CRONACHE DALL'INFERNO
Tratto da: Adista Contesti n° 90 del 22/12/2007
Le donne in Congo sono vittime di stupri come in nessuna altra parte del mondo. Un agghiacciante reportage. Questo articolo di Jeffrey Gettleman è stato pubblicato sul portale internet “Corresponsal de medio Oriente y Africa”. Titolo originale: “Una epidemía de violaciones en el Congo” D
enis Mukwege, ginecologo congolese, non ce la fa più ad ascoltare le storie delle sue pazienti. Ogni giorno, dieci donne e bambine violentate arrivano al suo ospedale. Molte hanno sofferto violenze così selvagge, anche con baionette e bastoni, che i loro apparati riproduttivi e digestivi non possono essere salvati.“Non sappiamo perché avvengono queste violenze, ma una cosa è chiara”, afferma Mukwege, che lavora nella provincia del Sud Kivu, l’epicentro dell’epidemia di stupri in Congo: “Si compiono per distruggere le donne”.
La parte est del Congo è scossa da un’altra ondata di violenza e questa volta sembra che abbia di mira sistematicamente le donne in numero mai visto prima. Secondo le Nazioni Unite, nel 2006 ci sono state 27mila violenze sessuali solo nella provincia del Sud Kivu, e probabilmente questa è solo una parte del numero totale. “La violenza sessuale nel Congo è la peggiore del mondo”, afferma John Holmes, vicesegretario generale per gli affari umanitari dell’Onu. “Per quantità, brutalità indiscriminata e cultura dell’impunità, risulta devastante”.
Si pensava fossero finiti i giorni del caos in Congo. L’anno passato, questo Paese di 66 milioni di abitanti ha celebrato elezioni storiche che sono costate 500 milioni di dollari, con l’intenzione di mettere fine alle guerre e alle ribellioni e alla tradizione di assoluto malgoverno. Ma le elezioni non hanno unito il Paese, né rafforzato la mano del governo sui ‘rinnegati’, la maggior parte dei quali non è del Paese. La giustizia e l’esercito funzionano appena e i funzionari dell’Onu affermano che, quando si tratta di violazioni, i peggiori criminali si trovano fra le truppe governative.
Grandi aree del Paese, specialmente l’Est, continuano ad essere zone senza autorità, dove i civili sono in balia di gruppi spesso armati che hanno fatto della guerra un modo di vita e sopravvivono assaltando villaggi e sequestrano donne per ottenere un riscatto. Secondo le vittime, uno degli ultimi gruppi comparsi sulla scena si chiama “i Rasta”, un misterioso gruppo di fuggitivi con pettinature, appunto, rasta che vivono nel bosco più profondo, vestono alla moda dei Los Angeles Lakers e sono famosi per bruciare bambini, sequestrare donne e fare a pezzi, letteralmente, qualsiasi persona si interponga sulla loro strada. I funzionari dell’Onu affermano che i Rasta facevano parte delle milizie hutu fuggite dal Rwanda dopo il genocidio del 1994 che, sembra, si sono scisse e specializzate in crudeltà.Honorata Barinjibanwa, una giovane di 18 anni, spiega che l’hanno sequestrata prelevandola da un villaggio attaccato dai Rasta ad aprile e l’hanno trattenuta come schiava sessuale fino ad agosto. La maggior parte del tempo rimaneva legata ad un albero e ancora conserva i segni della corda intorno al collo. Gli uomini, racconta, erano soliti scioglierla per qualche ora al giorno per sottoporla a violenze di gruppo.
“Sono debole, ho fame e non so come ricominciare a vivere”, afferma all’ospedale Panzi (Bukavu) dove l’hanno portata dopo che i suoi rapitori l’hanno liberata. È anche incinta.Sebbene gli stupri siano sempre stati arma da guerra, i ricercatori dicono di temere che in Congo il problema abbia dato origine a metastasi dato che oggi è un fenomeno sociale così diffuso. “Va oltre il conflitto”, spiega Alexandra Bilak, che ha studiato i gruppi armati intorno a Bukavu, sulle coste del lago Kivu. Spiega che la quantità di donne violentate e anche assassinate dai loro mariti sembra in crescita e che la brutalità contro le donne sia diventata qualcosa di “quasi normale”.
