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1977 - "SI PUO' ESSERE BUONI COMUNISTI E BUONI CATTOLICI"

Tratto da: Adista Notizie n° 2728 del 05/04/2008

Mentre in Europa il 1977 è l'anno delle prime elezioni libere nella Spagna liberata dal regime franchista e, in Cecoslovacchia, di Charta 77, movimento di intellettuali che chiede il rispetto dei diritti civili nel Paese, in Italia il '77 rimane nella memoria collettiva come l'anno del "movimento", delle proteste, degli "indiani metropolitani", delle organizzazioni extraparlamentari, delle radio libere, dei megafoni e del ciclostile. Ma anche delle P38 e della violenza diffusa. La crisi dei partiti della nuova sinistra - in un contesto caratterizzato da crisi economica, aumento della disoccupazione e sfiducia nella possibilità di una vera rivoluzione anticapitalistica - collega, riversandoli in nuove forme di impegno politico e sociale, giovani disoccupati o sottoccupati, realtà marginalizzate all'interno delle periferie delle grandi città, studenti medi e universitari, precari, cassintegrati, freaks, militanti in cerca di nuova identità, movimenti femministi, autonomi. Ne scaturiva un magma di ribellismo cui mancò la carica progettuale del movimento sessantottino, poiché pervaso da una profonda coscienza della crisi e dalla disperata coscienza di non poterla superare. Il movimento fu poi attraversato da spinte soggettiviste, bisogni e desideri che si incanalarono nelle forme distruttive e antipolitiche della violenza, del consumo delle droghe (ormai un fenomeno di massa), della ricerca di spiritualità e modelli culturali "alternativi". E anche nella lotta armata: mentre Prima Linea, nata nel '76, si dota di un impianto organizzativo, le Br fanno nuovi proseliti e mostrano una inedita capacità di colpire, nonostante l'arresto dei capi storici (il cui processo a Torino non si può celebrare perché i giudici popolari estratti a sorte rifiutano, impauriti, di presentarsi in aula) e lo smantellamento di molte colonne.

Di fronte a questo stato di disagio e ribellione diffusa, il Pci - come già era avvenuto nel ‘68 - non sa interpretare e guidare il movimento. Lo condanna anzi con fermezza. Berlinguer, che in procinto di entrare nella maggioranza di solidarietà nazionale sosteneva il governo Andreotti con la formula della "non sfiducia", sposa infatti la linea della responsabilità e dell'"austerity" e la Cgil, nell'ottica della "politica dei sacrifici", che porterà - tra l'altro - alla sterilizzazione della scala mobile, allenta le spinte antagoniste. L'episodio simbolo della frattura tra sinistra istituzionale e consistenti settori del proletariato e del mondo giovanile si consuma il 17 febbraio, quando Luciano Lama, segretario della Cgil, che aveva deciso di tenere un comizio all'Università di Roma, fu cacciato dagli studenti. Alle proteste che attraversano il Paese il ministro degli Interni Cossiga rispose con misure repressive e la militarizzazione delle piazze, dove si torna a morire: come l’11 marzo, a Bologna, quando la polizia uccide Francesco Lorusso. O il 12 maggio quando, dopo una pacifica manifestazione indetta dal Partito Radicale nell'anniversario della battaglia per il divorzio, gruppi di provocatori danno inizio a violenti tumulti. La polizia risponde sparando ad altezza d'uomo: presso Ponte Garibaldi, cade una ragazza di 19 anni, Giorgiana Masi. Intanto, cresce il livello di corruzione della politica italiana. Per la prima volta nella storia repubblicana, il Parlamento vota in seduta comune (10 marzo) il rinvio a giudizio dell'ex ministro della Difesa Mario Tanassi e dell'ex ministro degli Interni Luigi Gui, accusati di corruzione aggravata in merito allo scandalo Lockheed.

Mentre si apre il confronto sulla necessità di sottoporre a revisione il Concordato e di riorganizzare su basi diverse l'insegnamento della religione cattolica nella scuola, il dibattito ecclesiale, ancor più di quello politico, è monopolizzato dalla nuova legge sull'aborto, il cui iter legislativo sta per concludersi. Come nel caso del divorzio, il mondo cattolico si spacca ed una parte dei credenti - pur contraria all'aborto - sostiene la necessità di una legge che faccia uscire il fenomeno dalla clandestinità di "mammane" e medici senza scrupoli. In questo contesto, le Acli di Torino pubblicano un documento dal titolo "Aborto: una legge che impegna a lavorare per la vita" e promuovono un convegno sullo stesso tema. La presidenza nazionale si dissocia e Avvenire definisce il documento "assurdo e inqualificabile" perché allineato "con le tesi dei radicali più accesi e dei marxisti, perché attacca in maniera ingiusta il mondo cattolico; getta discredito sulla Gerarchia e sull'episcopato; butta fango sulla Dc". Ma la secolarizzazione avanza, come mostra anche un'inchiesta commissionata a gennaio dalle Edizioni Paoline "su alcuni problemi della Religione Cattolica" e che viene duramente criticata dall'Osservatore Romano, specie per la domanda "si può essere buoni comunisti e buoni cattolici?" che ottenne il 45% di sì e altrettanti no. E il dialogo tra mondo cattolico e comunista segna un ulteriore passo avanti con la risposta (in ottobre) di Berlinguer alla lettera aperta scrittagli l’anno precedente da mons. Bettazzi. (valerio gigante)

