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Sinodo: quale parto per una montagna?

Sinodo: quale parto per una montagna?

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 44 del 13/12/2025

La Chiesa cui appartengo ha struttura episcopale-sinodale, perciò una riflessione sulla sinodalità in cui, da parte di una Chiesa a struttura gerarchica, si ascolta direttamente la voce del laicato e le si dà diritto di voto, appare già in se stessa come un progresso significativo. Sarebbe stato bello, per un confronto più ampio, che anche Chiese diverse fossero invitate ai lavori sul loro territorio; non so se ciò sia in qualche luogo avvenuto, ma – a giudicare da quanto emerso – indico gli aspetti a mio avviso più interessanti per il dialogo ecumenico.

Battesimo e corresponsabilità

Il richiamo alla pari dignità battesimale di tutti i credenti inaugura uno stile di corresponsabilità, anche nei processi decisionali, la cui portata potrebbe essere davvero ampia, pensando a quanti ambienti rifiutino ancora di recepire il Concilio Vaticano II, o lo considerino più come un punto di arrivo che di partenza; nei decenni scorsi (Sinodo dei vescovi del 1985) avevamo visto sostituire la Chiesa “popolo di Dio” della Lumen Gentium con una “Chiesa comunione”, dimensione imprescindibile che, se non rimane collegata con quella collegiale di popolo, presta però il fianco all’autoritarismo. Con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI ci eravamo persino imbattuti nel divieto di discutere ulteriormente temi su cui la gerarchia avrebbe pronunciato un giudizio “definitivo” (parola adatta a chi viva nella storia?), mentre, a quanto sembra, il Sinodo ha francamente accettato di riproporne lo studio.

Sinodalità e liturgia

La relazione posta fra questi due aspetti della vita ecclesiale, con il richiamo a una liturgia significativa, accessibile e partecipata, e con la possibilità per i laici di guidare celebrazioni e tenere la predicazione, riporta la celebrazione stessa al cuore della vita concreta; è essenziale, in presenza di forti movimenti che, in nome del pluralismo, rivendicano di fatto il ritorno a un’ecclesiologia contraria al Nuovo Testamento, in cui l’evento liturgico è ridotto ad appannaggio clericale, avulso dalla vita, e di cui i battezzati sono tutt’al più destinatari.

Giustizia, pace, salvaguardia del creato

Né si può minimizzare lo spazio attribuito ai temi della pace e dell’emigrazione, collegate con la giustizia, e della salvaguardia del creato, di grande rilievo per il dialogo tra Chiese, in quanto riprende ciò che il Consiglio Ecumenico delle Chiese lanciava come urgenza già del 1984.

Interrogativi

Alcuni dubbi su un possibile pilotaggio del Sinodo, almeno per certi aspetti, emergono. Quanto, in taluni ambienti, il processo sinodale è stato realmente compreso e non piuttosto vissuto come una stravaganza di papa Francesco? In tal caso, sopportato per mera ubbidienza, sarebbe stato forzoso, all’antitesi della mentalità sinodale, e difficilmente sarebbe stata data realmente parola alla base.

Il numero di laici (e donne) era troppo esiguo per avere un peso decisionale, e sorge il sospetto che siano stati scelti in quanto favorevoli alle posizioni che si volevano assumere (alcune delle esperte convocate erano pregiudizialmente contrarie all’ordinazione femminile) a fronte di ampi movimenti di dissenso che pure esistono.

Si rilevano ambiguità e oscillazioni, e determinate materie controverse sono state alla fine sottratte alla discussione generale.

Cartine di tornasole…

Ritengo che tre siano le cartine di tornasole dei risultati, nonché le vie da seguire per un sostanziale progresso del dialogo fra Chiese e per evitare quel formalismo, intellettualismo e immobilismo che ridurrebbero le interessanti prospettive emerse a mera teoria, e contro cui già Francesco metteva in guardia.

1) Scomuniche? E perché mai? Ciò che più mi ha (felicemente) colpita è stato l’uso delle espressioni “Chiese cristiane sorelle” e “altre Chiese cristiane”, chiaramente non limitate all’ortodossia, e la corrispondente scomparsa dell’infelice (e arrogante) definizione di “comunità ecclesiali” per definire alcune Chiese considerate di serie B, così come la pretesa di essere “madre” delle altre Chiese da parte della Chiesa romana. Infatti l’espressione “comunità ecclesiali” compare soltanto tre volte, e in tutte sembra designare comunità interne alla Chiesa cattolico-romana; al singolare, ricorre quattro volte, e sempre per designare il cattolicesimo romano.

Al §12 si invitano tutti a una «continua conversione missionaria e sinodale», per umilmente ricercare e accogliere l’annuncio e la testimonianza dell’altro, e al §22 si riconosce il contributo «peculiare e indispensabile» delle diverse espressioni religiose e culturali, con l’invito ad assumere la propria parzialità «rinunciando alla pretesa di mettersi al centro e aprendosi all’accoglienza di altre prospettive», invito palesemente riguardante anche la Chiesa romana.

