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La sinodalità della Chiesa cattolica. Un punto di vista avventista

La sinodalità della Chiesa cattolica. Un punto di vista avventista

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 44 del 13/12/2025

In esordio di questo breve articolo, per il quale ringrazio sentitamente la gentile redazione di Adista, credo si possa riconoscere che il tema della sinodalità della Chiesa cattolica romana verrà ricordato come particolarmente caro al pontificato di papa Francesco.

Al di là del naturale favore agiografico di cui ogni papa gode, specie in Italia, e papa Francesco non ha fatto eccezione, anche al netto delle vivaci e talora scomposte critiche di cui pure è stato fatto oggetto da qualche non raro esponente di un clero ostentatamente tradizionalista, si potrà verosimilmente riconoscere, sine ira et studio, come suole dirsi, che Bergoglio a una certa forma di sinodalità probabilmente ha creduto davvero.

Quando nel discorso di Commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi, il 17 ottobre 2015, il pontefice ha affermato l’infallibilità in credendo dell’intero Popolo di Dio e che ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa, è un soggetto attivo di evangelizzazione, aggiungendo infine che «il sensus fidei impedisce di separare rigidamente tra Ecclesia docens ed Ecclesia discens, giacché il Gregge possiede un proprio “fiuto” per discernere le nuove strade che il Signore dischiude alla Chiesa», si deve intendere in lui un sincero afflato sinodale.

Naturalmente, il nodo è sempre relativo al tipo di sinodalità che si intende implementare. La sinodalità, in fondo, è innanzitutto un metodo, che in quanto tale ha precisi momenti di verifica cui rispondere. Se in effetti si consente all’universitas fidelium di esprimere non soltanto pareri e auspici, come pure è stato fatto ad esempio in vista del Sinodo sulla famiglia, senza che le istanze più incisive trovino poi effettiva accoglienza, il metodo sinodale dell’ascolto reciproco e della reciproca correzione, tanto sbandierato, fallisce su un punto decisivo.

Va da sé che una Chiesa così singolarmente episcopale, nella quale il Sinodo è chiamato ad operare sempre “cum Petro e sub Petro”, a meno di non immaginare significative riforme anche del papato, può permettersi solo frammenti più o meno qualificati di sinodalità; e l’affermazione, anch’essa di papa Francesco, secondo la quale la «sinodalità, come dimensione costitutiva della Chiesa, offre la cornice interpretativa più adeguata per comprendere lo stesso ministero gerarchico», appare quantomeno controintuitiva.

L’esito relativo agli auspici formulati nel Documento conclusivo del Sinodo amazzonico del 2019, secondo il riscontro avuto nella successiva Esortazione apostolica Querida Amazonia del 2 febbraio 2020, ha ancora una volta dimostrato che su temi decisivi quali una diversa e più inclusiva articolazione della ministerialità, le prerogative delle donne e dei laici nella Chiesa e il ruolo dei Sinodi regionali, la ricezione delle istanze sinodali sia largamente insoddisfacente o fortemente compressa. La trasfigurazione simbolica tra il sacerdote e le sue prerogative intangibili ed esclusive, e il «Cristo capo», sottolineata ai paragrafi 87 e 88 di QA vanifica, a parere di chi scrive, ipso facto ogni reale aspirazione alla Sinodalità.

Sinodalità e dialogo ecumenico

Anche in relazione al tema ecumenico, ovvero al dialogo e all’incontro con le altre Chiese, l’impronta di papa Francesco è sembrata volitiva, a tratti perfino audace, ma al tempo stesso effimera.

Si è detto in molti modi che del pontificato bergogliano vanno apprezzati soprattutto i gesti, quali dispensatori di una semantica aurorale, per tacere l’inflazionato aggettivo “profetico”.

La tesi è suggestiva e forse non infondata, ma nella storia della Chiesa di Roma non sempre i grandi gesti dei pontefici hanno davvero inaugurato un cammino nuovo e promettente.

