"SUMMORUM PONTIFICUM": TUTTE LE TAPPE DI UN DOCUMENTO ATTESO MA TEMUTO. SCHEDA
Tratto da: Adista Notizie n° 51 del 14/07/2007
33970. CITTÀ DEL VATICANO‑ADISTA. La "liberalizzazione" del rito pre‑conciliare (v. notizia precedente) è stata preceduta da una politica di graduale apertura nei confronti degli integristi lefebvriani e la sua gestazione è stata accompagnata da dure polemiche nel mondo cattolico e non solo. Ecco le tappe principali di questo travagliato iter.
Il "Buon Pastore" e le pecorelle lefebvriane
Nell'aprile 2006, Benedetto XVI chiede consiglio ai cardinali, in un incontro a porte chiuse, su come tentare di porre fine allo scisma lefebvriano, la cui soluzione appare complessa e, secondo alcuni, non auspicabile a breve, viste le inaccettabili condizioni ‑ un vero affossamento del Concilio Vaticano II ‑ che i discepoli del "vescovo ribelle" morto quindici anni fa pongono per il loro rientro. Nel corso dell'incontro emergono ‑ a quanto si sa ‑ pareri assai diversi e divergenti. Nulla di fatto, dunque (v. Adista n. 61/06).
A settembre, Benedetto XVI trova un éscamotage, scegliendo di aggirare l'ostacolo, e decide di riaccogliere uno scarno gruppo di integristi in Francia (cinque preti, un diacono e alcuni seminaristi), nato da una "scissione" in seno alla Fraternità sacerdotale san Pio X di mons. Marcel Lefèbvre. Impone poi ai vescovi d'Oltralpe di gestire le gravi contraddizioni che la scelta comporta, non ultimo il rischio di svuotare di significato il Concilio Vaticano II. E così, l'8 settembre, il card. Darío Castrillón Hoyos, come presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, emana un decreto che erige l'Istituto del Buon Pastore a Società di vita apostolica la cui sede sarà la chiesa di Saint‑Éloi a Bordeaux, e che, in quanto di diritto pontificio, dipenderà direttamente da Roma. L'Istituto ‑ nel quale confluisce il suddetto gruppo ‑ riceve come "rito proprio in tutti i suoi atti liturgici" il messale del 1962, ovvero quello pre‑conciliare, mentre "da un punto di vista dottrinale", la sua "missione" sarà quella di impegnarsi in una "critica seria e costruttiva" del Concilio Vaticano II, "per permettere alla sede apostolica di darne una interpretazione autentica".
Nel corso dell'autunno 2006 la Chiesa francese insorge (v. Adista n. 65/06). L'arcivescovo di Bordeaux, card. Jean‑Pierre Ricard, che è anche membro della Commissione Ecclesia Dei, lamenta di essere stato informato del provvedimento il giorno prima, da un giornalista. Forte protesta viene espressa dal Consiglio presbiterale della diocesi, che il 15 settembre emette un comunicato in cui "riafferma la sua comunione con l'arcivescovo" e "denuncia l'assenza di informazione e di concertazione con la Chiesa locale nella creazione di questo Istituto". Per la prima volta, poi, una lettera "ai preti della diocesi" viene redatta congiuntamente da tutti i vescovi di una intera "provincia ecclesiastica", quella della Normandia. Mons. Jean‑Charles Descubes di Rouen, mons. Jean‑Claude Boulanger di Sées, mons. Michel Guyard di Le Havre, mons. Christian Nourrichard di Evreux, mons. Pierre Pican di Bayeux‑Lisieux e l'amministratore diocesano di Coutances e Avranches, p. Michel Le Blond, esprimendo "stima fraterna e fiducia" nei confronti dei preti della regione, rimarcano che "i cammini di dialogo e di riconciliazione recentemente aperti suscitano per forza in voi interrogativi e inquietudine".
Un "Motu proprio" a lungo atteso?
Nel frattempo il papa rompe gli indugi e si prepara a "liberalizzare" l'uso del rito pre‑conciliare: la notizia, anticipata da alcuni giornali italiani e inglesi, viene confermata dal Sir (l'agenzia di stampa della Cei) il 12 ottobre con l'annun-cio di un Motu proprio papale di cui da questo momento, e a più riprese, viene data per imminente la pubblicazione. Il documento dovrebbe articolarsi attorno al principio che "non c'è che un solo rito latino, con due forme: quella ordinaria (il rito post‑conciliare, ndr) e una straordinaria (quella pre‑conciliare, ndr)", entrambe con pieno ed uguale diritto all'interno della Chiesa d'Occidente (v. Adista n. 73/06).
