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LA MIA DOLOROSA TERAPIA CON TONY ANATRELLA

Tratto da: Adista Documenti n° 82 del 18/11/2006

Nel 1987 - ho 23 anni - entro nel Seminario della Missione di Francia. Il primo ciclo, a quell'epoca, si chiama P.a.m. È la strada che ho scelto per rispondere ad una domanda che mi pongo - "come voglio consacrare la mia vita a Dio e al Vangelo?" - e che mi viene chiaramente posta dai preti che ho incontrato: "ti vedremmo bene a vivere l'av-ventura che viviamo noi". Mi impegno parallelamente in un servizio civile come obiettore di coscienza nella cappellania. Anche Michel Dubost, all'epoca, riconosce in me le qualità di un futuro pastore. Questa scelta la faccio in profondo disaccordo con la mia famiglia: con mio padre e mio fratello, non praticanti, che non condividono la mia fede e sono profondamente diffidenti nei confronti del clero. Ricordo di aver vissuto ben presto la mia fede come un'esperienza individuale a partire dall'infanzia, da quando mia madre mi propose di iscrivermi al catechismo "per conoscere Gesù". Ricordo il mio "sì" entusiasta. Mia madre aveva già ereditato questo aspetto – il vivere la propria fede come un'espe-rienza individuale – da suo nonno, da quest'uomo che si teneva lontano dalle espressioni religiose della Chiesa del sud Italia e che si chiudeva in casa a leggere la Bibbia. Mia madre incontra la chiesa del quartiere accompagnando i gruppi di catechismo, poi frequenta il Centro teologico di Meylan, e va per due volte in pellegrinaggio a Lourdes. Poi è la comunità cristiana a entrare da noi, nella lotta di questa donna radiosa contro la sua malattia: una lunga battaglia contro il cancro, molto lunga e molto dolorosa. Di giorno, la chiesa. Di notte, accompagno spesso mia madre in lunghe ore di veglia. Lei mi racconta la sua vita. L'infanzia e la scuola nell'Italia fascista, la raccolta delle olive, il canto delle cinciallegre che parlano il dialetto, la guerra, la fame, le privazioni, i bombardamenti in questa casa senza uomini. La sua attrazione, da bambina, per il mondo e per il sesso degli uomini. La perdita dei suoi genitori, l'emigrazione, la tubercolosi, il sanatorio per ragazze a Saint Hillaire du Toupet. L'amore, la vita, i fiori, la morte, le piccole cose importanti. E, rannicchiati l'uno contro l'altra, mi racconta il suo dolore, il suo dolore senza tregua, che mi descrive come un granchio che divora il suo petto, una morsa che la stringe. Il dolore e l'umiliazione per un errore diagnostico del suo medico, per una mastectomia non preparata, per una ovariectomia inattesa, per una chemioterapia brutale, violenta e non voluta. Avevo nove anni all'inizio della sua malattia, un po' più di quindici quando è morta. Eravamo vicini, troppo, senza dubbio, nella misura in cui vi sono stati dei limiti mal posti, dei gesti ai quali non ho saputo dire "no". Non si entra in terapia senza un motivo né per snobismo, ci si va con le proprie carabattole e con il proprio scenario. Già prima di essere seminarista mi interrogo. Nei miei sogni erotici, è la donna che prende l'iniziativa, ma il corpo che stringo si rivela straziato, coperto di piaghe o in putrefazione. Di giorno, è il corpo degli uomini che nutre le mie fantasie: vi sento calore, salute, vita. Affido a un diario segreto un senso di colpa quasi ossessivo per la masturbazione. Come rispondere alla chiamata che ho sentito, visto come sono fatto? Come affrontare il celibato consacrato? Mi apro prima ad un prete che mi accompagna nel mio luogo di missione e con il quale intrattengo un dialogo quotidiano, Guy Delachaux, e al mio accompagnatore spirituale, Philippe Deschamps. Sono pronto ad intraprendere una terapia. Philippe Deschamps e l'équipe dei formatori mi suggeriscono di rivolgermi a Tony Anatrella. Non conosco nessun altro a Parigi e soprattutto mi viene presentato come un esperto, uno specialista dell'ambito religioso. Ma non si è ritenuto necessario precisarmi che era anch'egli prete. L'ho