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1975 - IL COMPROMESSO STORICO

Tratto da: Adista Notizie n° 2728 del 05/04/2008

Dopo il ‘74 e prima del ‘76: ovvero all’indomani del referendum che ha sancito l’avvenuta secolarizzazione della società italiana e nell’attesa partecipata di Epu, il convegno ecclesiale che riproporrà alla Chiesa il sentiero della Parola per saper vivere la laica pluralità delle parole. Anno, dunque, di assestamento e sedimentazione, il 1975, per la comunità ecclesiale, segnata da qualche vicenda di normalizzazione, ma incalzata e costretta a progredire dalla storia: quella internazionale, che alimenta le speranze antimperialiste con la cacciata il 30 aprile dell’esercito americano da Saigon e quella del Paese, dove continuano a cercarsi le strade delle forze popolari democratiche e antifasciste. L’incontro di queste strade, tentato dall’allora presidente del Consiglio, Aldo Moro, e dal segretario del Pci, Enrico Berlinguer, trova in questo anno il riscontro di una grande riforma da tempo attesa: il 22 aprile il Parlamento vara il nuovo diritto di famiglia (con i voti contrari del Msi e l’astensione dei liberali). Viene sancito ciò che da tempo chiede la nuova consapevolezza sociale: parità giuridica dei due coniugi, abolizione della distinzione tra figli ‘legittimi’ e ‘illegittimi’ e conseguente riconoscimento giuridico dei figli nati fuori dal matrimonio che possono essere registrati anche con il cognome della madre, eliminazione dell’istituto della dote. E alle elezioni amministrative del 15 giugno - elezioni segnate dal voto giovanile grazie alla legge approvata a marzo che abbassa la maggiore età da 21 a 18 anni - è forte l’avanzata del Pci, mentre la Dc perde visibilmente consenso. Il dibattito pre e post elettorale coinvolge direttamente il mondo cattolico. Il clima da "compromesso storico" porta infatti al raggiungimento di obiettivi importanti (non ultimo, l’accordo firmato il 25 gennaio da sindacati e Confindustria sul punto unico della contingenza per tutte le categorie di lavoratori), ma cominciano le preoccupazioni per un eventuale "sorpasso" del Pci sulla Dc, che perde sempre più terreno nella base cattolica, a causa dei numerosi scandali che la vedono coinvolta e che fanno parlare ormai del "malgoverno Dc". Ma l’alternativa qual è? Comunità di base, Cristiani per il socialismo e Acli considerano positivamente la vittoria della sinistra, mentre altri gruppi di cattolici democratici si interrogano sul che fare della Dc: abolirla e fondare un secondo partito cattolico o moralizzarla e rifondarla? Molto scettici restano tanti cattolici che escludono entrambe le ipotesi, giudicando l’esito elettorale l’inizio di "una fase di transizione" verso una "intesa vasta" tra forze politiche che superi gli attuali steccati ideologici (percorso che a tutt’oggi incontra ancora ostacoli). C’è anche chi, nell’ala sinistra del mondo cattolico, riflette sui pericoli di involuzione insiti nella fase politica segnata dal compromesso storico, temendone gli accordi al ribasso. Il compromesso storico ha anche altri nemici: dalle Br al progetto di una "Repubblica presidenziale" di Edgardo Sogno (il cui senso autoritario si capirà una volta scoperta la P2) fino ai piani eversivi dei neofascisti.

E la gerarchia cattolica? Quando tra i cardinali c’era Michele Pellegrino viene facile trovare parole di incoraggiamento e discernimento verso i segni dei tempi: "Nel campo della promozione umana – dichiara l’arcivescovo di Torino nel Convegno diocesano di settembre in preparazione a Epu – la collaborazione dei cristiani con i marxisti non solo è legittima ma è doverosa", anche se "qualunque cedimento all’ateismo è incompatibile con la fede cristiana"; giacché "il pluralismo dei cattolici in campo socio-politico è legittimo e necessario quando si tratta di scelte di carattere temporale e quindi per lo più opinabili". Ma se la parte più illuminata promuove il laicato, qualcun altro lo rispedisce a casa, come nel caso dell’assistente nazionale dell’Azione Cattolica, mons. Luigi Maverna, che chiede le dimissioni al vicepresidente dei Giovani Domenico Perino, in seguito a tensioni con parte dell’episcopato e con il presidente nazionale Mario Agnes. Nel clima di normalizzazione postconciliare, il 24 febbraio, la Congregazione per la Dottrina della Fede ammonisce il teologo Hans Küng, reo di aver messo in dubbio l’infallibilità del magistero e di aver ipotizzato la consacrazione dell’eucarestia da parte dei laici in caso di necessità. Come denuncia p. Yves Congar al Congresso Internazionale di Missiologia del 14-16 ottobre, la Curia romana tende "a confondere unità con uniformità, ad imporre dovunque i costumi e il diritto romani, insomma a considerare la Chiesa universale come una semplice estensione della Chiesa di Roma". E contro l’omologazione dell’uniformità, tarlo di ogni pluralismo culturale e di ogni democrazia, il pensiero di Pier Paolo Pasolini, a cui il 1975 dice addio il 2 novembre. (maria rita rendeù)