Papa Francesco sorprese tutti recandosi in visita al tempio Valdese di Torino il 22 giugno 2025 e pronunciando in quella sede un discorso volto a riconoscere le responsabilità storiche della Chiesa di Roma relativamente ai crimini compiuti contro la minoranza Valdese.

Per motivi diversi ma con uguale sensibilità e intensità si era già recato nel luglio 2014 in visita alla Chiesa Pentecostale della Riconciliazione di Caserta, incontrando il pastore e amico Giovanni Traettino e anche in quel caso mostrandosi sensibile verso le sofferenze e le persecuzioni subite dai Pentecostali italiani sotto il fascismo, anche con il concorso delle autorità ecclesiastiche romane.

Il 31 ottobre 2016, in occasione del 500° anniversario della Riforma protestante non esitò a far visita alla Cattedrale luterana di Lund, in Svezia, partecipando a una commemorazione liturgica assai densa di riferimenti al tema del sola gratia; nel febbraio del 2017 si recò in visita anche alla Chiesa anglicana di Roma, compiendo un gesto assai significativo anche in quel caso.

Sui rapporti con le Chiese ortodosse e dell’incontro quasi clandestino con il patriarca Kirill nel febbraio del 2016 a Cuba, non occorre che io mi dilunghi perché sono vicende assai note ai lettori.

Va oltretutto segnalato che per impulso di papa Francesco presso la Conferenza episcopale italiana, sotto la regia della Commissione Episcopale per l’Ecumenismo e il Dialogo, è stato ospitato sin dal 2018 un tavolo permanente di confronto e di dialogo al quale prendono parte diverse Chiese evangeliche e ortodosse.

Diciamo dunque che papa Francesco ha convintamente esercitato una pratica ecumenica sollecita e non sporadica, generando l’impressione di voler sinceramente inaugurare una nuova stagione nei dialoghi e nel cammino verso una reciproca comprensione tra le Chiese.

Per altro verso si deve nondimeno evidenziare che il suo dinamico ecumenismo dei gesti e della fraterna cordialità non ha affrontato con la medesima convinzione e incisività nessuno dei nodi che teologicamente rappresentano da sempre motivo di incomprensione tra le Chiese, quantomeno con riferimento a quelle evangeliche. Facciamo alcuni esempi.

Nulla è stato detto circa il reale e formale riconoscimento della piena uguaglianza di tutte le Chiese come espressione legittima e riconciliata dell’Una, Santa, Cattolica e Apostolica. Nulla è stato minimante innovato sull’ospitalità eucaristica, tema connesso, com’è noto, alla comprensione del fondamento della ministerialità. Nell’unica occasione in cui Francesco si è pronunciato rispondendo direttamente alla domanda di una coppia di sposi di diversa confessione, ha rinviato la comunione eucaristica al banchetto nel Regno di Dio.

Circa l’esercizio del ministero petrino, al di là dei pur apprezzabili slanci, nulla è stato minimamente aggiornato.

I paragrafi 244-246 di Evangelii gaudium, dedicati al dialogo ecumenico risultano alquanto generici, e pertanto condivisibili; mentre il richiamo, potenzialmente fecondo, al concetto di «gerarchia delle verità», riferibile al decreto conciliare Unitatis Redintegratio 11, resta privo di estrinsecazioni puntuali, eccetto un vago riferimento alla collegialità episcopale negli ortodossi.

Conclusione

A modesto parere di chi scrive, il pontificato di Francesco ha dunque generato, con riferimento ai temi della sinodalità della Chiesa e del dialogo ecumenico, molte aspettative e pochi risultati concreti. Si sono intuiti dei sentieri, ma non si è definito chiaramente un percorso.

Si può tuttavia riconoscere che a differenza di quanto accaduto con il pontificato di Benedetto XVI, il nuovo pontefice Leone XIV potrà dispiegare, se lo riterrà, una efficace pratica di dialogo e di sperimentazione sinodale in un clima ecclesiologico e spirituale già sufficientemente temperato, piuttosto diverso dal rigido inverno post ratzingheriano. 

Davide Romano è Direttore del Dipartimento Affari pubblici e Libertà religiosa dell’Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del Settimo giorno

*Foto presa da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza 

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