 

L’ANGOSCIA E IL DISAGIO GIOVANILE NELLE PAROLE DI P. BALDUCCI

 

4713) Assisi-adista. Dall'inviato. "L'angoscia può essere esaminata da molti punti di vista, ma il problema più grave è se suscita una dispersione di massa che finisce per alimentare il gioco dei potenti". Con questa affermazione, Ruggero Orfei ha introdotto ad Assisi i lavori del XXXI convegno giovanile, al quale hanno partecipato 800 persone, in prevalenza giovani. Il convegno, sul tema "Gli anni dell'angoscia", ha voluto porre l'attenzione sul modo di comportarsi della generazione successiva a quella che è stata protagonista dell'ormai lontano '68. (...)

Sul tema del convegno il nostro inviato ha posto qualche domanda ad un "assiduo" della Cittadella di Assisi, il padre Ernesto Balducci.

ADISTA: Dopo il '68 l'inquietudine giovanile sembra aver assunto aspetti più radicali rispetto alla tradizionale frattura tra giovani e adulti. Perché?

Balducci: La causa va individuata in una contraddizione di fondo: da una parte i giovani (dai 17 ai 25 anni) di oggi hanno una maturità conoscitiva precoce rispetto ai giovani di altre società, di altre generazioni; d'altra parte, però, queste competenze, questa preparazione acquisita anche prima dei vent'anni viene investita solo dopo i 27-28 anni, a causa del tipo di organizzazione della società. Vi è quindi un tempo "morto", nel quale si dispiegano l'ozio, il fastidio, l'insofferenza e anche un atteggiamento aspro verso il mondo degli adulti, il cui apparato ideologico i giovani sono in grado di smontare. La "serietà" dei padri non esiste più, perché i giovani vi vedono spesso la menzogna, l'opportunismo, il compromesso, la viltà morale. Accanto a questa contraddizione fondamentale vi sono elementi addizionali, come lo iato tra precocità conoscitiva e il contesto psicologico che rimane adolescenziale. Il venir meno della fiducia nel progresso, un mito che ha guidato per tanto tempo tutta la società moderna, provoca un'angoscia diffusa, cosmica, che naturalmente si manifesta in maniera più palese negli anelli più deboli della società, tra i quali sono anche i giovani.

(...) La rottura tra rappresentazione soggettiva e realtà genera squilibrio. Prendiamo la scuola, ad esempio. Un tempo essa corrispondeva alla rappresentazione soggettiva: veramente era al servizio della promozione di una élite. Oggi, con l'ingresso delle masse nella scuola, le strutture educative non possono rispondere né alla richiesta di cultura nuova né a quella di promozione sociale che le masse avanzano. Anche questo si riflette nei giovani e nelle famiglie, producendo sentimenti di angoscia e inquietudine.

ADISTA: Il "peccato sociale" in che modo influisce sul-l'angoscia giovanile?

Balducci: I giovani di oggi hanno una grande sensibilità, una vera nobiltà morale per quanto riguarda il "peccato sociale"; mentre per quel che concerne la sfera più intimistica, quella sulla quale un tempo si concentrava di più l'attenzione, esistono tra i giovani comportamenti abnormi. I giovani, ad esempio, ostentano - con il loro abbigliamento, con il loro comportamento - disprezzo per una vita fondata sull'accumulo delle ricchezze. Così sentono molto i peccati della frode sociale, dello sforzo, quello della manipolazione ideologica. Soprattutto sentono molto il ripudio di una vita basata sulla dipendenza e il dominio. Tutto questo si traduce in angoscia, in nausea morale.

ADISTA: Fino a che punto la religione è concausa di angoscia esistenziale?

Balducci: Una religione fondata sulla paura e sull'alienazio-ne è naturalmente fonte di angoscia. Mentre la fede in Cristo, che affida alla coscienza un messaggio di liberazione umana e sociale, sostiene la risoluzione dell'uomo nell'affrontare il proprio destino, liberandolo da ogni forma di sudditanza.