 

ACCADDE DOMANI: LETTERA DI CARLO CARRETTO AD ALESSANDRO MAGGIOLINI

 

Doc. N. 765 - Spello-adista. Don Sandro Maggiolini, direttore della "Rivista del Clero Italiano", ha scritto nei giorni scorsi una lettera aperta a fratel Carlo Carretto in occasione della pubblicazione del suo ultimo libro "Padre mio, mi abbandono a te". A tale lettera risponde qui fratel Carlo (..)

"Caro don Sandro, appena ho finito di leggere la tua lettera aperta avevo deciso di non risponderti. Non mi piace replicare con chi è in polemica: non si conchiude nulla quando non si è disposti ad ascoltare, veramente ascoltare. Rileggendoti però mi ha colpito il tuo ricordo al passato quando tu eri aspirante della GIAC e militavamo entrambi in quella stessa organizzazione che tanto abbiamo amato e da cui tanto abbiamo avuto. Questo pensiero mi ha portato fuori dalla polemica dandomi la speranza che potevamo capirci, che c’era tra di noi un punto su cui fare leva, una panca su cui sederci in pace per discutere da Fratelli e sentirci in comunione come allora. Ecco: vorrei proprio partire da lì. Vuoi?

Sì, hai ragione... 30 anni fa era un’altra cosa. Non eravamo in polemica tra di noi, non conoscevamo la contestazione nell’ambito della chiesa. Noi cattolici formavamo un blocco unico ed ogni valore umano contribuiva a rafforzare l’unità tra di noi e renderla visibile sulle piazze. (...). Poi ci furono questi 30 anni in cui ognuno di noi visse, soffrì e soprattutto imparò cose nuove. Che cosa ci apportarono questi 30 anni di vita vissuta come cristiani, come cittadini? Che cosa ci apportò quella straordinaria assise del cattolicesimo che fu il Vaticano II?

Io penso ci apportò una nuova visione della chiesa, una nuova visione del mondo. Più passa il tempo e più si allontana da noi la concezione della chiesa della nostra giovinezza. Allora la chiesa ci appariva come città sul monte; ora la vediamo come lievito nella pasta. Quando eravamo ragazzi la sognavamo forte e servita da tutti, specie dai re e dai governi, ora la desideriamo debole con i deboli e a servizio degli uomini. A quei tempi di crociata la vedevamo assediata da innumerevoli nemici, ora ci appare come un albero di senape capace di ospitare nidi fra i suoi rami di pace.

Soprattutto quello che è cambiato è il rapporto chiesa-mondo. Quando diedi per la prima volta nel ‘48 il mio voto alla D.C. ero convinto della necessità di giungere al potere per servire gli uomini, se non altro per difendere la loro libertà. 30 anni dopo non ne sono più così convinto e vado cercando nel Vangelo l’atteggiamento di Gesù davanti al potere. Quale contraddizione continua è per il cristiano il potere! Può esistere un potere cristiano? Possiamo noi nel nome di Colui che ci obbliga a lavarci i piedi a vicenda sopportare le infinite contraddizioni poste dal gioco di potere di cui ci dà spettacolo continuo un partito... al potere?

(...). Nel cattolicesimo moderno è entrata una tale problematica sui temi potere-servizio, fede e politica, chiesa-mondo, da rendere impossibile l’identità di vedute per parecchie generazioni. Almeno nei particolari. Chi volesse trovare la "comunione" tra i cristiani partendo dalle loro opzioni politiche deve prepararsi a profonde delusioni. Specie nella cristianità italiana. Piaccia o non piaccia non ci sono più identità di vedute sul problema politico e non esiste parroco o vescovo capace di rifarla. Anzi, coloro che con autorità si impegnano di più e che chiaramente dimostrano la loro volontà a conservare l’unità dei cattolici sul piano politico sono quelli che ottengono i risultati contrari e capita loro ciò che capita a quei padri che a forza di gridare che i buoni votano D.C. coalizzano i loro figli a votare compatti P.C. come si è visto il 15 giugno. E qui, caro Sandro, permettimi una battuta umoristica. Fanfani nel cercare i motivi che condussero al risultato delle ultime elezioni trovò che uno riguardava... il "tradimento dei chierici".

Aveva perfettamente ragione ma... interpretando alla rovescia la sua asserzione, non furono i chierici che non si impegnarono verso i fedeli a causare uno spostamento verso i partiti di sinistra, ma furono proprio quelli che si impegnarono.

È cosi strano il cuore dell’uomo! Sì, caro Sandro, io sono convinto che nessuno fa male alla D.C. più che l’identità clericale stampata sul suo abito logoro e purtroppo nulla fa più male alla cristianità italiana di essere identificata con la D.C.

