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1982 - COSA NOSTRA IMPERVERSA

Tratto da: Adista Notizie n° 2728 del 05/04/2008

A grandi passi, Chiesa e società italiana scendono giù per la china degli anni ‘80, quella china che condurrà alla fine l’una alla svolta senza ritorno del Convegno ecclesiale di Loreto nell’85, e l’altra sull’orlo del baratro del biennio ’92-94, tra rischi di bancarotta, stragi di mafia e avvento del berlusconismo. Il 1982 costituisce tappa dolorosamente miliare di questo sprofondare. A Palermo, il 30 aprile, Cosa nostra uccide il segretario regionale del Pci Pio La Torre, insieme al suo autista Rosario Di Salvo. Sull’onda dello sconcerto e della rabbia popolare (Pio La Torre era molto amato dalla base, almeno quanto era inviso ai vertici inclini al ‘consociativismo’ mafiogeno e mafioso), a Palermo viene inviato come prefetto il generale dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, ma la mafia ‘prontamente’ il 3 settembre lo uccide insieme alla moglie, Emanuela Setti Carraro, e all’agente di scorta Domenico Russo. Pochi giorni prima dell’agguato, Dalla Chiesa aveva denunciato: "Mi hanno lasciato solo", impossibilitato ad agire perché senza poteri effettivi; e il boss Tano Badalamenti commentò: "Lo hanno mandato a Palermo per sbarazzarsi di lui: non aveva ancora fatto niente in Sicilia che potesse giustificare questo grande odio contro di lui, così tanto da ammazzarlo. La mafia non è come il terrorismo, con le ideologie. La mafia significa tanto denaro e tanti voti a chi da Roma la protegge". C’entrava qualcosa il fatto che il generale avesse ritrovato le carte di Moro, risultate poi mutile, e che erano state consegnate a Giulio Andreotti? L’interrogativo è noto. Meno note, forse, le prime, vere, prese di posizione ‘politiche’ sulla mafia all’interno dell’associazionismo cattolico e che Adista non mancò di registrare con appassionata costanza attraverso tanti suoi numeri. Prese di posizione come il comunicato della presidenza diocesana dell’Azione Cattolica di Palermo che, contro la mafia, richiama la Chiesa ad "un’opera di formazione di salde coscienze", intesa "non come vacuo moralismo" ma come "ancoraggio a valori civili, umani e cristiani" da testimoniare sia nella Chiesa che nella politica; o come l’Appello di laici, teologi e sacerdoti siciliani che denuncia chiaramente anche la responsabilità ecclesiale del fenomeno mafioso, quantomeno per peccato di omissione se non di connivenza. E nel convegno Nazionale di Bozze - svoltosi nei pressi di Comiso sul tema "Invece dei missili" all’indomani dell’omicidio La Torre - Raniero La Valle coglie mirabilmente il nesso democratico e pacifista della lotta alla mafia, proprio ricordando il segretario del Pci regionale del quale era previsto l’intervento al convegno stesso. La Valle denuncia la "lucidità dell’omicidio", data l’azione di La Torre volta ad "una grande ripresa del movimento popolare in Sicilia", contro "una certa rassegnazione della Sicilia al ruolo assegnatole dal potere di diventare ricettacolo dei missili nucleari". Lottando inoltre in generale contro ogni rassegnazione, "il discorso della pace stava diventando un fatto fortemente aggregante", "stava spingendo sempre più gente a prendere parte, a scendere nelle piazze e nelle strade, a far politica, a riprendere in mano il proprio destino. Ed è per questo che hanno colpito Pio La Torre". Ma la violenza dei poteri illegittimi non conosce sosta.

A giugno, riesplode lo scandalo Ior-Banco Ambrosiano - con tutti i suoi annessi miasmi di capitali trafugati all’estero, caso Sindona, Loggia P2 e quant’altro - in seguito all’improbabile ‘suicidio’ del presidente del Banco Ambrosiano Roberto Calvi. Molte le voci ecclesiali, di base e no, che chiedono trasparenza alla Curia vaticana sul caso di mons. Marcinkus (il potente capo dello Ior, la banca vaticana, coinvolto negli affari di Calvi). E il cattolico-democratico ministro del Tesoro, Nino Andreatta, interpella e tira in ballo pubblicamente il papa, in sostanza chiedendogli conto e ragione, dichiarando alla Camera che sullo Ior "vi sarebbe possibilità per la Santa Sede e il Sommo Pontefice di intervenire". Il discorso parlamentare di Andreatta ha un’eco enorme, anche perché nella Chiesa ‘modello polacco’ cominciano ormai a diventare sempre più rari i gesti laicali di libertà. D’altronde, nonostante gli sforzi del card. Ballestrero e del card. Martini - che in aprile guidano la XX Assemblea generale dei vescovi italiani rivendicando a più riprese la collegialità conciliare e ‘l’italianità’, ovvero l’autonomia, della Cei – i segnali dell’obiettivo vaticano circa il cattolicesimo italiano si fanno via via sempre più chiari: in febbraio la "Fraternità" di Cl ottiene il riconoscimento di personalità giuridica da parte della Santa Sede, alla faccia dei "Criteri di ecclesialità" elaborati dall’episcopato italiano di marca conciliare e in base ai quali la stessa Cl non è ancora ufficialmente una associazione ecclesiale. Chiude il 1982 di Adista l’intervista in esclusiva su mondo cattolico e Pci ad Enrico Berlinguer. (maria rita rendeù)