(da Adista nn. 795-796-797 del 3-5 gennaio 1977)

 

DON LEANDRO ROSSI: LEGALIZZARE L’ABORTO SI PUÒ

 

4781) Roma-adista. Una riunione di preghiera e un telegramma alle massime autorità dello Stato sono mezzi legittimi, per i cattolici, di prendere posizione sulla legge dell'aborto. Diverso è il discorso di fronte ad una campagna che tutta (o quasi) la stampa cattolica ufficiale e molte associazioni stanno conducendo contro il principio di un intervento non repressivo dello stato in materia di aborto. Questa campagna - che assume toni isterici (come quando si paragona il Parlamento italiano a Hitler) e ricattatori (come nel caso di Avvenire che incita i parlamentari democristiani a non scendere ad alcun compromesso anche a costo di prevedibili avventure politiche) - questa campagna dà per scontato che tutti i cattolici abbiano su questo problema identica posizione. Non è esattamente così. Proviamo a dimostrarlo intervistando qualche teologo moralista. Incominciamo con don Leandro Rossi, noto studioso di Teologia Morale.

ADISTA: Una legge che regolamenta l'aborto può nello stesso tempo proporsi di difendere la vita?

Rossi: Qualora la depenalizzazione dell'aborto fosse intesa - come avviene nella proposta La Valle, Gozzini, Pratesi, ecc. - a consentire alla donna di uscire dalla clandestinità e di farsi aiutare eventualmente anche a non abortire, in questo caso essa potrebbe giovare alla diminuzione degli aborti. Viceversa dovendo decidere, come avviene ora, nella solitudine nella paura della repressione della legge, la donna non è aiutata a risolvere i propri problemi.

ADISTA: Con quale strumento la proposta di La Valle e amici otterrebbe quel risultato?

Rossi: Attraverso il consultorio. Grazie a questa proposta l'autonoma decisione della donna avviene dopo che la società ha dimostrato alla donna stessa la disponibilità ad aiutarla, eventualmente anche a non abortire. In questa maniera si responsabilizza non soltanto la donna ma anche la società.

ADISTA: Secondo lei di fronte all'aborto si può soltanto essere pro o contro?

Rossi: No uno può essere decisamente contro l'aborto e nello stesso tempo tollerare la legge come un intervento regolatore necessario. Il legislatore da sempre può essere in atteggiamento di tolleranza di fronte a certi mali. E questo può valere anche per il legislatore cattolico. Dio, che è il più santo di tutti, tollera i molti mali del mondo. E il legislatore, anche il più perfetto, sa che estirpare certi mali può essere peggio che tollerarli. Per chiarire questo punto bisogna fare qualche distinzione. Anzitutto bisogna distinguere tra campo morale e campo giuridico. Moralmente, la mia coscienza di credente mi dice che non devo abortire né fare abortire. Dal punto di vista del diritto, invece, la coscienza di cittadino mi può consentire un atteggiamento di tolleranza di fronte all'aborto, perché una legge che tollera l'aborto non è una legge che l'approva. Confondere questi piani mi pare sia nocivo per tutti. Questa distinzione, d'altra parte, è talmente tradizionale che nel secolo scorso lo Stato Pontificio aveva le sue case di tolleranza: eppure la coscienza morale non ha mai approvato la prostituzione. Occorre distinguere poi tra peccato e peccatore. Dire che l'aborto è peccato non significa che la donna che l'ha praticato sia una peccatrice. Non ci si può comportare in modo da condannare indiscriminatamente le donne. (...)

ADISTA: Ci può illustrare meglio questo suo giudizio? Come vede l'azione della gerarchia e delle associazioni cattoliche contro la legalizzazione dell'aborto?

Rossi: I cattolici hanno il torto di aver difeso la causa migliore nel modo peggiore. I toni da crociata sono sistemi di difesa di altri tempi. Non soltanto in trent'anni non abbiamo fatto nulla per arginare la piaga dell'aborto, ma da sempre quando c'è un'alternativa tra interesse delle istituzioni e interesse della vita noi parteggiamo per le istituzioni. Anche in questo caso: anziché dire meglio la pillola oggi che l'aborto domani, noi ci ritroviamo a difendere le istituzioni invece della vita. E questo perché poniamo le nostre speranze soprattutto nelle istituzioni, nella legge, nei metodi coercitivi: se perderemo al Senato ci appelleremo alla corte Costituzionale; se perderemo anche alla Corte ricorreremo al referendum. Sono sempre strumenti legislativi. Si confida più nella legge che nell'amore, più nel Codice che nel Vangelo, con un chiaro capovolgimento dei valori.

(da Adista nn. 824-825-826 del 7-9 febbraio 1977)

 

 

 

 

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