Nessun articolo nel carrello

Raniero La Valle: L'"ingegneria politica" non può contrastare la crisi globale. Il "problema italiano", figlio del sistema bipolare

Tratto da: Adista Documenti n° 50 del 07/07/2007

Ciò che veramente è decisivo in politica è l’analisi. Se si sbaglia l’analisi, anche la più illuminata ricerca di obiettivi e prospettive è destinata ad essere travolta, perché sbagliando l’analisi si sbaglia anche la prognosi, e la situazione è destinata a degenerare. Da molti anni fra gli eredi della grande tradizione democratica e di sinistra italiana si sta sbagliando l’analisi: questa è la componente veramente catastrofica del contesto attuale, nel quale non si intravedono soluzioni e vie d’uscita.
Devo dire che sentendo la ricostruzione di Giovanni Avena e quella di Giorgio Tonini mi sono chiesto se io non abbia vissuto in un altro Paese. Io non ho mai avuto l’impressione che il fattore determinante della situazione fosse la vecchia questione del rapporto laici-cattolici. Non c’è dubbio che la posizione della Chiesa e l’atteggiamen-to dei cattolici nella vita pubblica rappresentino una variabile importantissima dell’equilibrio politico in generale. Come non vi sono dubbi sul fatto che la Chiesa sia intervenuta in modo anche molto pesante nei tempi più recenti. Tuttavia ritengo sia un’analisi profondamente errata credere che il “problema italiano” sia il problema del rapporto tra la Chiesa e la cultura laica, la cultura democratica. Penso infatti che il “problema italiano” sia analogo a quello che caratterizza tutto l’Occidente e di cui non sappiamo quale sarà lo sbocco. L’Occidente si trova di fronte a un’alternativa. Deve affrontare la sfida di un mondo completamente cambiato che presenta problemi nuovissimi rispetto a tutte le epoche passate, a cominciare dal problema ecologico. Relativamente nuovi sono anche i soggetti protagonisti sullo scacchiere mondiale: la Cina, la nuova Russia, il mondo islamico. L’Occidente può risponde a questa sfida con il riflesso condizionato del vecchio eurocentrismo - proiettato ormai a dimensione planetaria attraverso la mediazione degli Stati Uniti -, e cioè tentando in qualche modo di “tenere a bada” il mondo per poter continuare a godere della propria porzione di risorse, di beni, e di ricchezze. Questa via presuppone una visione del futuro nei termini di una “guerra d’eredità”, ovvero di una spartizione violenta dell’eredità di risorse ormai scarse; è una scelta che gli Stati Uniti hanno già fatto, è il disegno tratteggiato dalla nuova destra americana, dai teorici del “nuovo secolo americano” - ma su questo potrà illuminarci Furio tra poco. L’Europa ancora non ha intrapreso questa strada, però le pressioni perché compia questa “scelta di civiltà” - con la Chiesa in testa - sono fortissime: si tenta di spingere anche l’Europa verso un regolamento di conti basato sulla forza. L’alternativa a tutto ciò prevede la ripresa del grande discorso democratico ed internazionalista del Novecento; vale a dire accettare le nuove soggettività, le nuove problematiche, i nuovi parametri in base ai quali si deve organizzare la vita del mondo. È il discorso del dialogo, della collaborazione, del rilancio delle istituzioni di democrazia internazionale, e così via.
Io penso che l’Italia - in virtù della sua storia e della sua tradizione – avrebbe i titoli per giocare un ruolo molto importante per contribuire ad indirizzare la strada in un senso oppure in un altro. Ma da almeno 15 anni assistiamo ad un processo degenerativo della democrazia italiana - con molti protagonisti, alcuni consapevoli, altri no - che ha proprio l’obiettivo di privare l’Italia del suo ruolo fondamentale sullo scenario internazionale. La prima guerra del Golfo è del 1991, c’era ancora Gorbaciov. A partire da quel momento l’Occidente ha sentito il bisogno di riposizionarsi di fronte alla novità rappresentata dalla fine dei blocchi ed è cominciata parallelamente l’opera di smantellamento della democrazia italiana: nei suoi istituti e soprattutto nelle sue motivazioni profonde, nei suoi valori, nelle sue - diciamo così - tradizioni. A partire dalla cancellazione dei partiti storici. Per quanto il processo sia stato certamente favorito da tutto l’orrore seminato negli anni del precedente regime democristiano, non si può non notare la sistematicità e la lucidità con cui si è perseguito l’obiettivo di distruggere le grandi tradizioni appartenenti alla storia di questo Paese e la ‘metodicità’ con cui si è teso al sovvertimento delle istituzioni attraverso artificiose procedure di ingegneria costituzionale ed elettorale come l’abolizione del proporzionale e l’introduzione del maggioritario.