Riconoscere a tutti i battezzati piena dignità di Chiesa è un passo fondamentale; che però postula, come conseguenza necessaria, il riconoscimento della libertà di coscienza e anche di scelta della propria appartenenza ecclesiale. Oggi, chi sceglie di passare dalla Chiesa di Roma a un’altra Chiesa deve convivere col peso della scomunica latae sententiae (come eretico, scismatico e addirittura apostata!), e l’azione evangelizzatrice e liturgica di altre Chiese viene osteggiata con questo spauracchio, anche quando si rivolge a chi ha lasciato la fede.

Se si è raggiunta una miglior concezione della Chiesa Universale, la scomunica sia revocata in favore di rapporti critici ma fraterni, e si favoriscano la comune testimonianza e la condivisione di momenti sacramentali!

2) Ministero ordinato femminile. Risulta ormai incomprensibile (tranne che per certi ambienti) la resistenza che gli viene opposta, e che non recepisce né gli sviluppi dell’esegesi e delle scienze storiche, né le istanze di movimenti ben presenti e attivi all’interno della Chiesa romana, né la prassi di altre Chiese.

È importante che il dibattito, almeno sul diaconato, sia stato riaperto, ma ci saranno diversi scogli da evitare, per non condizionarlo in partenza: 

  • Lasciarsi sedurre da pseudo-valorizzazioni della donna, come quella di “femminilizzare” la Chiesa, polarizzazione di genere priva di valore teologico, o l’uso della stupenda immagine della Sposa e dello Sposo, che quando viene trasposta in termini di alterità di genere si converte però in ingenuo dato antropologico, e introduce surrettiziamente la suggestione della femminilità come ricettiva, passiva e subordinata.
  • Barattare il ministero ordinato con contentini in termini di autorità, di governo, o anche di predicazione, magari per sfiducia nella possibilità di un’evoluzione; il ministero non è rivendicazione di poteri o diritti; se di diritto si tratta, è il diritto di Dio di chiamare chi vuole e quello delle Chiese ad avere tutti i ministri che Dio suscita loro.
  • Inventare, per eludere le acquisizioni bibliche, storiche e archeologiche, un inedito ministero diaconale “istituito ma non ordinato”, quando è palese che donne sono state ritenute ordinate secondo i canoni del loro tempo.
  • Teorizzare una “clericalizzazione” della donna, ignorando sia che l’Ordine sacro femminile contribuirebbe a declericalizzarlo, sia che esso è stato introdotto prima di tutto proprio in Chiese a ordinamento sinodale. 

3) Persone LGBTIQ e loro famiglie. Sono rilevanti la condanna dell’omofobia e l’affermazione che le persone omoaffettive sono inserite pienamente all’interno della Chiesa, ma sarà ben difficile realizzare tale inserimento finché non saranno acquisite le nuove prospettive antropologiche ed esegetiche: solo così verranno riconosciuti la pluralità dell’esperienza affettiva e la dignità delle diverse famiglie.

Finché la condizione omoaffettiva sarà considerata un disturbo psicologico, ignorando la dichiarazione dell’OMS, che ha rimosso l'omosessualità dall'elenco delle malattie mentali nel 1990 (decisione che ratifica consensi scientifici risalenti al 1973), e si continuerà a proporre a chi la vive una forzata rinuncia alle espressioni sessuali dell’amore, si imporrà la rinuncia alla costruzione di nuclei familiari che potrebbero rivestire grande valore, nell’ambito della comune vocazione ecclesiale.

Un passo avanti, grande, ma ci si attende di più

Alla morte di papa Francesco ci chiedevamo se i suoi cauti (e a volte maldestri) spiragli innovativi sarebbero stati ulteriormente ampliati o nuovamente chiusi; ora, resta una situazione ambigua.

Una via potrebbe essere quella di non affrettarsi, per timore, a chiudere porte che poi sarebbero difficili da riaprire (ah, la trappola dell’infallibilità!), ma di tenere viva l’inquietudine, cercando di rispettare i tempi di maturazione dei diversi ambiti e culture, promuovendo un reale ascolto da parte di interlocutori diversi e producendo nel tempo un cambiamento di mentalità.

Le prospettive sono grandi, il rischio è che restino sulla carta; dal parto così travagliato possono nascere sia prospettive incalcolabili, sia un sorcetto imbalsamato! 

Teodora Tosatti è vescova della Chiesa Cristiana Vetero Cattolica in Italia. Biblista e teologa, è iscritta alla Sezione Professori dell'Associazione Biblica Italiana (ABI)

*Foto da Unsplash, immagine originale e licenza 

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