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"LA POLITICA È MORTA... VIVA LA POLITICA!" LA NUOVA EDIZIONE DELL'AGENDA LATINOAMERICANA

Tratto da: Adista Documenti n° 70 del 13/10/2007

DOC-1909. ROMA-ADISTA. Non poteva essere di maggiore attualità il tema proposto alla riflessione, per il 2008, dall’Agenda Latinoamericana: "La politica è morta… Viva la Politica!". Nata nel 1992 da un’idea di Pedro Casaldáliga e di José María Vigil, in occasione del V centenario della conquista della Patria Grande, l’Agenda - il cui aggettivo latinoamericana richiama, come scrive Vigil, coordinatore del progetto, una geografia spirituale più che fisica - ha rappresentato da allora, nei 24 Paesi in cui viene diffusa, un importante strumento pedagogico e di animazione popolare. Un’opera collettiva, aconfessionale e macroecumenica, in quanto legata a "quel mondo di riferimenti, valori e utopie comuni ai Popoli, agli uomini, alle donne di buona volontà, che noi cristiani chiamiamo ‘Regno’, ma che condividiamo con tutti in una ricerca fraterna e umile di servizio". Così, nell’agenda, ogni giorno viene accompagnato dalla memoria degli eventi che hanno lasciato una traccia nella storia della liberazione dei popoli e dal ricordo di quanti hanno dato la vita per le grandi cause dell’umanità. E, ogni anno, intellettuali, teologi, leader sociali sono chiamati a riflettere su un tema specifico, da diverse angolature e nei suoi molteplici aspetti (35 i testi dedicati al tema della politica).

Un’opera disponibile anche in italiano, nell’edizione promossa quest’anno dal Gruppo America Latina della Comunità di Sant’Angelo e dalla Rete Radié Resch di Quarrata (per informazioni: thomare@tin.it o rete@rrrquarrata.it, tel. 0573/750539): "È interessante - scrivono nella Premessa Cinzia Thomareizis e Antonio Vermigli - osservare dalla prospettiva latinoamericana temi che coinvolgono anche noi, per giungere a una visione globale e ad un agire comune".

Seguendo il metodo, proprio della tradizione latinoamericana, del Vedere, Giudicare, Agire, l’agenda si propone, infatti, "in quest’ora di stanchezza, persino di delusione e di abbandono da parte di molti", di "insistere – scrive Vigil – sull’importanza dell’impegno politico per ogni essere umano". Che certa politica sia morta appare con ogni evidenza, in America Latina come in Italia: "Ciò che è in crisi - scrive il teologo José Comblin nel suo intervento - è l’attuale sistema politico. Il sistema di assemblee o camere dei rappresentanti non funziona. Non produce risultato alcuno", perché "i deputati e i senatori, ogni volta di più, rappresentano le grandi aziende che hanno finanziato la loro campagna elettorale" e perché al nuovo eletto "interessa soltanto quello che gli elettori penseranno e ciò che questi elettori cercano sono opere a breve termine". Eppure, non mancano i segni di una rinascita: "Vi è un forte rinnovamento della politica con la partecipazione delle grandi masse. I popoli hanno iniziato a sentire di non essere inutili, incapaci". Ma è ancora un inizio: nel frattempo, la priorità assoluta è, secondo Comblin, la "restaurazione del potere dello Stato", che è ciò che stanno operando, dal Venezuela alla Bolivia all’Ecuador, quei leader carismatici tacciati di populismo dalle élites. È una strada non priva di rischi: "Come evitare l’autoritarismo?", si chiede infatti Comblin. "Ebbene, sarà la sfida futura, oggi il compito è un altro: rifare".

 