Mi pare strano che dopo 15 anni di questa esperienza si faccia ancora astrazione dalla situazione nella quale ci troviamo. E mi riferisco in particolare al dibattito sul Partito Democratico, che non coglie in alcun modo la crisi della democrazia italiana: noi abbiamo il gravissimo problema di una destra arrogante, populista, eversiva. Non è possibile immaginare una qualsiasi operazione politica che non tenga conto di cosa è la destra italiana: dopo un primo momento di “presentabilità” - con la destra storica risorgimentale - la destra italiana ha sempre rappresentato un’alternativa radicale allo sviluppo democratico del Paese; è stata la destra agraria, la destra degli squadristi, la destra della marcia su Roma, la destra del fascismo, la destra delle leggi razziali, ecc.; e la destra che si è nascosta a lungo nella Democrazia cristiana. Quando  l’esperienza della Dc si è conclusa, noi abbiamo creato un sistema politico talmente pericoloso che ogni giorno rischiamo di consegnare a questa destra il potere in modo definitivo.
Per la promessa assolutamente incostituzionale di abolizione di tasse, di abolizione dell’Ici, abbiamo rischiato di perdere le elezioni. Abbiamo rischiato di consolidare il potere di Berlusconi e della destra in modo probabilmente definitivo, perché ci sarebbe stata anche l’approvazione della nuova Costituzione. Ci siamo creati delle istituzioni prive di qualsiasi ammortizzatore, bilanciamento e garanzia. Non ci sono strumenti che permettano di fronteggiare in modo politico un’eventuale emergenza democratica. È la prima volta che questo problema si pone in modo così esplicito.
In passato c’è stato l’affare del generale De Lorenzo, più altri episodi che avrebbero dovuto metterci in guardia. Ma ad ogni modo - ripeto - è la prima volta che si pone con questa nettezza un problema a livello di “sistema”. E meno male che abbiamo trovato un governo che - per quanto caratterizzato da innegabili limiti - ha trovato la forza, ad esempio in occasione del recente caso del generale Speciale, di denunciare la reale natura del problema. Se Padoa Schioppa non avesse fatto quel discorso, avremmo rischiato veramente un colossale fraintendimento: si rischiava di far credere che abbiamo dei salvatori della Patria con le stellette pronti ad intervenire.
Il problema del Pd è appunto che non si può pensare di rispondere a questi problemi attraverso un progetto di pura ingegneria partitica che ignora le culture politiche, le tradizioni, e si concentra su una sola cosa: nella immaginazione assolutamente illusoria di coloro che lo stanno perseguendo, dovrebbe consentire di vincere le elezioni e di mantenere il governo del Paese.
Quando il processo di costituzione del Partito Democratico sarà arrivato a conclusione - dopo aver perso tutti i pezzi che già sta perdendo - potrebbe contemporaneamente arrivare a compimento la riforma che spinge ancora di più nel senso del bipolarismo, o addirittura del bipartitismo. Ma nessuno ci garantisce che il partito di maggioranza, che secondo le nuove regole dovrebbe incassare uno straordinario “premio di maggioranza”, non possa essere Forza Italia. Allora a quel punto, quando il Partito Democratico si potrà sedere e dire “finalmente ci siamo riusciti, abbiamo fatto il partito, abbiamo persino un leader”, a qual punto arriverà la catastrofe per il Paese. Perché la democrazia italiana sarà stata privata di forze enormi, forze eredi di grandi tradizioni, ivi compresa quella cattolica, ivi compresa la tradizione del cristianesimo democratico. Queste forze non potranno fare nulla per difendersi perché saranno prive degli strumenti politici indispensabili per agire. L’aboli-zione del proporzionale e questa idea di una coartazione violenta di tradizioni, progetti ed idee diverse dentro due soli contenitori, la cui unica modalità di rapporto è quella dell’odio reciproco, hanno portato non soltanto alla distruzione di un sistema politico, ma anche alla distruzione della stessa coscienza civile del Paese. Altro che la Chiesa, altro che l’amore dei nemici, altro che “Deus caritas est”!
