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La sinodalità alla luce di un’esperienza evangelica

La sinodalità alla luce di un’esperienza evangelica

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 44 del 13/12/2025

Quando ho sentito parlare per la prima volta del processo sinodale promosso da papa Francesco, il mio pensiero si è rivolto spontaneamente alla mia esperienza all'interno della Chiesa Evangelica delle Assemblee di Dio, a cui ho partecipato per quattro anni. Lì ho imparato che la Chiesa, più che un'istituzione gerarchica, è una comunità di credenti, dove tutti hanno voce e ogni membro è parte viva del corpo di Cristo. In quella comunità non c'erano distanze tra il pastore e la congregazione: lui guidava, ma lo faceva camminando insieme agli altri. Quella partecipazione attiva mi ha insegnato che la fede si costruisce in comune, nel dialogo e nell'ascolto.

Una chiesa di fraternità, lode e testimonianza

Quella comunità era caratterizzata dalla fraternità e dall'affetto reciproco. La lode occupava un posto centrale, come musica e come espressione di gratitudine e dedizione a Dio.

Una scuola di fede e la missione della vicinanza

Ricordo specialmente la figura del pastore Jesús Caramés Tenreiro, della chiesa di Ferrol, e l'esempio della sua famiglia. La loro vita familiare era una scuola di fede. E quella testimonianza trascendeva l'ambito domestico: a scuola, tra i vicini, nei rapporti con gli altri, si notava la differenza.

Ricordo anche la presenza dei missionari nordamericani, la famiglia Towner: io non capivo perché i missionari venissero in Spagna; pensavo che la missione fosse riservata ai Paesi del cosiddetto "Terzo Mondo". Tuttavia, compresi presto il profondo grado di secolarizzazione che viviamo in Europa e la necessità di una testimonianza cristiana anche qui. Il loro modo di annunciare il Vangelo era la vicinanza, una presenza silenziosa, costante e semplice.

Ascolto e discernimento in comune

In quella chiesa c’era anche una casa di accoglienza per persone senza dimora. Ogni venerdì condividevamo la cena con loro, e dopo c'era un momento di preghiera, lettura del Vangelo e dialogo. Quegli incontri erano un'esperienza intensa di comunità: amore, dedizione, fede condivisa. Era, in definitiva, una piccola immagine di ciò che intendo per sinodalità: camminare insieme, ascoltarci, discernere la volontà di Dio in mezzo alla realtà.

Il posto della donna nel ministero

Un altro aspetto che mi ha sempre colpito nella Chiesa Evangelica delle Assemblee di Dio è stata la partecipazione piena delle donne in tutti gli ambiti, compreso quello ministeriale. Lì la donna ha diritto al ministero pastorale, alla predicazione, all'insegnamento e alla direzione delle comunità. Ricordo in particolare Débora del Lorenzo, una pastora argentina con una chiesa di oltre trecento membri, che a quel tempo si trovava a Ourense e attualmente, mi è stato detto, a Vigo. Le sue predicazioni erano vive, profonde, centrate sul Vangelo, e riuscivano a smuovere alla conversione, ispirare a vivere il messaggio cristiano. Débora parlava con una forza spirituale che non proveniva dal potere né dall'autorità, ma dalla convinzione interiore. Le sue parole ti spingevano a ripensare la vita, a riconciliarti con la tua storia e a tornare al nucleo del messaggio di Gesù: amare Dio e il prossimo. Rappresentava quella dimensione profetica di cui abbiamo tanto bisogno nelle nostre Chiese, e che anche il processo sinodale di papa Francesco cerca di risvegliare: una Chiesa dove tutti, uomini e donne, laici e pastori, possano ascoltare e lasciarsi guidare dallo Spirito.

Nelle Assemblee di Dio, il protagonismo delle donne nella predicazione, nell'insegnamento e nella leadership spirituale non viene posta come una rivendicazione femminista, ma come una fedeltà alla visione biblica secondo cui «in Cristo non c'è né maschio né femmina» (Gal 3,28). Questa pratica concreta potrebbe ispirare anche la Chiesa cattolica, che nel suo processo sinodale sta riflettendo sulla necessità dell’inclusione delle donne nella vita ecclesiale.

La Sinodalità: un cammino comune

A partire da questa esperienza evangelica, il processo sinodale iniziato da Francesco appare significativo. Nel parlare di «Chiesa sinodale», il papa propone qualcosa che in molte comunità evangeliche è già vissuto in modo naturale: una Chiesa di fratelli e sorelle che si ascoltano reciprocamente, dove lo Spirito Santo agisce non solo attraverso i ministri ordinati, ma in tutti i battezzati.

La sinodalità non è semplicemente una questione di strutture, ma di spiritualità. È riconoscere che lo Spirito può parlare attraverso chiunque, anche il più piccolo o il più lontano. In questo senso, la sinodalità si avvicina molto alla comprensione evangelica della comunità dei credenti: tutti siamo responsabili della testimonianza della fede, tutti siamo parte dello stesso corpo.

Lo sforzo della Chiesa cattolica di camminare verso una maggiore partecipazione, di ascoltare il popolo di Dio e di aprire spazi di discernimento comune, può essere un segno di speranza per il dialogo ecumenico.

