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AZZERARE IL LAVORO PASTORALE DEL VESCOVO SAMUEL RUIZ: IL VATICANO VIETA L'ORDINAZIONE DI DIACONI INDIGENI

Tratto da: Adista Documenti n° 24 del 25/03/2006

DOC-1715. SAN CRISTÓBAL DE LAS CASAS-ADISTA. Non sono bastati cinque anni a smantellare il lavoro pastorale di mons. Samuel Ruiz a San Cristóbal de las Casas, in Chiapas: per il Vaticano, la pericolosa "ideologia" legata alla creazione di una Chiesa autoctona ispirata dalla teologia india resta ancora "latente". E, finché non verrà completamente e definitivamente estirpata, nessuna ordinazione di diaconi permanenti potrà aver luogo. Così ha scritto il prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, il card. Francis Arinze, in una lettera indirizzata al successore di Ruiz, mons. Felipe Arizmendi, all'indomani di una riunione della commissione interdicasteriale incaricata della questione, svoltasi il primo ottobre del 2005. Pubblicata sul bollettino del dicastero Notitiae, la lettera è rimasta avvolta nel silenzio finché non l'ha rilanciata, il 9 marzo scorso, l'agenzia Aci Digital (secondo la quale la lettera di Arinze, pur diretta ad Arizmendi, estende le sue conclusioni "ad altre regioni, come Guatemala, Bolivia, Ecuador e Perù, dove pure si sono venute promuovendo una ‘teologia india' e una ‘Chiesa autoctona'").

La vicenda dei diaconi indigeni era già venuta alla luce nel 2000, con la falsa notizia che mons. Ruiz, in occasione dell'ordinazione di 400 diaconi, in massima parte sposati, avesse ordinato anche le loro mogli (v. Adista n. 63/01). Per quanto la falsità della notizia fosse riconosciuta nell'ottobre del 2000 dalla stessa Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, il Vaticano aveva comunque inviato al nuovo vescovo, mons. Felipe Arizmendi, una lettera con alcuni suggerimenti orientati a smantellare il lavoro del predecessore, in particolare proprio riguardo all'ordinazione di un così grande numero di diaconi permanenti. Dopo un lungo tira-e-molla sulla questione, il primo febbraio del 2002 giungeva ad Arizmendi una nuova lettera, firmata dall'allora prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, card. Jorge Arturo Medina Estevez, in cui si ordinava la sospensione dell'ordinazione dei diaconi permanenti per un periodo di almeno cinque anni, esprimendo sorpresa per il fatto che il vescovo avesse proceduto a celebrare ulteriori ordinazioni, "nonostante le chiare indicazioni" contrarie: "se si continua ad aumentare il numero di diaconi permanenti - si leggeva nella lettera – il pericolo che si percepisce è che l'iniziativa sostenuta da mons. Samuel Ruiz García continui ad affermarsi, impedendo la normalizzazione della vita ecclesiale nella sua diocesi" (v. Adista n. 17/02). Normalizzazione che, nel frattempo, il Vaticano aveva perseguito anche attraverso l'inatteso e contestatissimo trasferimento a Saltillo di mons. Raúl Vera Lopez, che pure era stato designato da Roma come vescovo coadiutore con diritto di successione, ma che, sotto la spinta delle drammatiche condizioni degli indigeni del Chiapas, si era ben presto rivelato in piena sintonia con mons. Ruiz.

Ma la diocesi di San Cristóbal si è rivelata davvero un osso duro per il Vaticano: dopo un periodo di crisi legato al passaggio di consegne, anche il nuovo vescovo, il fino ad allora moderatissimo Felipe Arizmendi, "poco per volta" - come affermava il noto teologo zapoteca Eleazar López, esponente di punta della teologia indigena, in un'intervista rilasciata ad Adista durante il Forum di Teologia e di Liberazione dello scorso anno a Porto Alegre (v. Adista n. 26/05) – ha iniziato a comprendere "l'importanza di tutto il lavoro che si è svolto prima e la necessità di dare continuità al processo della teologia india, di catechisti e diaconi indigeni". Cosicché, passati tre anni dalla lettera di Medina Estevez, Arizmendi, il quale si era da subito impegnato a continuare a dialogare con la Santa Sede (v. Adista n. 32/02), aveva fatto richiesta a Roma di poter riprendere ad ordinare diaconi permanenti. Invano.

Di seguito la lettera del card. Arinze riportata dall'Aci Digital, in una nostra traduzione dallo spagnolo. (claudia fanti)

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