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I DELUSI DI VERONA: DOPO IL CONVEGNO ECCLESIALE SPUNTANO ALCUNE VOCI CRITICHE

Tratto da: Adista Notizie n° 79 del 11/11/2006

33619. VERONA-ADISTA. Sono andate perse nel clamore della visita del papa o tra le polemiche sugli opposti discorsi programmatici dei card. Ruini e Tettamanzi. Ma le voci critiche, o semplicemente scettiche, sul ‘trionfale' Convegno della Chiesa italiana a Verona cominciano ad emergere. Alcune riflessioni di delegati le abbiamo raccolte direttamente la scorsa settimana (v. Adista n. 78/06), altre voci insoddisfatte le riporta – singolarmente – il quotidiano on-line Korazym: in particolare, quella dei missionari.

In un comunicato del 18 ottobre, la Misna, agenzia di stampa dei comboniani, pubblica un comunicato per lamentare che, al Convegno di Verona, è stata dedicata ai missionari "poca attenzione". "Sono quattordicimila i missionari italiani nel mondo", ricorda il direttore di Nigrizia, p. Carmine Curci, "ma sembra che il Convegno ecclesiale se lo sia dimenticato". Il Convegno è stato infatti "un altro smacco" per il movimento missionario italiano: "pochi", si legge, i missionari invitati, che si ritrovano a dover chiedere "diritto di cittadinanza, come gli immigrati", in una Chiesa di cui vorrebbero essere invece parte attiva. Inoltre, "dei documenti presentati dagli istituti, fondazioni e movimenti missionari per la preparazione del Convegno non si sono trovate vere tracce negli ambiti di discussione". Fino all'affondo più duro, che mette il dito nella piaga di un Convegno in cui tutto era già scritto sin dall'inizio: "Si era sperato che la Chiesa italiana avrebbe avuto tanto coraggio da farsi investire ancora dall'uragano dello Spirito, già sperimentato nel Concilio Vaticano II", ma "il progredire dei lavori ha riportato la ‘barchetta' ecclesiale in acque più tranquille, con qualche dondolio che sembra voler conciliare il sonno".

E l'assenza di uno spazio adeguato per la discussione (solo sette ore e mezza in cinque giorni di lavori, v. Adista n. 75/06) è stata lamentata anche da un misterioso "prelato" intervistato da un altro quotidiano on-line, Affari Italiani, nel corso dell'assise veronese. "Qua in tanti si sono lamentati", racconta l'anonimo vescovo, "sia pure riservatamente, del fatto che è mancata un'arena di confronto. Non c'è stato insomma un dibattito pubblico, una conferenza, una tavola rotonda, qualcosa insomma in cui ognuno potesse dire la sua e far sapere alla Cei che cosa pensa". Invece, "nei vari gruppi del convegno si applica una sorta di ‘censura preventiva'", per cui "si passano al setaccio gli interventi di tutti i presenti, e si scelgono quelli che siano il meno critici possibile, o comunque vicini alla linea del presidente uscente della Cei".

E la censura non è la sola accusa rivolta al Convegno e alla sua organizzazione: manca un'idea di fondo, un senso di missione tra i presenti. E continua il vescovo: Verona sarebbe "un flop" perchè "questo convegno è una sorta di ‘smobilitazione' che arriva mentre Ruini se ne va, è stato aperto nel momento sbagliato".

Comincia, dopo tanti anni, a emergere l'insofferenza per il presidente per la Cei: "l'attenzione è concentrata più sul futuro del Progetto Culturale che non sui problemi del nostro Paese". "Vede", continua a dar sfogo alla sua insoddisfazione il vescovo, "non possiamo fare solo parole. Voglio dire, la Chiesa non può solo parlare di principi in astratto, se parli ai laici devi dare loro delle direttive concrete. Per esempio ci vorrebbe una presa di posizione, un richiamo, un documento – che so, magari un'enciclica del Papa – a proposito del mondo del lavoro, del precariato, dei Co.co.co. È così che dai un segno al Paese, cosa che invece non si sta facendo".

Anche sulla stampa diocesana si comincia a fare il punto su Verona: lucida l'analisi di don Walter Fiocchi, pubblicata sulla Voce alessandrina il 3 novembre scorso ("L'Italia cattolica a Verona"), che descrive una Chiesa "gerarchica" e "appassionata" solo per temi come la scuola privata, l'aborto, la morale sessuale. Dopo una settimana di clamore mediatico, fa notare il sacerdote, su Verona e sulla Chiesa che lì si era riunita, "è già calato il silenzio". Cosa rimarrà, si chiede Fiocchi, del grande "raduno", al di là dei "molti applausi al discorso papale", dell'"entusiasmo dei delegati" e del "tentativo, per la verità decisamente rozzo, di sfruttamento politico dell'evento?". Non il dibattito tra i delegati: "Che spazio è rimasto per il dialogo tra i delegati, per il confronto, per l'ascolto delle esperienze delle Chiese che sono in Italia? Poche ore". I delegati stessi, lamenta Fiocchi, erano stati per lo più scelti tra le "persone fidatissime, ‘prudenti', sostanzialmente, uomini e donne del ‘sì' all'Autorità": "Non si è ancora una volta mostrato – si chiede don Fiocchi – il volto soprattutto di una ‘Chiesa gerarchica' dove il laicato ha soprattutto compiti esecutivi e il dovere dell'obbedienza?". Poco spazio hanno invece trovato "quei cristiani che una volta si chiamavano ‘di frontiera', quelli che credono nel dovere profetico di toccare temi ‘politicamente scorretti'", soffocati da chi vuole "mostrare l'unità della Chiesa spegnendo le differenze, senza tener conto che l'unità non sempre coincide con l'uniformità o con l'unanimismo". Molta attenzione il Convegno ha anche riservato agli ‘atei devoti' (in realtà, "più clericali che devoti", fa notare Fiocchi), quelle "persone che si definiscono ‘cattolici senza esserlo', buoni alleati con la parte più egoista e chiusa del Paese, che si mostrano ossequienti alla morale e alla gerarchia, ma poi fanno tutto il contrario, più che cattolici ‘democristiani di ritorno', ma della parte da dimenticare della Democrazia Cristiana, quella del sottobosco, degli intrallazzi, del potere ad ogni costo e in ogni luogo", mentre nelle diocesi vengono spesso dimenticate la "creatività e la capacità di ‘consiglio' e competenza dei laici cristiani, della loro corresponsabilità". Due parole anche sul ‘progetto culturale' ruiniano: "Mi viene in mente", scrive ironicamente Fiocchi, "il ‘progetto culturale' di Paolo nell'Areopago di Atene… miseramente fallito; ma il seguito dimostra che la sua rinuncia ad un ‘progetto culturale' in nome della pura e limpida ‘evangelizzazione' ben altri esiti abbia avuto". (a. s.)

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