Una democrazia di supporto all'economia globalizzata

E da rifare c’è davvero tanto: "Nel corso dei secoli – scrive il religioso scalabriniano Alfredo J. Gonçalves – la democrazia si è fermata a metà del percorso", non riuscendo a scendere "fino al fondo occulto delle strutture economiche, dove gli interessi toccano l’‘organo’ più sensibile dell’homo economicus, e, cioè, il portafoglio, il conto bancario o la proprietà privata. Lì rimane inalterato il dominio degli individui, delle imprese e dei gruppi di maggior potere finanziario". Pertanto, "la democrazia giuridico-formale" si è trasformata in "una specie di sostegno istituzionale all’economia globalizzata", mantenendo in apparenza una partecipazione politica attraverso il voto libero e ‘democratico’, ma delegando "ai burocrati del marcato finanziario il vero destino politico ed economico dei diversi popoli". Lo Stato-Nazione, afferma il leader del Movimento dei Senza Terra João Pedro Stédile, si è trasformato in mero amministratore degli interessi delle imprese (le 500 più grandi, sottolinea, controllano il 52% di tutta la produzione della ricchezza mondiale, dando lavoro solo all’8% della classe lavoratrice). Sono queste ad eleggere sindaci, deputati e presidenti, ricevendo, in cambio, "leggi magnanime per i loro interessi". Ma se "la politica del voto, della delega del potere istituzionale, è morta per il popolo", questo "dovrà riprendere in mano la politica, cioè costruire un potere della volontà popolare unificata per riuscire a trasformare il governo, lo Stato e l’organizzazione dell’economia". Del resto, "il capitalismo imperialista non riuscirà ad illudere tutti per sempre. Nuovi venti soffieranno e la storia della civiltà umana recupererà il suo corso, affinché la politica sia uno strumento di miglioramento delle condizioni di vita di tutta la popolazione e spazio di potere popolare".

Ma la rinascita della politica attraverso una sua restituzione alla gente, in nuove forme partecipative e trasparenti, e attraverso una rigenerazione dello Stato, chiamato "a recuperare la sua anima, cioè la sua finalità pubblica", come sostiene il vescovo di Jales mons. Démetrio Valentini, prevede anche, scrive l’educatrice argentina Claudia Korol, l’invenzione di "una modalità di vivere nel mondo che permetta di stabilire relazioni di scambio con l’ambiente nel quale nasciamo e cresciamo, evitando i rischi già evidenti della sua distruzione". Implica, cioè, afferma il teologo Paulo Suess, una nuova bandiera comune: la centralizzazione della vita per tutti e tutte - vitacentrismo la chiama il teologo - "e non a danno della natura ma in armonia con essa e a partire dal povero": "Oggi la meta della politica, nazionale e planetaria al tempo stesso, è l’articolazione dell’equilibrio ecologico del pianeta terra con l’equilibrio socio-culturale di Stati e nazioni".

 

Discepoli di un prigioniero politico

Se il tema di una visione ecologica della politica è centrale nella riflessione condotta dall’agenda (in cui trovano spazio anche le questioni del cambiamento climatico e degli agrocarburanti), molto presente è pure quello del rapporto tra fede e politica. Come ricorda il leader sociale brasiliano Chico Whitaker, a chi criticava la Chiesa per la sua "‘intromissione’ in un terreno che non sarebbe il suo", il card. Paulo Evaristo Arns rispondeva: "Il modo peggiore di fare politica è non fare politica". "Il suo ragionamento - commenta Whitaker - era corretto: in una società ingiusta, non partecipare alla politica è lasciare che le cose rimangano come sono, ossia, in pratica, stare dalla parte di coloro che desiderano che l’ingiustizia continui".

"Tutti noi cristiani – afferma Frei Betto – siamo discepoli di un prigioniero politico": erano talmente minacciose le implicazioni politiche dell’azione di Gesù da indurre Caifa, in nome del Sinedrio, a dire: "meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera". Secondo Frei Betto, non è possibile immaginare in America Latina "un vissuto cristiano politicamente neutro o capace di unire religiosamente ciò che le ingiuste relazioni economiche e sociali contrappongono". Ai cristiani "impegnati con il progetto del Dio della Vita, l’esistenza di un impoverimento massiccio chiede, in nome della fede, una presa di posizione chiara", che è una presa di posizione politica. Chiede, cioè, di "restaurare la speranza dei poveri ed aprire un nuovo orizzonte libertario alla lotta della classe lavoratrice". In questo quadro, "si fa necessario esplicitare le cause delle devianze croniche dei regimi socialisti e ridefinire il concetto stesso di socialismo". Nella convinzione che, come sottolinea Gilvander Moreira, "non è possibile per un cristiano essere, allo stesso tempo, capitalista: non c’è salvezza nel capitalismo, sistema satanico".

Di seguito "l’Introduzione fraterna" di Pedro Casaldáliga. (claudia fanti)

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