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FUORIROTTA 1980

Tratto da: Adista Documenti n° 28 del 07/04/2007

1980: inizia il chiasso rampante della "Milano da bere" e il silenzio dei morti uccisi da mandanti - stragisti, mafiosi, terroristi - più o meno occulti o, per meglio dire, occultati; il "riflusso" nel proprio particulare e la "riscoperta del sacro"; l'assenza della cultura del dialogo nella Chiesa di Wojtyla e la spregiudicatezza della comunicazione ridotta a marketing con l'avvento del Biscione berlusconiano; l'inflazione al 22%, il debito pubblico alle stelle, e il dilagare del "sommerso" esentasse; la marcia dei quarantamila "quadri" Fiat a Mirafiori contro il sindacato e il licenziamento di 14.469 lavoratori, seguito dall'annuncio di cassa integrazione a zero ore per altri 23mila dipendenti. È la crisi della ragione politica, la crisi del tessuto umano della democrazia che vede il mondo cattolico ancora alle prese con i tormenti sulla Dc: semper reformanda o irredimibile? Il XIV Congresso della Dc segnato dal cosiddetto preambolo (il cartello conservatore delle correnti Dc contrarie a Zaccagnini e alle aperture ‘a sinistra') sembra raggelare le speranze di cattolici quali quelli della Lega Democratica o quelli ancora animati da un'idea di "ricomposizione dell'area cattolica" che preveda uno sbocco condiviso almeno sulle grandi questioni di cultura politica. Il pluralismo politico dei cattolici diviene sempre più un dato di fatto (anche quest'anno numerosi esponenti dell'associazionismo ecclesiale si candidano per le amministrative nelle liste del Pci, un caso per tutti quello del presidente delle Acli torinesi Reburdo), ma sembra sempre più arduo evitare la deriva solitaria e personalistica, ovvero la frantumazione dei singoli casi in un pluralismo non sostanziato più da una opinione pubblica ecclesiale al contempo libera e collegiale. Sempre più, infatti, viene a mancare nella Chiesa la circolazione serena del pensiero e della parola, come denuncia con vasta eco la lettera aperta di laici e teologi cattolici intitolata "Per una comunicazione più profonda e più autentica nella Chiesa". La firmano, tra gli altri, Ernesto Balducci, Dalmazio Mongillo, Luigi Della Torre, Adriana Zarri, Carlo Carretto, nonché l'allora segretario e l'allora presidente dell'Associazione Teologica Italiana, ovvero Carlo Molari e Luigi Sartori. Il fatto è che sta con fatica resistendo, ma è cinta da un assedio senza pari dalle truppe di Oltretevere, l'ecclesiologia del Concilio. E della cultura conciliare, della cultura cioè che con la lungimiranza della sapienza cerca i segni dei tempi e costruisce salvezza nella storia dell'uomo, sembra orfano tutto il Paese, un Paese allo sbando.

Il 12 febbraio viene ucciso dalla stoltezza delle Br proprio il vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura Vittorio Bachelet, che quella ecclesiologia aveva tradotto durante la sua presidenza dell'Azione Cattolica Italiana nella "scelta religiosa", stella polare per tutta la Chiesa italiana della stagione di "Evangelizzazione e promozione umana". Il 27 giugno avviene la Strage di Ustica: un aereo ‘scompare' dietro a depistaggi infiniti e 81 morti non avranno giustizia. Il 2 agosto una bomba esplode nella sala d'attesa della stazione di Bologna causando 85 morti e 203 feriti. Anche quella che all'inizio sembra solo una catastrofe naturale si trasformerà poi nel segno dello scempio politico: il 23 novembre il terremoto in Irpinia provoca migliaia di morti e l'incuria, la corruzione e il malaffare organizzato lo trasformano in una delle più grandi vergogne d'Italia. Come denunciano le Cdb, il problema non è tanto il terremoto quanto il Meridione d'Italia, barattato dalla politica nazionale con la criminalità organizzata in cambio di clientele e di voti. E quando il Sud è barattato, il risultato è sempre quello della messa a tacere della giustizia e della libertà democratica: Cosa nostra uccide il 6 gennaio Piersanti Mattarella, il presidente della Regione animato dalla volontà di bloccare le collusioni politico-mafiose; il 4 maggio Emanuele Basile, Capitano dei carabinieri impegnato in indagini patrimoniali sulla mafia della zona di Monreale; il 6 agosto Gaetano Costa, Procuratore capo di Palermo, impegnato nella lotta alla mafia. Parlare di "riflusso" e di ritorno del "sacro" a fronte di tutto ciò suona blasfemo, così come suonano blasfeme le critiche di ‘politicizzazione' rivolte da tanta Curia vaticana a mons. Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, ucciso il 24 marzo a causa della sua scelta evangelica per la giustizia e la pace vera. Ma la Chiesa ‘polacca' in salsa vaticana questo offriva: ripiegamento individualista da un lato e aggressività ideologico-spregiudicata dall'altro, ovvero da un lato movimenti ‘spiritualisti' e dall'altro Cl e Opus Dei, tanto per sintetizzare. Dissentono dallo schema realtà come la Fuci che, contro l'uso della crisi della ragione a vantaggio del ‘sacro', afferma con forza nel suo Congresso la forza profetica dell'Annuncio nella mediazione della storia e della ragione umana. (m. r. r.)