La notizia non fa che esacerbare gli animi. Sul quotidiano cattolico francese La Croix (13/10) l'arcivescovo di Tolosa, mons. Robert Le Gall, presidente della Commissione dell'episcopato per la liturgia e la pastorale sacramentale nonché membro della Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei sacramenti, esprime il timore che i recenti fatti creino in Francia "gravi difficoltà, in particolare in chi è rimasto fedele al Vaticano II e celebra secondo il rito di Paolo VI". Ora, la liberalizzazione del rito tridentino con la distinzione di un rito latino 'ordinario' e di uno 'straordinario' comporterà un "biritualismo di fatto non facilmente gestibile".
Preoccupazioni analoghe a quelle di Le Gall sono state espresse dal vescovo di Angoulême, mons. Claude Dagens: "Se mai si volesse imporre, in modo autoritario, un biritualismo ‑ ha detto in un'intervista al settimanale cattolico La Vie (19/10) ‑ ci si troverebbe in una situazione grave e preoccupante".
Sul retroterra ideologico dei tradizionalisti insiste mons. Gérard Defois, arcivescovo di Lille, in una intervista al quotidiano Le Figaro (21/10). Il problema non è la liturgia in sé, afferma, quanto la visione del mondo veicolata da coloro che se ne fanno difensori: rifiuto di un adattamento della Chiesa alla società moderna, lettura integralista del Vangelo di Cristo. "Possono esserci collusioni intellettuali tra certe correnti politiche estremiste e legittimazioni religiose".
In un editoriale della Revue d'éthique et de Théologie morale, il vescovo di Metz mons. Pierre Raffin afferma che la coesistenza di due riti "a volte molto vicini, a volte molto diversi", "finirebbe per nuocere all'unità della Chiesa cattolica". Molto schietto mons. André Lacrampe di Besançon, che si è categoricamente rifiutato di accogliere nella sua diocesi preti integralisti: "Questi preti (del Buon Pastore, ndr) non possono venire in una diocesi senza l'accordo dei vescovi del luogo, e per quanto mi riguarda non intendo accoglierne, non si può cancellare con un tratto di penna il Vaticano II".
La Francia si ribella
Alla fine di ottobre, quello che avrebbe dovuto essere un incontro celebrativo tra liturgisti per i 50 anni dell'Isti-tuto Superiore di Liturgia dell'Università cattolica di Parigi, presieduto dall'arcivescovo di Parigi mons. André Vingt‑Trois e alla presenza del card. Francis Arinze, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, diventa in realtà un momento di dibattito accorato sugli sviluppi della questione del rito tridentino.
Mentre su Internet si moltiplicano i blog dei gruppi tradizionalisti che chiedono insistentemente il ritorno della messa di San Pio V, la gerarchia della Chiesa cattolica continua a fare sentire la sua voce. Sono ben dieci, infatti, i vescovi della regione ecclesiastica di Besançon e delle diocesi di Strasburgo e Metz che, dopo l'esempio dei loro confratelli della Normandia, firmano un comunicato in cui esortano i loro fedeli a "proseguire il lavoro intrapreso" nel corso degli anni dal punto di vista della liturgia. Dall'altra parte della 'barricata', in una petizione, il "Collectif 51", che raccoglie tradizionalisti di Reims, chiede al proprio arcivescovo, mons. Thierry Jordan, di "autorizzare la celebrazione dei sacramenti secondo i testi liturgici in vigore nel 1962", mentre il blog Homme nouveau si pone l'obiettivo di raccogliere migliaia di firme a sostegno del papa. Nel frattempo, aumenta il numero delle adesioni alla lettera che un gruppo di preti "nati dopo il Vaticano II" (v. Adista n. 77/06) ha scritto ai vescovi, al presidente della Conferenza episcopale francese e al nunzio apostolico, per esprimere inquietudine di fronte ad uno scenario di potenziale divisione nella Chiesa.
"Santo Padre, non lo faccia!", è l'accorato appello del vescovo emerito di Amiens mons. Jacques Noyer, per il quale le discussioni in corso non sono querelle da sacrestia né "capricci per il gusto delle cerimonie", ma segni di un tentennamento nella rotta seguita dal papa, come afferma in un articolo pubblicato sul settimanale cattolico francese Témoignage chrétien (26/10).
All'inizio di novembre, i vescovi d'Oltralpe si compattano e alla fine dell'Assemblea plenaria svoltasi a Lourdes firmano in blocco un documento di sostegno al loro presidente, che si trova in una posizione assai scomoda. Come arcivescovo di Bordeaux e presidente della Conferenza episcopale francese, ma allo stesso tempo membro della commissione Ecclesia Dei che si occupa della reintegrazione dei lefebvriani nella Chiesa, Ricard è diviso infatti tra l'obbedienza alla volontà del papa di restaurare il rito tridentino della messa e di riaccogliere gli scismatici nella comunione e le preoccupazioni di pastore di una Chiesa locale che rischia di veder compromessa la propria unità.
