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Maria Rita Rendeù: La democrazia come scelta non neutrale

Tratto da: Adista Documenti n° 50 del 07/07/2007

Per un secondo giro di interventi vedrei la necessità di riconsiderare l’idea stessa dell’Ulivo come casa comune di credenti e non credenti, o di “laici” e “cattolici”, stando alla vulgata mediatica. Sarebbe meglio dire casa comune di “pensanti”, nel senso del cardinal Martini quando invitava a distinguere non tanto tra credenti e non credenti quanto tra pensanti e non pensanti. Ma sicuramente, stando anche alle attese del popolo ulivista che si organizza in tanti comitati di base, l’Ulivo non può essere comunque casa comune di credenti e “miscredenti” nel senso delineato prima da Furio Colombo. Nel senso che il processo partito dall’Ulivo e ora sfociato, in parte, nel Partito Democratico dovrebbe rimanere saldamente ancorato alla scelta di un preciso umanesimo, di una precisa idea di convivenza umana e democratica che è quella sancita dalla nostra Costituzione. Perché la mediazione riproposta dall’Ulivo - ripeto, almeno nelle ansie e nelle speranze di chi si è rivolto con fiducia a tale progetto politico - è quella cui tocca svolgere il filo avviato dalla Costituzione nata dalla Resistenza contro la dittatura nazifascista e che ha posto le basi e la norma della democrazia intesa come partecipazione popolare alla vita comune del Paese.
Una democrazia sempre da compiere perché in questo Paese resta latente l’inciampo dell’autoritarismo fascista, del populismo consumista, del potere illegale e mafioso. E qui va posto il problema di un incontro tra laici e cattolici che da metodo si fa contenuto, uscendo dalla identificazione sciatta di questi due soggetti collettivi intesi come categorie neutre e omologate per entrare invece nell’ambito della scelta circa la linea culturale e politica attestata da questo incontro. Linea che vorremmo fosse ancora “a sinistra”, nel senso storicamente sedimentato che questa parola ha assunto per indicare ideali di libertà e giustizia, sia attraverso le storie eredi del movimento operaio che attraverso le storie eredi del filone personalista e poi conciliare del mondo ecclesiale.
Quali sono dunque i soggetti-linee della mediazione in questione? Occorre capire quale delle due anime del cattolicesimo italiano (quella teodem o quella conciliare della scelta religiosa?) e quale cultura laica (quella “pensante” un certo umanesimo o quella degli atei devoti alla Bush?) abbiano stretto il patto dell’Ulivo per capire se queste radici fioriscano ora nel Pd. La messa a tema dell’incontro diventa allora contenuto in sé nel senso che esprime una scelta sulla direzione da prendere riguardo al progetto politico della convivenza democratica. È importante deciderlo, questo progetto politico, uscendo dalla vaga nebulosa da un lato cinicamente spartitoria e dall’altro genericamente evanescente-‘kennedia-na’-buonista che aleggia sul cantiere del Pd.
È importante a fronte proprio dell’antidemocrazia, ovvero del mai prosciugato ristagno fascio-populista che attanaglia il nostro Paese attraverso l’arbitrio e il sopruso. Abbiamo ancora Berlusconi, ovvero la politica “al di là del bene e del male”, fuori dalle regole, sospesa nell’indistinto della convenienza momentanea, ma il problema non si identifica con un solo uomo, è più esteso, è più endemico.
La speranza dell’Ulivo risiede nella capacità di contrastare l’antidemocrazia tornando a sedimentare una profondamente laica e per ciò stesso profondamente religiosa cultura della giustizia: l’incontro non è tra i “cattolici” e i “laici” che giungono a stentati e pasticciati compromessi - in nome della “condivisione” ad ogni costo spesso spartitoria a partire dalle loro “confessioni d’appartenenza” -, l’incontro è sulla via degli uomini e delle donne del nostro tempo, sulla via della convivenza umana riscoperta nella sua laica religiosità, ovvero nella sua intangibile ulteriorità umana rispetto ad ogni strumentalizzazione del potere. Il costituendo Partito democratico è capace di raccogliere questa sfida? Assistiamo sovente al battesimo di marca costantiniana cui si presta l’attuale Chiesa italiana nei confronti della destra illudendosi con ciò di battezzare l’intero Paese. Illudendosi, perché a fronte di tanta confessionalizzazione abbiamo un popolo sempre più paganizzato dall’economicismo di maniera e dal consumismo mediatico. Ma il Pd saprà esprimere questa lungimiranza capace di far uscire il Paese dalle secche della rassegnazione ai poteri economici dominanti? Ha il Pd lo spessore politico per saper contrastare la cosiddetta antipolitica? È vero, la mancanza del senso delle distinzioni e un qualunquismo esasperante sono spesso causa di tanta antipolitica. Ma il Pd ha le carte in regola circa il proprio ceto politico o è complice di quell’ humus per cui spesso la politica muore di “fuoco amico”? Dove sta quella certa diversità dall’andazzo di casta, diversità che pure ha segnato la storia di tanta sinistra e di tanto cattolicesimo democratico? E a proposito di cattolicesimo: lo specifico storico che porta in dote al Pd qual è? Vorrei rifarmi ancora alle parole del cardinal Martini quando mise in guardia il cattolicesimo politico dall’equazione cattolicesimo uguale “moderatismo”. Che ne è del coraggio per un mondo altro? Tutti presi dalla morale “bio-cattolica”, qualcuno pensa ancora alle grandi questioni della geo-politica, della giustizia sociale, della moralità pubblica e della legalità democratica?

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