetto e del precario. E in quella distanza mai davvero colmata, forse, si gioca oggi la vera rivoluzione evangelica – o il suo fallimento.

Forse è tempo di smettere di attendere, ogni volta, un Papa che cambi la storia. L’abbiamo sperato, con cuore sincero. Abbiamo anche sognato un nome, Giuseppe, capace di scardinare gli automatismi del potere e restituire al Vangelo la sua forza sovversiva. Quel sogno resta, ma non si è realizzato. E forse ora tocca a noi. Non sarà un discorso a cambiare il mondo. Né un raduno, né una messa oceanica, né una benedizione pronunciata dall’alto. Il cambiamento, se verrà, nascerà da vite spezzate e fedeli, da relazioni disarmate, da una fede che non cerca riflettori ma si sporca le mani ogni giorno. Verrà da chi smette di aspettare segni straordinari e comincia a vivere il Vangelo come insurrezione quotidiana contro la paura, contro l’odio, contro l’egoismo.

Non c’è niente di più rivoluzionario.

E niente di più necessario.

*Foto ritagliata di Derek Redmond and Paul Campbell tratta da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza

Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.

Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!

Condividi questo articolo:
  • Chi Siamo

    Adista è un settimanale di informazione indipendente su mondo cattolico e realtà religioso. Ogni settimana pubblica due fascicoli: uno di notizie ed un secondo di documentazione che si alterna ad uno di approfondimento e di riflessione. All'offerta cartacea è affiancato un servizio di informazione quotidiana con il sito Adista.it.

    leggi tutto...

  • Contattaci

  • Seguici

  • Sito conforme a WCAG 2.0 livello A

    Level A conformance,
			     W3C WAI Web Content Accessibility Guidelines 2.0

Sostieni la libertà di stampa, sostieni Adista!

In questo mondo segnato da crisi, guerre e ingiustizie, c’è sempre più bisogno di un’informazione libera, affidabile e indipendente. Soprattutto nel panorama mediatico italiano, per lo più compiacente con i poteri civili ed ecclesiastici, tanto che il nostro Paese è scivolato quest’anno al 46° posto (ultimo in Europa Occidentale) della classifica di Reporter Senza Frontiere sulla libertà di stampa.