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L’ULTIMA "NOTA" ALLA DOMINUS IESUS. MA LA MUSICA NON CAMBIA

Tratto da: Adista Notizie n° 89 del 22/12/2007

34194. CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. La Congregazione per la Dottrina della Fede torna ancora una volta sul tema del rapporto tra il pluralismo - religioso e non - del mondo contemporaneo e l’unicità e assolutezza della dottrina cattolica: in una "Nota su alcuni aspetti dell’evangelizzazione", diffusa lo scorso 14 dicembre, il dicastero guidato dal card. William Levada ha riaffermato il diritto-dovere della Chiesa cattolica ad annunciare la verità della propria fede a tutto il mondo e ad invitare alla conversione e al battesimo tutti gli uomini.

La Nota, come già le "Cinque risposte" pubblicate lo scorso 10 luglio (v. Adista n. 53/07), sono ‘figlie’ della dichiarazione Dominus Iesus, pubblicata dall’allora cardinal Joseph Ratzinger nel 2000: La Nota - ha spiegato alla Radio Vaticana il sottosegretario della Congregazione, il domenicano p. Agostino Di Noia - è nata da un progetto del card. Ratzinger, quando ancora era Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e intende affrontare le "implicazioni missionarie" della Dominus Iesus. E infatti, il documento è l’ultimo anello di una catena di documenti e prese di posizioni volta a riaffermare l’unicità e l’assolutezza della verità della Chiesa di contro a chi, sulla scorta dell’"agnosticismo e del relativismo del pensiero contemporaneo" sostiene che "sarebbe possibile esser salvati anche senza una conoscenza esplicita di Cristo e senza una incorporazione formale alla Chiesa": i provvedimenti contro teologi come p. Tissa Balasuriya (v. Adista n. 87/96), p. Jacques Dupuis (v. Adista n. 19/01), p. Roger Haight (v. Adista n. 39/01) e p. Jon Sobrino (v. Adista n. 23/07) sono infatti tutte riconducibili a questo filo rosso, come lo stesso Levada ha ammesso durante la conferenza stampa di presentazione del documento. Stesso discorso vale anche per il caso del teologo statunitense Peter Phan (v. notizia successiva) la cui condanna da parte dei vescovi americani sembra anzi direttamente collegata alla genesi della Nota. Nella prospettiva missionaria adottata dal documento viene condannata l’idea per cui "basta aiutare gli uomini a essere più uomini o più fedeli alla propria religione, basta costruire comunità capaci di operare per la giustizia, la libertà, la pace, la solidarietà" e "non si dovrebbe annunciare Cristo a chi non lo conosce, né favorire l’adesione alla Chiesa, poiché sarebbe possibile esser salvati anche senza una conoscenza esplicita di Cristo e senza una incorporazione formale alla Chiesa". "Spesso si ritiene che ogni tentativo di convincere altri in questioni religiose sia un limite posto alla libertà", afferma ancora il documento, motivo per cui "si verifica oggi una crescente confusione che induce molti a lasciare inascoltato e inoperante il comando missionario del Signore". Alla radice di questa crisi della Chiesa - ad esempio, in Sudamerica, di fronte all’aggressivo proselitismo delle Chiese pentecostali - c’è, secondo la Nota, quel relativismo "che, non riconoscendo nulla come definitivo, lascia come ultima misura solo l’io con le sue voglie". Al relativismo bisogna contrapporre la strenua ricerca di una verità da raggiungere non facendo affidamento "soltanto sulle proprie forze", ma "anche mediante l’abbandono fiducioso a coloro che possono garantire la certezza e l’autenticità della verità stessa". La verità, naturalmente, è unica e pienamente contenuta ed espressa dalla dottrina della Chiesa cattolica. Ne consegue che "sebbene i non cristiani possano salvarsi mediante la grazia che Dio dona attraverso ‘vie a Lui note’, la Chiesa non può non tener conto del fatto che ad essi manca un grandissimo bene in questo mondo: conoscere il vero volto di Dio e l’amicizia con Gesù Cristo, il Dio-con-noi". Ne consegue anche che non è accettabile la posizione di coloro che, come ha fatto Phan, "intendono giustificare il pluralismo religioso, non solo de facto ma anche de iure (o di principio)".

La Cdf è ben consapevole di camminare su un terreno ecumenico ‘minato’, dove alle aperture si alternano le brusche frenate (come nel caso degli ortodossi, v. articolo su questo numero): per questo motivo, la Nota sembra accogliere l’auspicio del presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, card. Walter Kasper che, dopo le polemiche seguite alle "Cinque risposte" di questa estate, aveva chiesto che fosse rivista ‘’la forma, il linguaggio e la presentazione al pubblico di simili dichiarazioni". Il documento sembra in effetti tenere conto di queste preoccupazioni, adottando un linguaggio particolarmente attento a non urtare la sensibilità dei non cattolici, riconoscendo implicitamente il valore della fede dei non cattolici. Il documento afferma infatti che la "pienezza" della verità e della salvezza si trovano nella "piena comunione" con la Chiesa cattolica. Ciò sembrerebbe non escludere la possibilità che verità e salvezza, seppure non nella loro forma "piena", si possano trovare anche nelle altre confessioni. Tuttavia, la sostanza - ossia l’impostazione teorica della Dominus Iesus - non cambia: anzi, la Nota costituisce un ulteriore attacco alla dichiarazione del Concilio Vaticano II sulla libertà religiosa, Dignitatis Humanae, ed è quindi un altro passo avanti verso la riammissione dei lefebvriani (fra poco potrebbe essere cancellata la scomunica nei loro confronti) che quell’orizzonte di pluralismo religioso non avevano mai accettato. Significativo, infine, è un altro passaggio della Nota: quello in cui lo slancio missionario della Chiesa e il suo "dilatarsi" nella storia vengono definiti "servizio alla presenza di Dio mediante il suo Regno". Chiesa e Regno risultano così sostanzialmente identificati: "Non si può – conclude infatti il testo - disgiungere il Regno dalla Chiesa". (a. s.)

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