Il Sinodo cattolico da una prospettiva protestante
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 44 del 13/12/2025
Da un punto di vista evangelico il processo sinodale avviato durante il pontificato di papa Francesco e ora portato avanti da papa Leone XIV appare fondamentale sia per la Chiesa cattolica stessa, sia per il rapporto con le altre Chiese, sia come segno in una società che fa sempre più fatica a comunicare. Il processo sinodale risponde a varie sfide del presente. Oggi non è più concepibile che un’istituzione autoritaria prescriva alla gente cosa deve credere e fare, visto che ogni singola persona vuole essere coinvolta nella ricerca della verità spirituale e morale. Questo era già stato riconosciuto con il Concilio Vaticano II, che sottolineava la Chiesa come popolo di Dio. La sinodalità risponde a questa esigenza aprendo spazi di partecipazione ed è quindi una necessità per rimanere in contatto con la gente, motivo per cui è importante applicarla a tutti i livelli, dalla parrocchia al vertice.
Analogie e differenze
Anche se viene osservato attentamente da parte evangelica, il sinodo è in primo luogo un processo che riguarda la Chiesa cattolica stessa. Essendo una Chiesa presente in tutto il mondo e in tutte le culture deve mettere insieme mentalità differenti. È un problema che anche le Chiese evangeliche incontrano nelle loro federazioni mondiali, ma in modo differente, in quanto le Chiese nazionali sono normalmente autonome per cui si possono avere anche delle posizioni differenti. Un secondo problema più grave, in parte sovrapposto al primo, è la differenza tra tradizionalisti e progressisti. Questo conflitto si ritrova anche nelle Chiese evangeliche, ma qui succede che le persone più estremiste o lasciano la Chiesa o formano un’altra Chiesa autonoma. Questo è diverso nella Chiesa cattolica considerato il ruolo centrale dell’ecclesiologia, di conseguenza qui il conflitto tra tradizionalisti e progressisti è più acuto.
Il dialogo apre al cambiamento
In quest’ottica, una cultura del dialogo è indispensabile e probabilmente l’unica via per tenere insieme le voci divergenti. Anche se si tratta di un processo necessario, non è la soluzione per tutti i problemi e nasconde varie insidie. Innanzitutto non è da aspettarsi che il Sinodo possa fermare il declino del ruolo e dell’importanza della Chiesa all’interno della società, fenomeno che ha cause ben più profonde. Questa circostanza diviene spesso pretesto per non promuovere il rinnovamento, ma il rinnovamento, anche se da solo non basta per invertire la crisi della Chiesa, è comunque necessario per rimanere connessi a un mondo in evoluzione.
Le aspettative sono comunque importanti. Dialogare a livello di istituzione è un processo lungo e impegnativo. Quando c’è un vento di cambiamento e le aspettative sono alte, come era per esempio al tempo del Vaticano II, il dialogo può essere entusiasmante e coinvolgente. Viceversa, quando le aspettative sono basse, il processo diventa faticoso e frustrante. Mi sembra che in questa fase prevalgono ancora le aspettative positive, ma cosa succederà se alla conclusione di questa fase sinodale, nel 2028, non ci saranno conseguenze concrete?
Una evidente contraddizione
Un evidente problema è che tutto dipende dal papa: la sinodalità è stato avviata da papa Francesco, papa Leone XIV ha continuato il processo, ma avrebbe potuto anche non farlo così come un papa futuro potrebbe abolire questo progetto. Manca una base giuridica-costituzionale per la sinodalità. Anche l’attuazione dei risultati dipende interamente dal papa o, a livello locale, dal vescovo. Finché un papa o un vescovo hanno la buona volontà la sinodalità funziona. Ma farne dipendere il funzionamento dalla buona volontà dei singoli pare altamente problematico.
Comunque, non è (ancora) tempo di lamentarsi, perché il processo è ancora all’inizio e, andando avanti, i metodi saranno perfezionati. Sicuro è che il processo cambia la Chiesa, per ché la risposta a una domanda dipende sia dalle metodologie della trattativa sia da coloro cui si rivolge la domanda. Così il metodo sinodale e l’inclusione di laici e di donne porterà a risposte differenti, se non nella sostanza, almeno nella forma.