Le tracce del Sinodo: dalle parole alle azioni Il documento

Tracce per la fase attuativa del Sinodo 2023- 2028 offre uno sguardo concreto su cosa intende il Vaticano per «messa in pratica» della sinodalità. Il testo insiste sul fatto che, dopo l'ascolto e la riflessione teologica delle tappe precedenti, è giunto il tempo di «rendere visibile» il cambiamento di mentalità e di strutture. Tuttavia, questo è il punto più delicato: se il processo sinodale rimane sul piano delle buone intenzioni, senza una reale trasformazione delle pratiche, corre il rischio di diventare retorico e sterile.

Il documento propone tre chiavi: la corresponsabilità, la formazione e la conversione pastorale. Sono parole potenti, ma la loro efficacia dipenderà dalla reale volontà delle diocesi e delle Conferenze episcopali di attuarle. La grande sfida del Sinodo sarà quella di passare dalla teoria alla pratica, permettendo alle comunità cristiane di sperimentare veramente l'ascolto, la partecipazione e il discernimento condiviso.

La sinodalità, se presa sul serio, deve trasformare il modo in cui la Chiesa viene governata, come vengono scelti i responsabili, come vengono prese le decisioni e come viene distribuita l'autorità. In questo senso, l'esempio di comunità evangeliche come le Assemblee di Dio può essere d'ispirazione: lì l'autorità pastorale viene esercitata in modo collegiale e trasparente, con rendiconto, partecipazione e senso comunitario.

L'opportunità e le ferite nel dialogo ecumenico

Il processo sinodale può trasformarsi in uno spazio provvidenziale per sanare ferite storiche. Il dialogo ecumenico non può limitarsi a incontri istituzionali ma ha bisogno di gesti concreti, umiltà e riconoscimento reciproco.

È necessario anche riconoscere che i fratelli evangelici hanno bisogno di sentirsi valorizzati e rispettati. Nel corso della storia, molti hanno sentito che la loro fede era considerata "incompleta" o "carente". Il documento della Congregazione per la Dottrina della Fede Dominus Iesus (2000), firmato dall'allora card. Ratzinger, ha rappresentato un profondo dolore per molte Chiese evangeliche e riformate. Quell'affermazione secondo cui solo la Chiesa cattolica possedeva la pienezza dei mezzi di salvezza fu percepita come un passo indietro nel cammino dell'ecumenismo, costato tanti sforzi sin dal Concilio Vaticano II.

Queste dichiarazioni feriscono, perché colpiscono l'identità di comunità che vivono con autenticità il Vangelo. La riparazione di tali ferite passa oggi attraverso un incontro fraterno, alla pari, in cui non si tratta di convincere, ma di comprendere e camminare insieme. L'ecumenismo autentico non cerca l'uniformità, ma la comunione nella diversità.

Sarebbe bello che il processo sinodale includesse gesti concreti in questa direzione: incontri di preghiera condivisa, progetti sociali congiunti, e persino la partecipazione reciproca tra Chiese. E non solo che i cattolici invitino gli evangelici, ma anche che i cattolici si avvicinino alle loro chiese, partecipino ai loro culti, condividano la lettura della Parola e imparino dal loro fervore.

Perché c'è molto da imparare gli uni dagli altri. Le comunità evangeliche insegnano la forza della lode, la centralità della Bibbia e l'importanza di una testimonianza coerente nella vita quotidiana. La Chiesa cattolica può offrire, a sua volta, la ricchezza della sua tradizione, la sua sensibilità sacramentale e la sua esperienza di universalità. Se riusciamo a incontrarci con umiltà, potremo offrire al mondo un'immagine più fedele del Vangelo.

La divisione tra i cristiani è uno scandalo che indebolisce la nostra testimonianza. Siamo, o dovremmo essere, un'unica famiglia in Cristo. Come in qualsiasi famiglia, le separazioni raffreddano l'amore e confondono coloro che ci guardano dall'esterno. Il mondo ha bisogno di vederci uniti, non nell'uniformità, ma nella fraternità. Solo una famiglia cristiana riconciliata potrà essere veramente "sale della terra e luce del mondo".

Lo Spirito soffia dove vuole

La mia esperienza nelle Assemblee di Dio mi ha insegnato che lo Spirito Santo non si lascia rinchiudere in strutture né frontiere. Soffia dove vuole, e spesso lo fa ai margini, nei luoghi dove uomini e donne di fede si incontrano, si aiutano, pregano insieme e vivono il Vangelo nel quotidiano.

Per questo, guardando il processo sinodale, desidero che anche altre Chiese possano sentirlo come un movimento dello Spirito, un invito a camminare insieme, a riconoscerci reciprocamente come fratelli in Cristo. Se la sinodalità riesce a renderci più umili, più aperti e più disposti al dialogo, allora starà compiendo la sua missione più profonda: essere segno del Regno di Dio nel mondo. 

José Carlos Enríquez Díaz è saggista, giornalista, della Chiesa Evangelica delle Assemblee di Dio. Rivendica come suoi maestri, fra gli altri, Ignacio Ellacuría, Xabier Pikaza, José María Castillo, González Faus. Cura un blog su Religión Digital: www.religiondigital.org/jose_carlos_enriquez_diaz/.

*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza 

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