saputo più tardi, per caso, dal suo segretario. Il solo avvertimento che ho ricevuto è stato quello sul rischio di essere scioccato dal lusso. Avrei dovuto restare indifferente. Al primo incontro non mi sento attratto dall'uomo. Ed è questo che mi rassicura e che determinerà il seguito, perché così mi sento protetto dal mio desiderio. I primissimi incontri hanno luogo nel quartiere della Porte des Lilas, poi ben presto nel suo ufficio a Place de la Nation. Tenuto conto di ciò che esprimo, Tony Anatrella mi propone delle sedute di "lavoro corporeo". Io non sono un intellettuale. Ho piuttosto una sensibilità artistica e manuale. Sono già aiuto assistente di un tagliatore di pietre, più tardi ne eserciterò il mestiere. Il mio rapporto col mondo è mediato dalle mani. Nella formazione al seminario, soffro il fatto che tutto sia affrontato, anche la preghiera, a partire dal linguaggio, mentre io scopro nella mia preghiera qualcosa di molto fisico. All'epoca, ho definito questo tratto "lasciar circolare la presenza libera che prega in me". Allora mi rifiutai di leggere i libri di Tony Anatrella. Immaginavo che un approccio intellettuale e teorico potesse intralciare il mio coinvolgimento personale nella terapia. A partire da quel momento, le sedute di "corporeo" – saranno designate con questo semplice termine – si alterneranno a sedute di dialogo. Alla fine di ogni seduta di "corporeo" vi è sempre qualche minuto di scambio verbale. Le sedute di "corporeo" hanno luogo in un'altra stanza, piccola in confronto allo studio dove hanno luogo le conversazioni, attigua ad una toilette (ne provengono rumori d'acqua). È dotata di un lettino che assomiglia a quelli per le visite dei medici. Io sono disteso sul lettino, nudo. Sono sorpreso dalla leggerezza del massaggio. È più che altro una carezza su tutta la parte anteriore del corpo che gira delicatamente intorno alla zona genitale. Poi Tony Anatrella mi chiede di tenere la sua mano e di guidarla. Io guido allora la sua mano, prima sulle zone che lui ha toccato e fin dove la lunghezza del mio braccio lo permette. La sua mano non si ritrae quando l'avvicino al mio sesso. Mi invita allora a guidare la sua mano sulle zone dove vi sono ancora delle "tensioni". Ho un'erezione. Quando guido la sua mano sul mio sesso, egli solleva le dita per sfiorarlo. Poi vengo invitato a lasciar andare la sua mano da sola. Egli allora manipola il mio sesso. Mi masturba. Poi mi chiede se voglio godere. Io dico "no". Così si chiude la prima seduta di "corporeo". Mi trovo in una specie di siderazione (nome dato anticamente alla paralisi istantanea, all'apoplessia ecc.; ndt). Non ho memoria di ciò che ho potuto dire all'uscita di questa seduta. Alla seconda seduta di "corporeo" ho goduto. È la prima volta che godo in presenza di un altro essere umano. È la prima volta che mi si fa godere. Poi gli "esercizi" si diversificano. Mi viene proposto di cominciare la seduta con un faccia a faccia, in piedi. Io sono sempre nudo, lui vestito, all'inizio. Mi tocca, io posso toccarlo, esplorare il suo corpo sotto i suoi vestiti. Percepisco il suo sesso, anche lui ha un'erezione. Esploro anche il suo sesso con le mani. Non me lo impedisce. Pratico su di lui una fellatio senza che mi interrompa. Gode. Ho l'impressione che non vi sia limite. Come è potuto accadere? Infatti il discorso è questo: secondo Tony Anatrella, io presento una "pseudo omosessualità". Il termine mi rassicura, perché è la mia omosessualità che non accetto. Il principio allora è quello di "superare" le mie pulsioni omosessuali vivendole nel quadro di una terapia e, così, di liberarmene. Così, più vado oltre più me ne libero. Tony Anatrella mi sembrava allora davvero un salvatore. A quell'epoca ero segnato dalla lettura del libro di Etty Hillesum, "Una vita sconvolta". Nel suo diario, essa confida il carattere più che ambiguo delle sedute con il suo analista. Allora mi sono persuaso di vivere anche io qualcosa di straordinario. Quando il mio accompagnatore