Malteser International, un’organizzazione umanitaria europea che organizza cliniche nella parte est del Congo, calcola che quest’anno tratterà circa 8.000 casi di stupro, con un aumento rispetto all’anno passato quando furono 6.338. L’organizzazione afferma che nella città di Shabunda, il 70 per cento delle donne ha subìto abusi sessuali brutali. All’ospedale Panzi, dove Mukwege effettua quotidianamente fino a sei operazioni chirurgiche al giorno a causa di stupri, i letti sono pieni di donne che devono coricarsi supine a motivo delle sacche intestinali che sono state loro applicate per i danni interni subiti.“Continuo a soffrire e ho i brividi”, spiega Kasindi Wabulasa, stuprata da cinque uomini a febbraio. Gli uomini tenevano puntato un fucile Ak-47 al petto del marito e lo obbligavano a guardare, con la minaccia che lo avrebbero ucciso se avesse chiuso gli occhi. Quando finirono, lo ammazzarono ugualmente. In quasi tutti i casi conosciuti, i colpevoli sono descritti come giovani armati di pistole, e sulle colline di ingannevole bellezza del luogo, non mancano soldati mal pagati e spesso ribellatisi al governo; milizie locali, le cosiddette Mai-Mai, che si ungono con olio prima di entrare in combattimento; membri di gruppi paramilitari originari dell’Uganda e del Rwanda che hanno destabilizzato questa zona negli ultimi dieci anni alla ricerca di oro e di altre ricchezze estraibili dal suolo sfruttato del Congo.Gli attacchi continuano malgrado la presenza di un maggior numero di forze dell’Onu per il mantenimento della pace, oltre 17mila soldati.Poche donne sembrano sfuggire a questa sorte. Mukwege afferma che la sua paziente più vecchia aveva 75 anni e la più giovane 3. “Alcune di queste bambine dalle viscere distrutte sono così giovani che non capiscono cosa sia loro successo”, spiega. “Mi chiedono se un giorno potranno avere figli, ed è molto duro guardarle negli occhi”.Nessuno, fra medici, cooperanti, ricercatori congolesi, ricercatori occidentali... è in grado di spiegare esattamente perché stia succedendo. “Questa è la domanda”, afferma André Bourque, un assistente canadese. “La violenza sessuale in Congo raggiunge un livello mai visto prima da nessuna parte. È ancora peggio che in Rwanda durante il genocidio”.L’impunità può essere un fattore che contribuisce a questa situazione, sottolinea Bourque, perché sono pochissimi i colpevoli che vengono puniti. Molti cooperanti congolesi negano che il problema sia culturale e insistono nel dire che la grande quantità di stupri non è il prodotto di qualcosa di sedimentato nel modo in cui gli uomini trattavano le donne nella società congolese. Se fosse così, il fenomeno si sarebbe manifestato molto prima”, afferma Wilhelmine Ntakebuka, che coordina un programma contro la violenza sessuale a Bukavu. Qui, spiega, l’epidemia di violenze sessuali sembra essere cominciata a metà degli anni ’90. Questo coincide con le ondate di miliziani hutu che fuggirono nelle selve del Congo dopo aver sterminato 800mila tutsi e hutu moderati durante il genocidio del Rwanda, tredici anni fa.
Holmes afferma che sebbene le truppe governative possano aver violentato migliaia di donne, gli attacchi più violenti sono opera delle milizie hutu. “Queste sono persone che hanno partecipato al genocidio e la cui personalità è rimasta distrutta da esso”, afferma. Bourque si è riferito a questo fenomeno come ad una “inversione di valori”, aggiungendo che può apparire in aree che subiscono traumi molto forti e sono state immerse in conflitti per molti anni, come la parte est del Congo.Questo luogo, una delle maggiori bellezze naturali dell’Africa centrale, continua a riflettere i segni del genocidio nel Paese vicino. Un esempio, la recente lotta vicino a Bukavu fra l’esercito congolese e Laurent Nkunda, un generale dissidente al comando di un numeroso esercito ribelle. Nkunda è un tutsi congolese che ha accusato l’esercito del suo Paese di appoggiare le milizie hutu, cosa smentita dall’esercito. Nkunda afferma che i suoi ribelli vogliono solo proteggere i civili tutsi per evitare che si trasformino di nuovo in vittime. Ma i suoi uomini non sono migliori. Willermine Mulihano racconta che l’hanno violentata due volte: due anni fa, alcuni miliziani hutu, e a luglio scorso i soldati di Nkunda. Due soldati le tenevano aperte le gambe, mentre altri tre la violentavano a turno. “Quando ripenso a quello che è successo”, commenta, “mi sento angosciata e distrutta”. Si sente anche sola. Suo marito ha divorziato da lei dopo il primo stupro, accusandola di avere qualche malattia.
In alcuni casi, gli attacchi colpiscono civili che già sono presi nel fuoco incrociato di gruppi combattenti. In un villaggio vicino a Bulavu dove hanno violentato 27 donne e assassinato 18 civili a maggio, gli attaccanti hanno lasciato una nota scritta in uno swahili molto semplice in cui spiegavano che la violenza sarebbe continuata fino a quando le truppe governative non avessero abbandonato la zona. Le truppe dell’Onu incaricate del mantenimento della pace sembra stiano aumentando i loro sforzi per proteggere le donne. Hanno iniziato da poco quella che chiamano “illuminazione notturna” mediante tre camionette di truppe dell’Onu che si addentrano nell’oscurità e mantengono accesi i fari tutta la notte a segnalare ai civili e ai gruppi armati la loro presenza in quel luogo. Capita talvolta che il mattino sorprenda fino a 3.000 persone coricate intorno ad esse.Ma il problema sembra più grande delle risorse destinate per ora alla sua soluzione. L’ospedale Panzi ha 350 letti e, sebbene stiano costruendo un nuovo padiglione specificamente per le vittime di stupri, l’ospedale rimanda le donne ai loro villaggi prima del completo ricupero perché ha bisogno di spazio per l’eterno flusso di nuovi arrivi. Mukwege, 52 anni, ricorda i giorni in cui Bukavu era famosa per le sue meravigliose viste del lago e i parchi nazionali vicini, come il Kahuzi-Biega. “C’erano solitamente molti gorilla”, chiosa, “ma ora li hanno sostituiti con bestie molto più selvagge”. n
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