LETTERA PASQUALE DELLA CDB DI SAN PAOLO ALLA CHIESA DI SAN SALVADOR

9277) Roma-adista. "Cari fratelli e sorelle,

(...) I profeti, i giusti, i testimoni, gli amici ed i servitori del popolo, ancora una volta, come Gesù, vengono assassinati dai romani e dagli amici dei romani dei nostri giorni. Oscar, lo sappiamo, è stato spesso un isolato e un perseguitato: isolato e perseguitato dal potere economico e politico che sentiva in lui un insopportabile messaggero di pace e di giustizia, la cui voce squarciava le tenebre della complice oppressione e dava fiato e speranza al popolo senza voce. Anche rappresentanti della nostra chiesa romana hanno isolato Oscar, colpevole, ai loro occhi, di imprudenza; di avere idee socialmente troppo avanzate; di vivere la fede ed esercitare il suo ministero in un modo giudicato pericoloso per i custodi dell'ordine stabilito; di superare antichi steccati che dividevano i "credenti" ed i "non credenti" nell'im-pegno per la liberazione; di porre realmente in questione il modo di essere della chiesa perché essa fosse davvero pronta a farsi evangelizzare dai poveri e rispettosa delle scelte sociali e politiche compiute dal popolo oppresso per liberarsi e liberare.

Oscar aveva a poco a poco compreso sempre di più che la chiesa non solo non poteva benedire gli oppressori del popolo (come era accaduto purtroppo in America Latina, e anche in altre parti del mondo molte volte lungo la storia), ma non poteva nemmeno rimanere in una sostanziale neutralità di fronte agli oppressori del popolo, oppure accontentarsi di proclamare la pace e la giustizia in modo astorico, vellutato, incapace di colpire i nodi concreti che, in una situazione data, erano violenza istituzionalizzata, ingiustizia radicale. Il vostro e nostro fratello aveva compreso che la Parola di Dio è spada a due tagli che penetra profonda nella carne, recidendo il marcio, e non puro discorso consolatorio che lascia immutato un mondo costruito sulla ingiustizia e tranquilla una chiesa paga delle sue certezze e delle sue strutture. Il suo annuncio della Parola, perciò, luce per il popolo, seme di speranza per i disperati della terra, appello continuo alla conversione e alla riforma per la chiesa, suonava, al tempo stesso, per i potenti, sovversione, scandalo, empietà.

La vita stessa di Oscar, era segno di contraddizione, perché lui, così mite, dolce e paziente, era insieme così forte, tagliente, implacabile contro i potenti per la difesa dei poveri. Aveva rifiutato la protezione che gli offriva il governo, perché, diceva, "non è logico difendere il popolo stando al sicuro, essere un privilegiato quando il mio popolo è senza protezione". (...) Per questo hanno deciso di uccidere Oscar. E l'hanno ucciso proprio mentre alzava il calice del sangue di Cristo, in quella eucarestia dove, sempre invocando il pane del cielo, Oscar gridava che fosse condiviso da tutti in modo eguale il pane della terra e non fosse più versato il sangue dei poveri. L'hanno assassinato non nella cattedrale, ma, inerme, in una povera cappella: simbolo, quasi, della chiesa umile e povera, amica e sorella degli umili e dei poveri, per cui egli lottava.

La vostra chiesa, fratelli e sorelle di San Salvador, vive ora la passione del Signore; non solo perché hanno ucciso Oscar, quanto perché prima di lui ed ora ancora hanno ucciso e continuano ad opprimere, a flagellare, ad uccidere il popolo di San Salvador e di tutto il vostro paese, in questi giorni diventato quasi un simbolo di tutta l'America Latina sofferente e di tutti i popoli oppressi che, ovunque essi siano nel mondo, lottano per la loro dignità. Vorremmo, se lo potessimo, dirvi di non piangere, sorelle e fratelli. Se sono morti e muoiono tanti che lottano per la giustizia, altri raccolgono la loro eredità. Se hanno ucciso Oscar, non hanno sepolto il suo messaggio. Se hanno chiuso la sua bocca, non potranno imprigionare la parola del Signore. Oscar, come tutti gli altri che sono caduti per la liberazione, ci invitano a non mitizzare il loro ricordo ma, piuttosto, ad andare avanti con coraggio e fiducia per continuare il discorso che i potenti intendevano recidere per sempre.

Non piangere, dunque, chiesa di Dio che sei in San Salvador: tu saprai continuare la lotta per la tua liberazione e per quella del popolo che hai condotto con particolare audacia insieme ad Oscar. (...) Noi sappiamo che la lotta per la liberazione del popolo e quella per la riforma della chiesa sono strettamente collegate, a Roma e a San Salvador, anche se grandi sono le diversità sociali, politiche, economiche e culturali. Per questo, vorremmo dirvi che noi, donne e uomini, giovani e adulti che viviamo in questa comunità cristiana di base, vi sentiamo vicinissimi e ci sentiamo accanto a voi. (...) Vi abbracciamo, nel dolore e nella speranza.