IL SETTIMANALE DIOCESANO "LUCE" CONTESTA I SILENZI VATICANI SU MARCINKUS

 

12280. Milano-adista. I "silenzi impenetrabili" del Vaticano su alcune branche dell'organizzazione ecclesiastica, e la mancanza di coerenza di certe attività con le "finalità ecclesiali" sono le cause degli attacchi della stampa contro la Chiesa. Ad affermarlo è un editoriale, non firmato, del settimanale cattolico dell'alto milanese Luce. Si vuole "screditare l'ambiente ecclesiastico e l'azione del Papa", afferma il giornale, ma non si possono contrapporre alle insinuazioni della stampa anticlericale le nostre "bugie e reticenze". "Se taluni personaggi inetti o disonesti, prosegue il giornale cattolico milanese, non potessero costruire dei mondi chiusi e incontrollabili, non si riuscirebbe ad orchestrare nessuna campagna condotta con la spregiudicata confusione tra sicuro e vago, fatti ed interpretazioni arbitrarie, cronache e ricostruzioni di tipo romanzesco, notizie ed invenzioni, giudizi motivati e illazioni frutto di morbosa fantasia. Anche a proposito di Marcinkus e C. è possibile chiedersi se si tratti di santi servitori della Chiesa o di malfattori dalle simonie più ripugnanti; così come può essere a proposito ricordata la riflessione di Angelo Costa al riguardo di altre banche cattoliche in crisi: "Per la massima parte, sono crollate perché amministrate da persone oneste ma inette o da persone disoneste che pensavano di "fruttare la religione per i loro affari personali".

Gradite o no, afferma ancora il giornale, queste cose succedono, e se si vuole che non succedano ancora occorre "cambiare alcune modalità e strutture del mondo cattolico". "Il Papa, conclude l'editoriale di Luce, ha un preciso carisma e una precisa missione che non lo garantiscono di poter riportare sempre a coerenza evangelica i complessi organismi costituiti dalla storia della Chiesa. Il suo Magistero può essere respinto da questi enti come può venire rifiutato dalle singole persone. Soltanto se tali enti saranno trasformati da fortezze inespugnabili, per occulti traffici, a strumenti per l'intervento storico di una Chiesa a servizio dell'uomo nel nome di Cristo, diventeranno realistici, quando utili, interventi correttivi anche estremamente energici. Simili mutamenti si attuano non per volontà del Papa, ma grazie alla spinta di una sensibilità cristiana, sempre pronta a purificarsi, di tutto il popolo di Dio".

(da Adista nn. 2434-2435-2436 del 13 settembre 1982)

 

LA MAFIA HA AVUTO IL NOSTRO CONSENSO. ORA UNIAMOCI PER SCONFIGGERLA

 

12400. Palermo-adista. Un grande numero di sacerdoti molti parroci e alcuni docenti di teologia, insieme a laici rappresentanti delle associazioni cattoliche della diocesi di Palermo, hanno rivolto un pressante appello al vescovo, ai cattolici e a tutti gli uomini di buona volontà per creare un argine definitivo al fenomeno della mafia in Sicilia. Ecco il testo integrale dell'appello.

 

Lettera aperta ai cristiani della Chiesa di Palermo

"I numerosi delitti che in questi ultimi tempi hanno insanguinato la nostra città e il territorio della nostra chiesa - ma vogliamo ricordare anche tutti i morti di mafia della nostra regione - costituiscono una immensa, cocente domanda di giustizia e di pace rivolta non solo a Dio e ad ogni uomo di buona volontà, ma in particolare all'intero popolo di Dio della nostra diocesi. Una domanda, pertanto, che invita ogni componente della chiesa, ogni suo settore ad interrogarsi e riflettere in modo spregiudicato e coraggioso sulle cause profonde, materiali, per cui i delitti si sono verificati, sugli uomini che li hanno decisi e su coloro che li hanno eseguiti. Non ci si può limitare ad una reazione generica ed emotiva, privata ed individualistica, che non tiri che conseguenze pratiche. Il potere dei mafiosi ha raggiunto manifestamente livelli tali di gravità che non è più possibile - se mai lo è stato - ritardare da parte dei cristiani una risposta corale e forte, precisa e concreta nelle forme adeguate che la situazione richiede. Non vorremmo che il rimprovero del Signore venisse rivolto dai poveri e dalle vittime ai cristiani della nostra chiesa: "Ipocriti! siete capaci di prevedere il tempo che farà e allora come mai non sapete capire il significato di ciò che accade in questo tempo?" (Lc 12,56).