Donne, laici e viri probati
Vista l’inclusione dei laici e delle donne possiamo aspettarci alcuni risultati del processo sinodale: uno potrebbe essere quello di dare maggiore potere decisionale ai laici, cioè di rinforzare ulteriormente il ruolo dei processi sinodali. Un’altra richiesta sarà quella di dare più spazio alle donne. Potrebbero venir richiesti anche la facoltatività del celibato dei sacerdoti o l’affidamento di uffici sacerdotali a viri probati. Da un punto di vista evangelico queste sarebbero richieste salutari, richieste che altrimenti difficilmente potrebbero arrivare da organi ecclesiali composti solo da vescovi o cardinali, ma che invece nel popolo di Dio vengono sentite. Il clero ha comunque la tendenza – e parlo per esperienza personale come pastore – a vivere in un mondo parallelo in cui si muove all’interno delle strutture ecclesiali, incontra persone credenti ed è assorbito da questioni ecclesiali. Avere una componente laica che può ricordare i problemi e sentimenti al di fuori delle mura ecclesiali appare molto salutare.
Il nodo dell’ecumenismo
Un’altra richiesta dei laici potrebbe essere una maggiore apertura ecumenica. Ad esempio, in Germania ci sono cattolici ed evangelici in numero uguale, per cui si vive insieme, si lavora insieme e ci sono molti matrimoni misti. La gente non capisce bene perché ci dovrebbe essere una divisione ecclesiale. Nel 2020, dopo molti anni di dialogo, la Chiesa cattolica tedesca voleva ufficializzare una prassi già molto diffusa come l’ospitalità ecumenica, cioè permettere a un evangelico di partecipare all’eucarestia cattolica, cosa che d’altronde in casi eccezionali è già prevista dalla dottrina cattolica. Poco prima della votazione finale della Conferenza episcopale, il Vaticano ha fermato tutto. Mi è sembrato un chiaro segno di quanto il clero romano si fosse allontanato dalle esigenze e dal sentire del popolo di Dio. Coinvolgere la voce dei laici potrebbe quindi anche essere positivo per le relazioni ecumeniche.
Polarizzazioni e resistenze
Tutti questi cambiamenti in spe troveranno la resistenza dei tradizionalisti, ma anche i progressisti saranno probabilmente delusi dai cambiamenti per loro troppo lenti e cauti. Infatti, accanto al processo sinodale, ha luogo una battaglia mediatica abbastanza violenta e diffamatoria tra tradizionalisti e progressisti. La speranza è che durante il processo sinodale emerga che le voci più estreme non sono poi così tante come sembra nei media e che infine si trovi una maggioranza abbondante per posizioni aperte, ma anche ancorate alla tradizione, e così il rinnovamento potrà essere supportato dalla maggioranza dei fedeli. Con le posizioni estreme in netta minoranza, verrà meno anche la loro influenza e tornerà la serenità all’interno della Chiesa. Questo non succederà in una data precisa, ad esempio nel 2028, ma si stabilirà man mano, durante un processo che dovrebbe diventare parte integrante della cultura cattolica.
Autonomia e inculturazione
Una soluzione per alleviare i conflitti potrebbe essere quella di dare maggiore autonomia alle Chiese locali in modo da poter tenere conto delle culture differenti in cui si trovano le Chiese. L’estrema uniformità in tutto il mondo si è sviluppata solo in seguito alla riforma protestante e l’onnipresenza papale in tempo reale è possibile solo grazie ai mass media degli ultimi 100 anni. Perché non far decidere alle Chiese nazionali se vogliono il celibato dei sacerdoti, quali uffici vogliono affidare alle donne o quale aperture ecumeniche ritengono fattibili? Sono tutte questioni che dipendono molto dalla cultura circostante e non sono dottrine centrali della fede.
Il nodo della democrazia
Al momento siamo ancora ai primi passi del Cammino e non è per niente sicuro che il processo sinodale porterà buoni frutti. Anzi, il suo stesso futuro non è assicurato. Il processo sinodale dovrebbe essere curato come una piccola pianta e dovrebbe essere accompagnato dalla preghiera dei credenti, anche degli evangelici, perché la posta in gioco è alta. Oggi non solo in America la democrazia sembra minacciata, c’è uno scontro tra democrazia e autoritarismi, tra un capitalismo neoliberale e uno di responsabilità sociale e ambientale: due mondi tra i quali il dialogo è diventato pressoché impossibile. Se la Chiesa cattolica riuscisse a tenere insieme le voci divergenti al proprio interno e coinvolgerle in un dialogo, questo sarebbe un segno importantissimo di speranza per il mondo intero. La Chiesa ci riuscirà? Umanamente sembra difficile, ma niente è impossibile allo Spirito Santo.
Dieter Kampen è pastore evangelico tedesco, saggista, ha vissuto 20 anni a Trieste, dove è stato pastore prima della Comunità luterana e poi delle Comunità valdese e metodista. Da 5 anni promuove a Bolzano un progetto di evangelizzazione per la Chiesa valdese. È membro fondatore e presidente dell’Accademia di Studi Luterani in Italia (ASLI).
*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza
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