IL BOOMERANG DI ISRAELE
Tratto da: Adista Contesti n° 64 del 16/09/2006
COME E PERCHÉ L’AGGRESSIVA POLITICA ISRAELIANA RAGGIUNGE RISULTATI CHE SONO CONTRARI AGLI OBIETTIVI ORIGINARI.
QUESTO ARTICOLO, APPARSO
SUL BOLLETTINO TELEMATICO “RESUMEN LATINOAMERICANO” (14/08/2006),
PORTA LA FIRMA DEL GIORNALISTA
E SCRITTORE ARGENTINO ORACIO VERBITSKY.
TITOLO ORIGINALE: “EL NIÑO GRIS”
L’immagine del bambino grigio mi assedierà finché vivrò, come succede con quella dell’Olocausto in cui un bambino di cinque o sei anni, sospinto verso la soluzione finale nazista con la punta della mitragliatrice, cammina con le mani sulla nuca e guarda con stupore la macchina fotografica. Cioè i miei occhi.
Il bambino grigio non guarda. I suoi occhi sono chiusi. Un uomo lo porta in braccio in posizione verticale. Solo dei liquidi che escono dal naso e dalla bocca indicano che non si tratta di una scultura. Ogni particella del suo corpo e dei suoi abiti è coperta della polvere del muro dell’edificio franato sopra di lui a Cana, casualmente la città biblica in cui Gesù trasformò miracolosamente l’acqua in vino durante la celebrazione di un matrimonio. Ma oggi si celebrano funerali e non c’è miracolo che possa destare da un sogno spaventoso questa creatura e quanti hanno visto la sua foto.
Il doppio messaggio della giustificazione successiva è un’aggravante: mentre il governo israeliano nega di aver saputo che in quell’edificio si fossero rifugiati dei civili, un videoclip che le organizzazioni di appoggio fanno circolare su Internet mostra una ripresa aerea di un presunto camion lanciarazzi che dopo aver realizzato il suo compito posteggia nel garage di una casa. In realtà, gli aerei hanno attaccato un camion frigorifero che trasportava verdura e hanno liquidato i contadini che l’avevano coltivata.
La sequenza filmica della propaganda israeliana è tanto confusa quanto quella presentata da Colin Powell alle Nazioni Unite per dimostrare che l’Iraq possedeva armi proibite e che lo stesso ex segretario di Stato ha finito per riconoscere come falsa. Ma scritte in ebraico e in inglese spiegano ogni sequenza del videoclip, fino ad arrivare alla conclusione che se gli aggressori si rifugiano tra i civili è legittimo massacrarli. Non è così. Tali mezzi squalificano qualunque fine. Non vale la pena raggiungere alcun obiettivo a questo prezzo, nessuna offesa previa lo giustifica, dal momento che l’esistenza di Israele non corre oggi alcun pericolo.
Questo errore insopportabile è stato pianificato nel corso di anni. È parte di una campagna iniziata nell’ottobre del 2001 con i bombardamenti e l’invasione statunitense dell’Afgha-nistan. E andata avanti nel giugno del 2002 quando Bush ha formulato la dottrina dell’at-tacco preventivo e ha detto che l’unica strategia possibile era colpire per primi, “affrontare le peggiori minacce prima che si realizzino”.
Milioni di tonnellate di bombe sono state lanciate preventivamente sull’Iraq a partire dal marzo del 2003, malgrado l’evidenza che non ci fosse relazione tra il suo governo e l’organiz-zazione saudita che nel settembre del 2001 aveva attaccato i simboli del potere militare e finanziario a Washington e New York. Quando si è dimostrato che in Iraq non c’erano neppure armi di distruzione di massa, gli Stati Uniti hanno cambiato pretesto: si trattava di portare la democrazia a questo Paese e di rimodellare la mappa del Medio Oriente.
Nell’aprile del 2003 si è diffusa la cosiddetta Road map statunitense. Corollario della dottrina della guerra preventiva, questo piano si disinteressa dell’occupazione israeliana della Cisgiordania, di Gaza e di Gerusalemme Est e centra le sue proposte sulla lotta alla violenza palestinese, concepita quasi come un’essenza, una questione ontologica senza relazione con la sofferenza di un popolo espulso da più di mezzo secolo dalla sua terra.