Perciò è venuto il tempo di prendere la parola, pubblicamente e in modo esplicito, e di formulare valutazioni e proposte: per dimostrare a noi stessi e a tutta la città che il nostro Dio non è un idolo muto indifferente alle sofferenze dei poveri e delle vittime, ma un Dio vivo e solerte che non si dà pace finché ogni giustizia non sarà compiuta, ogni lacrima non sarà asciugata e la nostra città non sarà trasformata a misura d'uomo; e che la nostra fede non è una vuota chiacchiera utile per addormentare le coscienze e nemmeno un'alienante ideologia che favorisce il disimpegno e dispensa dal dovere di guardare in faccia le proprie responsabilità passate e presenti. Non è possibile, perciò, che i cristiani tutti - le parrocchie, i vari gruppi e associazioni, i religiosi e le religiose - se ne stiano muti e non si uniscano apertamente alle denunce del vescovo e non ne traggano insieme a lui le conseguenze pratiche del suo magistero. Noi pertanto intendiamo non solo far nostre le forti e profetiche parole del nostro vescovo, da anni voce solitaria che grida nel deserto, ma anche collegarci a quelle pronunciate dai cristiani di Bagheria, Casteldaccia e Altavilla Milicia. Intendiamo anzi andare oltre, superando la tentazione manichea di individuare il bene nelle istituzioni e il male nella mafia, per riconoscere che questa si confonde spesso e talvolta si identifica con le istituzioni stesse, attraverso l'opera nefasta degli uomini di potere che le occupano.

Di fatto, noi cristiani non possiamo più oltre tacere. Ce lo impediscono la natura e la gravità dei fatti, ce lo impediscono il Vangelo e la fede che professiamo. La storia, le vittime e la Parola di Dio ci interpellano pressantemente. Spetta a noi rispondere. Innanzi tutto, con un'autocritica libera, onesta e severa, riconoscendo umilmente che nelle opere della mafia siamo oggettivamente coinvolti. Questa città, infine, l'abbiamo costruita anche noi, in qualche modo, insieme ai mafiosi. Il potere della mafia che domina su Palermo e sulla regione ha avuto di fatto il nostro consenso e il nostro determinante apporto. Questa città, così come è nel bene, ma anche nel male, ci appartiene. Che dire del ritardo culturale della nostra chiesa che non ha saputo analizzare in modo adeguato e conseguente il fenomeno della mafia? In effetti, la relativamente occulta compenetrazione tra mafiosi, uomini politici ed istituzioni è tale, e funziona a tal punto, che quando il vescovo parla si tenta in modo non troppo velato di metterlo a tacere, di sminuire la portata del suo messaggio e di impedire che ne vengano tratte tutte le conseguenze: un dato questo che deve far riflettere ogni cristiano geloso della propria fede e della libertà della chiesa.

A questo punto si tratta di voltar pagina, di non continuare a riservare consensi a coloro ai quali ora sono stati dati, di sciogliere ogni legame e di rompere ogni compromesso; e di compiere quelle limpide scelte evangeliche che soprattutto i poveri possano riconoscere. Il problema che abbiamo davanti è come rendere il futuro della nostra città e della nostra regione meno duro, meno orrendo; come creare nuovi spazi per la giustizia e la pace, per la libertà e la democrazia; come esercitare, dopo esserci liberati da ogni legame con qualsiasi potere e avere preso nelle mani unicamente il vangelo, quel ministero di riconciliazione che Cristo ci ha affidato: in questa città devastata dalla mafia e dominata dal suo terrore.

È possibile che nessuno di noi, né altri, sappia esattamente, prima di discuterne, cosa fare in concreto, oggi, tutti insieme, come chiesa, come comunità di discepoli di Gesù Cristo. Perciò ci sembra giusto e urgente chiedere al nostro vescovo la convocazione di un'assemblea, di un convegno ecclesiale in cui tutti possano parlare ed essere ascoltati, portare analisi e riflessioni, e ricercare e trovare insieme, e stabilire quanto è necessario fare nell'ora presente per una nuova liberata testimonianza evangelica della nostra chiesa, proprio rispetto ai problemi posti dal potere e dalla violenza dei mafiosi.

È con trepidazione che rivolgiamo pubblicamente questo appello perché non vorremmo urtare nessuna suscettibilità. Chiediamo semplicemente che il messaggio del vescovo venga esplicitamente condiviso e ne vengano tratte le conseguenze pastorali.

Chiediamo che non venga delusa la speranza che i poveri, i senza potere, le vittime della mafia, gli uomini di buona volontà e i giovani pongono nella capacità che la chiesa ha di portare un contributo originale e forse determinante nella lotta per la liberazione della nostra città e regione dalla mafia". Palermo, 1 ottobre 1982.

(da Adista nn. 2455-2456-2457 del 7 ottobre 1982)

 

 

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