spirituale mi chiede notizie della mia terapia, io gli esprimo semplicemente la mia meraviglia per la straordinaria "disponibilità" di Tony Anatrella. Egli si accontenterà rispettosamente di questa risposta. D'altronde, Tony Anatrella mi raccomanda di non mescolare spirituale e psicologico. Quando confido a Tony Anatrella di aver avuto un'espe-rienza omosessuale con un amico, mi mette in guardia dal rischio che corro di strutturarmi nell'omosessualità se vivo le mie pulsioni nella "realtà" piuttosto che in terapia con lui. In terapia non sono nella "realtà", non sono omosessuale. E questo funziona. Se nei miei quaderni ammetto un imbarazzo profondo, un disgusto, una voglia di non essere più toccato da lui, tuttavia mi attengo coscienziosamente alle sedute di "corporeo" convinto che la mia liberazione passi di là. A questo si aggiunge anche il peso dell'abitudine. Ma sopporto sempre di meno il fatto che io sia nudo e lui vestito, io disteso sul lettino e lui in piedi. Il fatto che io arrivi a farlo godere assume importanza per me, mi dà l'impressione di essere forte, di avere un potere su di lui. Più avanti godrà - nudo o almeno quasi del tutto, perché non si toglierà mai i calzini - sotto il mio corpo, disteso. Le sedute di "corporeo" hanno luogo allora su due piccoli materassini da ginnastica, verdi, disposti a terra, affiancati. Ho interrotto abbastanza brutalmente la mia terapia con Tony Anatrella quando ho lasciato la regione parigina nel gennaio 1993 per formarmi a Bordeaux come tagliatore di pietre. Avevo già lasciato il seminario a giugno. Per tutto il tempo di queste sedute, non è stato tanto il fatto di vivere un passaggio all'atto sessuale che mi ha provocato disgusto. La prima cosa che mi ha suscitato degli interrogativi era il senso di essere rinchiuso in un segreto, di aver vissuto un'esperienza che non potevo comunicare a nessuno. Mentre, nella mia idea, una terapia doveva liberare la parola. È stato più tardi, quando abitavo a Metz e lavoravo in Lussemburgo, di fronte alle difficoltà che stavo vivendo, che ho consultato uno psichiatra: sono sempre omosessuale, non comprendo nulla della mia vita, cerco dei contatti con uomini ma estranei a qualsiasi potere seduttivo. Uomini che hanno l'età, il fisico, il portamento di Tony Anatrella. Non riconosco il mio desiderio, ho l'impressione di impazzire. È lo psichiatra che mi apre gli occhi su ciò che ho vissuto, che mi parla di deontologia, di incompatibilità tra terapia e passaggio all'atto sessuale. Più tardi sono andato a chiedere conto a Tony Anatrella. L'ho interrogato per sapere come spiegava che vi fossero stati dei rapporti sessuali nell'ambito di una terapia. Lui cerca di intellettualizzare o di filosofeggiare sui termini, e di spiegarmi che non si può parlare di "rapporti sessuali", che i termini "rapporti" e "sessuali" non potevano essere impiegati qui. Che lui lo chiami come vuole, io so quello che è stato fatto. Gli chiedo se lo trova normale. Allora mi cita il nome di un terapista americano ai cui lavori si appoggia. Allora gli chiedo se è così che cura di solito le persone che vanno da lui. Mi dice che sono stato l'unico. Gli chiedo allora che cosa mi ha fatto meritare questa terapia così particolare. Mi risponde: "perché è lei che me l'ha chiesta". Ed aggiunge: "forse mi sono sbagliato". Anche se è una risposta che non è da terapista, mi ci è voluto molto tempo per capire che no, non l'avevo chiesta io. Nel 1999 ottengo un'udienza presso il cardinale Lustiger. Gli confido la mia storia. Lui è sorpreso, sconvolto, afferma di credermi, mi assicura la sua preghiera, si preoccupa di quello che mi può accadere, mi dice che dev'essere aperta un'inchiesta. Mi chiede se sarei d'accordo, nel caso in cui l'inquirente lo volesse, a testimoniare davanti a lui ed eventualmente a mettere per scritto ciò che gli ho raccontato. Rispondo di sì, ma fino ad oggi non sono mai stato contattato da un inquirente…

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