Qui noi stiamo creando una cultura - rilanciata ogni giorno da tutti i mezzi di informazione - che concepisce come unica modalità possibile di relazione politica la reciproca distruzione, l’annichilimento del nemico. Basta vedere come una persona che dovrebbe avere una sua serietà - parlo di Francesco D’Onofrio e della sua esibizione in occasione del dibattito parlamentare sul “caso Visco-Speciale” - si permette di insultare un ministro della Repubblica italiana in una maniera assolutamente aberrante. E ciò non avviene perché D’Onofrio sia particolarmente maleducato: è il sistema che produce questo; produce queste conseguenze, produce queste culture, produce questi atteggiamenti.
Vorrei concludere il mio discorso affrontando la questione dei laici cattolici. Ma è proprio vero che sui temi eticamente sensibili i cattolici debbano o subire l’iniziativa, l’elaborazione dei laici, oppure semplicemente fare un’ opera di contenimento, di sconto, di mediazione? Eppure su ognuno di questi temi c’è una risposta cristiana, che certamente non è quella di Ruini. Non può non esserci: sul testamento biologico, sui Dico, sulle convivenze, sulla fecondazione artificiale, c’è una risposta cristiana che si può sostenere come autonoma rispetto alle altre soluzioni. È esattamente l’operazione che noi abbiamo fatto non tanto sul divorzio, quanto sull’aborto. Sull’aborto noi abbiamo impostato un discorso di libertà della donna e di investimento di responsabilità pubbliche sulle scelte che lei deve fare che non era il discorso di Baslini-Fortuna-Pannella, ma neanche di Giglia Tedesco e neanche dei socialisti che avevano la direzione della Commissione Sanità del Senato. E tanto meno era il discorso della Democrazia cristiana, che lì veramente in modo clericale non ha fatto altro che farsi cinghia di trasmissione del “non possumus” della gerarchia cattolica.
Noi eravamo sostenitori di una soluzione diversa e alternativa, come diversa e alternativa era la posizione di Carlo Carretto che, di fronte al voto sul divorzio, disse: “Io voto per il divorzio per il mio amore verso questi poveri immigrati che in Germania e Svizzera sono separati dalle loro spose e vivono nella sofferenza e nell’abban-dono. Per loro voto per il divorzio”. Questo era un discorso cristiano, non era un discorso di “sconti”.
Prima delle recenti elezioni amministrative ho assistito a una puntata della trasmissione “Primo piano” in onda su Rai Tre dedicata ai temi “eticamente sensibili”. I due schieramenti della destra e della sinistra - del centrodestra e del centrosinistra - erano rappresentati da una parte da Rocco Buttiglione e dall’altra da Emma Bonino. E allora mi chiedo: ma dove pensate che vadano i cattolici? Per chi dovevano votare? È il sistema che produce queste aberrazioni; io vorrei sapere perché uno deve essere obbligato a stare nello stesso schieramento politico di Marco Pannella, che mi fa una manifestazione per accogliere Bush, che mi fa le manifestazioni per Israele, che mi porta una cultura di radicalismo individualistico e liberale che è assolutamente l’antitesi di ciò che io ho sempre pensato e di ciò per cui ho sempre combattuto.
Io posso anche fare un governo con Pannella, perché un governo è limitato nel tempo e costruito sulla base di un chiaro compromesso programmatico. Ma non potete pretendere che stia nella stessa coalizione elettorale di Marco Pannella, che debba firmare un programma identico a quello di Marco Pannella. Non me lo potete chiedere. Una coalizione che si presenta alle elezioni ha anche un compito pedagogico, deve esprimere e rilanciare le istanze che nascono all’interno della società.

Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.

Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!

Condividi questo articolo:
  • Chi Siamo

    Adista è un settimanale di informazione indipendente su mondo cattolico e realtà religioso. Ogni settimana pubblica due fascicoli: uno di notizie ed un secondo di documentazione che si alterna ad uno di approfondimento e di riflessione. All'offerta cartacea è affiancato un servizio di informazione quotidiana con il sito Adista.it.

    leggi tutto...

  • Contattaci

  • Seguici

  • Sito conforme a WCAG 2.0 livello A

    Level A conformance,
			     W3C WAI Web Content Accessibility Guidelines 2.0

50 anni e oltre

Adista è... ancora più Adista!

A partire dal 2018 Adista ha implementato la sua informazione online. Da allora, ogni giorno sul nostro sito vengono infatti pubblicate nuove notizie e adista.it è ormai diventato a tutti gli effetti un giornale online con tanti contenuti in più oltre alle notizie, ai documenti, agli approfondimenti presenti nelle edizioni cartacee.

Tutto questo... gratis e totalmente disponibile sia per i lettori della rivista che per i visitatori del sito.