Dalla Francia all'Italia…
La polemica ha ripercussioni anche in Italia. Il 27 novembre l'arcidiocesi di Genova pubblica un documento contenente alcune "precisazioni in merito ad una eventuale promulgazione di Motu proprio per facilitare l'applicazione dell'indulto sull'uso del Messale detto di San Pio V". Il documento, evidentemente preparato in risposta alla preoccupazione diffusa tra i fedeli, li tranquillizza affermando che non vi sarebbe contraddizione tra rito tridentino e l'attuale liturgia in quanto "due espressioni valide della stessa fede". "L'ampliamento dell'indulto riguardante la liturgia cosiddetta di San Pio V ‑ si legge ‑ non equivale in alcun modo a sconfessare il Concilio Ecumenico Vaticano II, né il magistero dei papi Giovanni XXIII e Paolo VI".
In questo clima confuso in cui i pericoli del ritorno al passato non sono ancora pienamente avvertiti (un appello del genovese don Paolo Farinella contro il rito tridentino ha raccolto solo 1.300 firme circa), nella diocesi di Vicenza viene ripresentato al vescovo, mons. Cesare Nosiglia, un appello (sottoscritto già due anni prima da circa settecento vicentini) in cui si chiede di poter celebrare la messa secondo il Messale di S. Pio V, tutte le domeniche e le feste di precetto. La risposta è negativa.
… all'Inghilterra, la Germania e l'Olanda
In Europa, i presidenti delle Conferenze episcopali tedesca e belga, il card. Karl Lehmann e il card. Godfried Danneels, esprimono al papa la loro contrarietà al provvedimento. Per il primo, con la liberalizzazione della messa tridentina vi sarebbero problemi non solo di natura dogmatica ma anche magisteriale; il card. Lehmann mette in guardia da possibili ambiguità nelle comunità. Per Danneels, "i vescovi francesi che hanno reagito a questo progetto hanno ragione".
Anche un prelato inglese, mons. Kieran Conry, vescovo di Arundel e Brighton, teme che il ritorno del rito tridentino "possa provocare gravi divisioni": "Potrebbe mandare un segnale infelice, come se a Roma non si fosse più pienamente fedeli alle riforme del Vaticano II e potrebbe incoraggiare quelli che vogliono rimandare indietro le lancette dell'orologio della Chiesa". "Inoltre", aggiunge, "a meno che i vescovi non conservino il loro potere di controllare l'uso del rito, ci sarà confusione nelle parrocchie. Alcuni preti tradizionalisti lo vorranno usare in maniera quasi esclusiva, escludendo chi vuole la nuova messa".
Il primate inglese card. Murphy O'Connor scrive addirittura una lettera "confidenziale" al papa in cui afferma che non sono necessari cambiamenti. Le preoccupazioni riguardano anche il contenuto "antisemita" di alcune preghiere liturgiche che, se rimesse in vigore, rischierebbero di vanificare quarant'anni di dialogo ebraico‑cristiano.
A questo proposito, interviene il rabbino David Rosen, presidente della Ijcic, l'organismo che rappresenta l'ebraismo mondiale nei suoi rapporti con le altre religioni. Pur non esprimendo timore per una possibile regressione delle relazioni, Rosen sottolinea che "qualsiasi liturgia che presenti gli Ebrei come dannati nella loro fede non presenta un atteggiamento corretto nei confronti dell'ebraismo e del popolo ebraico". Stessa preoccupazione messa in luce dal gruppo di discussione "Ebrei e cattolici" del Zentralkomitee der deutschen Katholiken (Comitato centrale dei cattolici tedeschi, ZdK) che in una dichiarazione di Pasqua 2007 pone l'accento sui rischi per il dialogo ebraico‑cristiano. Nel frattempo, in Francia un recentissimo sondaggio pubblicato sulla rivista Pèlerin ha dimostrato che Oltralpe due terzi dei cattolici praticanti sono contrari al ritorno della messa di san Pio V.
Infine, la rivista cattolica francese Témoignage Chrétien, alla vigilia dell'uscita del Motu proprio, ha pubblicato un ironico editoriale in latino: "Coloro che sono fedeli al Concilio non hanno paura della lingua latina, né dei campanelli, ma del modo di guardare il mondo di quelli che difendono il rito tridentino". "Il rito di Pio V è quello di una Chiesa che si credeva unica detentrice della verità" e rifiuta "i risultati fondamentali del concilio: lo sguardo positivo sull'umanità, il riconoscimento del ruolo dei laici e l'apertura alle altre religioni". "Buona fortuna", conclude l'editoriale, "a tutti coloro che, insieme a Témoignage Chrétien, resisteranno". (ludovica eugenio e alessandro speciale)
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