Immagina che abbiano ragione quelli di Comunione e Liberazione a voler fare a tutti i costi una politica cristiana e che sia giusto che i cristiani combattano uniti per realizzare il loro impegno nella città (...).

Io non mi metto contro Comunione e Liberazione, ma non mi metto contro - come chiesa - nemmeno ai cristiani che sono convinti del contrario e che vedono i cattolici animatori di tutti i partiti scelti dalla loro coscienza di uomini liberi, come non mi metto contro - come chiesa - a chi crede al socialismo. Se dovessi dire solo una parola traendola dalla mia esperienza è che dovremmo evitare ogni integrismo.

Esiste o non esiste un pluralismo in politica? La stessa chiesa in altissimo loco nella pastorale del Concilio non lo ha forse accettato? E il card. Roy non ha forse parlato in modo abbastanza ufficiale di una "legittima varietà di opzioni in materia politica e del diritto al dissenso in campo sociale"?

(...). Tu prendi la scusa del mio ultimo libro, ma ti dimentichi praticamente di esso per fermarti invece su quello che è il tema ricorrente fino alla noia negli ambienti ufficiali delle curie: stroncare la contestazione anche la più innocente, difendere l’unità dei cattolici sul piano politico, tornare al sicuro passato dove tutti votavano D.C. e si doveva dire come al tempo delle ricorrenti restaurazioni: "Tutto va bene, madama la marchesa!". Non è così? Te lo dimostro.

Qualche mese prima della nefasta data del referendum tu ripetutamente e con insistenza mi hai chiesto di scrivere una specie di proclama; un invito ai sacerdoti per richiamarli ai valori fondamentali della interiorità e della preghiera. Il che significa che avevi fiducia in me. Non è cosa da poco in tempi di crisi come i nostri sentirsi invitati dal direttore della Rivista del clero a fare una predica sulla fede ai sacerdoti italiani! Poi venne il 12 maggio e colui che era stato scelto da te per realizzare un così delicato intervento presso le coscienze dei pastori diventa incapace di scrivere cose spirituali e lo tratti con la tua stessa penna come uno che non può più essere autentico con le sue parole.

Tant’è! Vedi a che punto può condurre una rottura per motivi politici nella comunione tra di noi? Se ti facessi leggere la corrispondenza ricevuta in occasione del mio coscienzioso "no" tu potresti trarre materia per fare un numero speciale della tua rivista sul fanatismo dei cattolici. (...)

Ed è per questo che sento di sostenere che dalla nostra assemblea cristiana devono essere escluse tutte quelle opzioni culturali, politiche, sociali capaci di rompere la comunione tra di noi. I drammi di Mazzolari e Milani dovrebbero averci insegnato qualcosa. Non può un vescovo o una congregazione romana chiedere ad un prete la comunione su una scelta politica o sul modo di vedere una legge civile. Non può un sacerdote dimostrare di non essere in comunione perfetta con un suo fedele che vota socialista o cose del genere. Facendo così è lui che rompe la comunione, non il suo suddito. Le sofferenze ed i pericoli che corriamo dovrebbero avere insegnato alla comunità cristiana a cercare la comunione, quella vera, sulle cose indiscusse della fede. Ci convochino i nostri vescovi sulla eucaristia. Ci convochino sul Vangelo, sul primato dei poveri, sulle beatitudini, sul servizio, sulla resurrezione del Signore! Non ci convochino sul dubbio che sia la terra a girare attorno al sole o ciò che è peggio per comunicarci che dobbiamo obbedire nella fede a cose opinabili che con la fede non hanno nulla a vedere. Insomma la comunione nella chiesa non è sulle idee dei singoli ma sulla fede.

(...) Sentivo anche che il modo usato da me nell’esprimere la mia decisione a votare "no" poteva essere discutibile ed ero pronto a riconoscere che avrei potuto agire in modo diverso.

Sono rimasto veramente stupito come il mio gesto sia stato interpretato nelle varie Curie in Italia. (...).

Ma possibile che la sete di disciplina ecclesiastica possa superare quella della fedeltà al Vangelo e che le bugie possano essere considerate utili alla compagine della comunità cristiana?

Caro Sandro, puoi citarmi un solo esempio in Italia in cui un vescovo abbia avuto il coraggio cristiano di chiedere perdono per i suoi sbagli davanti ai suoi fedeli reintegrando nei diritti sacerdotali un suo suddito che aveva dissentito da lui su ... piani non di fede? (...).

No, Sandro, sento nelle tue righe troppa paura, che è la paura della Chiesa per quel dissenso che lei stessa accresce con la sua intransigenza su piani non di fede. La chiesa non ha bisogno che la difendiamo in quel modo. La chiesa non è cosa nostra. (...)

fratel Carlo

(da Adista n. 459-460-461 del 10-12-14 settembre 1975)

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