Conseguenza di tutto ciò è stato il disconoscimento dell’autorità esercitata da Yasser Arafat, nel tentativo di stabilire un nuovo governo palestinese “che operasse con decisione contro il terrore e avesse la volontà di costruire una democrazia attiva basata sulla tolleranza e sulla libertà”, secondo la Road map. A ciò è seguito l’assedio e la demolizione degli uffici della Mukata a Ramallah, dove il leader storico della causa nazionale palestinese è sopravvissuto senza luce e con scarsi alimenti, e infine la sua misteriosa morte, dovuta con alta probabilità a un deliberato avvelenamento.
Lungi dallo spianare il cammino ad un negoziato di pace, la scomparsa di Arafat l’ha reso sempre meno probabile. Il creatore di Al Fatah e dell’Olp non aveva solo lottato per rendere il suo popolo indipendente da Israele. Aveva anche cercato di liberarlo dalla tutela dei governi arabi reazionari con cui Israele preferiva negoziare.
Il disprezzo e l’isolamento a cui Israele ha condannato la debole presidenza di Abu Mazen, succeduto ad Arafat, ha condotto nel gennaio di quest’anno alla vittoria elettorale del partito islamico della resistenza, Hamas, vincolato all’Iran. Non si capisce perché questo risultato abbia causato tanta sorpresa, se la precedente invasione israeliana del Libano aveva provocato la nascita del movimento islamico Hezbollah, sotto controllo siriano.
Hamas ed Hezbollah sono, inoltre, due organizzazioni confessionali, a differenza del movimento laico e indipendente che guidava Arafat. Ma i seggi occupati da entrambi i movimenti in Libano e nell’Autorità Palestinese sono stati conquistati in libere elezioni. Da quando ha assunto il potere il nuovo governo palestinese, Israele gli ha negato l’acqua e il sale e all’inizio dell’ultima offensiva ha arrestato i suoi ministri e demolito le sue sedi, per dimostrare che la democrazia è un lusso che non è alla portata di chiunque. L’Argentina ha conosciuto mezzo secolo fa questa illuminata concezione della democrazia solo per chi si ritiene democratico, che di solito non è la maggioranza, la quale, di conseguenza, viene proscritta e repressa fino alla disperazione.
La stupidità della dirigenza ebraica argentina, che ha offerto la sua tribuna all’am-basciatore di Israele perché giustificasse la brutale violazione del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani da parte del suo Paese, la imparenta alla lobby ebraica degli Stati Uniti, che ha contribuito a impedire qualunque accordo negoziato tra i popoli di Israele e della Palestina. Per scherzo del destino, questo atto provocatorio si è realizzato a pochi metri dal cantone della Palestina e dello Stato di Israele, che simboleggia l’affettuosa convivenza tra le collettività araba ed ebrea, senza eguali al mondo.
Tutti dovremmo prenderci cura di questa preziosa esperienza sociale, malgrado sia stata maltrattata dal menemismo come tanti altri beni sociali. Nell’anniversario dell’attentato alla Amia (Asso-ciazione Mutua Israeliana Argentina, il cui edificio venne distrutto il 18 luglio del 1994, nel più grave attentato terrorista della storia argentina, costato la vita a 86 persone, ndt), questa dirigenza non ha avuto migliore idea che reclamare la rottura delle relazioni con l’Iran, come se le due bombe di un decennio fa non fossero bastate a trasmettere la virtù della prudenza.
È difficile credere che le attrezzature militari e di intelligence più sofisticate del mondo producano risultati tanto contrari a quelli che si dichiara di perseguire. Per inettitudine o per calcolo, i missili statunitensi e israeliani seminano teocrazie che rovesciano governi laici, che siano dittatoriali come quello di Saddam Hussein o relativamente democratici come quelli del Libano o dell’Autorità Palestinese.
Le repliche di Hamas o Hezbollah, che siano bombe umane o razzi (mal)teleguidati, sono tanto insignificanti in proporzione che è ridicolo stabilire una qualsiasi equivalenza. Ma ricadono anche sui civili. La guerra diventa uno stato permanente e dal resto del mondo si reclama solo che ci si abitui al martirio dei bambini grigi.
Per questo non contate su di me. Fermare la mano assassina è un imperativo categorico.
Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.
Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!