Roma, domenica delle Palme, 30/3/80

La comunità di San Paolo"

(da Adista nn. 1708-1709-1710 del 12 febbraio1980)

VITTORIO BACHELET, UN CATTOLICO DEMOCRATICO FIGLIO DEL CONCILIO

"Hanno colpito ancora, e hanno ucciso uno dei migliori. Ma forse lo hanno ucciso proprio per questo. (...) La sua formazione scientifica di "giurista" nel ramo della "organizzazione amministrativa dello Stato", e la partecipazione, subito a livelli di responsabilità, nelle organizzazioni cattoliche degli anni ‘50, nella Fuci e nell'Azione cattolica, hanno rappresentato per il "giovane" Bachelet i due binari di un impegno, che si svilupperà negli anni successivi. Il suo preminente impegno "religioso" lo vede subito collocato in quell'ala "montiniana" del cattolicesimo italiano che prepara, negli anni più duri del dopoguerra, una stagione nuova dentro e fuori la Chiesa. E in quel periodo difficile e arduo che Bachelet cerca di conciliare la sua "appartenenza" istituzionale cattolica con una tensione riformatrice che potrà dispiegarsi solo con il Concilio. Ed è Paolo VI a nominare Bachelet nel 1964 presidente dell'Azione cattolica, con un preciso disegno innovatore: quello di smantellare le strutture "temporalistiche" della maggiore organizzazione cattolica italiana, adeguandola alle novità ormai evidenti della società civile. Lo scontro è ancora forte con la tradizione geddiana e con l'ambizione mai spenta nei settori politici più moderati di usare le strutture religiose per avventure politiche, ma Bachelet lo vince con una guida decisa e ferma che è durata un intero decennio. Da forza prevalentemente politica, e collaterale alla Dc, l'Azione cattolica tra il 1964 e il 1973 ridefinisce se stessa come organismo essenzialmente religioso, favorendo l'esodo di tutto quanto non è finalizzato a questo scopo. È nella relazione ai dirigenti diocesani del 18 marzo 1966 che Bachelet formula il suo programma affermando che una "presenza diretta" nell'ambito politico "non rientra nel nostro compito ordinario, essendo nostro dovere mantenere il rispetto delle competenze di quanti operano nelle strutture temporali secondo le regole ad esse proprie e con loro specifica e principale responsabilità". Erano parole difficili, in quel momento, soprattutto quando ad esse venivano fatte seguire scelte concrete. In pochi anni, sino a quando lo Statuto del 1969 consacra la "scelta religiosa" dell'Azione Cattolica, viene eliminato l'apparato clerico-politico dell'organizzazione; gli iscritti scendono da cifre mastodontiche a più realistiche proporzioni; la Democrazia Cristiana riesce meno ad avvalersi di un serbatoio di voti e di consensi. E non mancano reazioni integralistiche, sia dentro la Chiesa, sia in campo politico, quando le sconfitte elettorali che la Dc comincia a subire dal 1968 fanno guardare con diffidenza ed ostilità ad uomini come Bachelet che hanno una concezione troppo disincantata della religione e della fede. Bachelet può fruire del sostegno convinto di Paolo VI, ma solo molto più tardi, dopo il 1975-1976, si vedrà riconosciuto un merito fondamentale. Quello di aver preparato una rigenerazione profonda dell'Azione Cattolica mentre cadevano la vecchie strutture del cattolicesimo politico, e di non avere ulteriormente compromesso la Chiesa con una classe politica in aperta crisi di legittimazione. (...). E proprio quando nel 1973-1974, lascia la presidenza dell'Azione Cattolica, non lo si ritrova mai a fianco delle iniziative moderate di divisione del paese. I suoi gesti e le sue scelte, sempre misurati secondo il suo stile, sono tutti nel senso di favorire un rinnovamento delle strutture ecclesiali e della Democrazia cristiana; la sua collocazione è precisa, seppure autonoma, tra i cattolici democratici che chiedono la "rifondazione" della Dc dopo il 1974-1975 e in questa veste si candida al Consiglio comunale di Roma nel 1976. Una analoga coerenza hanno la sua partecipazione attiva alla preparazione e organizzazione del Convegno del 1976 della Chiesa italiana su "Evangelizzazione e promozione umana"; (...). Ed è nel 1976 che assumendo la vice-presidenza del Csm, Bachelet si trova alla guida di una "struttura dello Stato", come quella giudiziaria, nel pieno di un processo di rinnovamento interno e nel mezzo della tempesta del terrorismo. Questo impegno tenuto fino a ieri è stato ancora una volta un impegno di frontiera e forse tra i più difficili (...). L'impegno di lavoro che lo caratterizzava per una democrazia più forte e più giusta, e una fede religiosa che testimoniava con serenità e intensità, restano i segni di una vita cui ci inchiniamo commossi in questo momento.

Carlo Cardia"

(l'Unità, 13/2/80, da Adista nn. 1750/1754 del 3 aprile 1980)

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