1986 - ABROGATA LA "SCELTA RELIGIOSA"
Tratto da: Adista Notizie n° 2728 del 05/04/2008
La vita del Paese è scossa da una serie di eventi che seminano angoscia e sgomento. Un po' perché scoppia, in marzo, lo scandalo del vino al metanolo (23 i morti accertati). Ma soprattutto a causa della nube nucleare seguita all’esplosione del reattore nucleare di Chernobyl (26 aprile), in Ucraina. Nei giorni successivi al disastro, infatti, la radioattività contamina buona parte dell'Europa, Italia compresa. Il panico è generale. Le conseguenze sulla popolazione ucraina dureranno per decenni. In Italia, a causa della possibile contaminazione dei terreni, viene proibita la vendita di verdure e latte fresco. Ma anche le tensioni internazionali si ripercuotono pesantemente sul nostro Paese. Il presidente Usa Reagan accusa la Libia di sostegno al terrorismo internazionale. La VI flotta Usa nel Mediterraneo viene inviata a fare esercitazioni militari nel golfo della Sirte. Per Gheddafi è una provocazione. Si sfiora la guerra. E la guerra sfiora l’Italia. Il 2 aprile un aereo della Twa in volo verso Roma esplode. Gli Usa accusano dell’attentato estremisti libici. Tre giorni dopo, un altro attentato in una discoteca di Berlino frequentata da soldati americani. Per Reagan c’è lo zampino della Libia: il 15 aprile gli Usa bombardano Tripoli e Bengasi. Missili libici sfiorano la stazione radio americana di Lampedusa. Il presidente del Consiglio Craxi diffida Gheddafi dal ripetere atti di aggressione; nel contempo, condanna l'azione di guerra degli Usa. Segnali di disgelo arrivano invece dai rapporti Usa-Urss. Il 28 luglio, Gorbaciov annuncia un parziale ritiro delle truppe sovietiche dall'Afghanistan. L’11 ottobre, secondo summit tra Gorbaciov e Reagan a Reykjavik (Islanda) per parlare di riduzione degli arsenali nucleari europei. Se l’Urss cerca la distensione, gli Usa lavorano in direzione opposta. L’8 novembre, scoppia l'Irangate: Reagan è indagato per aver venduto armi al regime di Khomeini e di aver finanziato, con i proventi di questa operazione, la controrivoluzione dei "contras" nel Nicaragua. Nelle Filippine, è eletta presidente Corazon Aquino (25/2). Ferdinand Marcos è costretto ad abbandonare il Paese dopo 21 anni di dittatura. Muore a Stoccolma il 28 febbraio, in un attentato che resta tuttora senza esecutori e mandanti, Olof Palme, leader socialdemocratico impegnato contro l'apartheid e per la causa palestinese. Tornando alle vicende interne, a Palermo, il 10 febbraio, si apre il primo maxi processo contro "Cosa nostra", istruito grazie alle rivelazioni fatte dal pentito Tommaso Buscetta: sono imputate di reati di mafia 456 persone. Il 20 marzo viene misteriosamente avvelenato in cella Michele Sindona, condannato all'ergastolo per l'uccisione di Giorgio Ambrosoli. Sempre in tema di misteri, il 29 marzo si conclude definitivamente il processo per l'attentato a Giovanni Paolo II. L'unico colpevole è Ali Agca, condannato all’ergastolo. Nel 1986, due eventi "storici" segnano la vita della Chiesa: la visita di Wojtyla alla Sinagoga maggiore di Roma e la Giornata mondiale di preghiera per la pace ad Assisi (il 27 ottobre), cui, su iniziativa del papa, prendono parte i rappresentanti di tutte le grandi religioni mondiali. Alla benevolenza del suo volto mediatico, il papa continua però a contrapporre la durezza della repressione di ogni voce non allineata. Il 25 luglio, il card. Ratzinger vieta di insegnare al teologo statunitense Charles Curran, critico nei confronti dell’Humanae vitae. In una Notificazione del 15 settembre Ratzinger censura le tesi sul ministero presbiterale del teologo Edward Schillebeeckx. Lo stesso mese, in una lettera ai preti della sua diocesi, l'arcivescovo di Seattle, mons. Raymond Hunthausen, noto per le sue idee pacifiste e per la sua pastorale per la comunità omosessuale, informa di essere stato esautorato dal Vaticano di molti dei suoi poteri pastorali. Nella lettera Homosexualitatis problema (1° ottobre) il card. Ratzinger definisce l’omosessualità "oggettivamente disordinata". Si acuisce anche lo scontro tra le diverse anime dell’Azione Cattolica. Quella che si rifà ad una lettura integrale del Concilio, che fa capo alla presidenza di Alberto Monticone e quella che del Concilio dà una lettura integralista, che ha il suo leader in Dino Boffo e potenti sponsor tra la gerarchia e in Comunione e Liberazione. Alcuni dirigenti di Ac si dimettono dalle loro cariche, tentando di aprire una crisi dentro l’associazione. Alla fine, l’Assemblea nazionale di Ac conferma la linea Monticone, che però lascia la presidenza con un anno di anticipo rispetto alla scadenza del mandato. Nonostante tutto, la Chiesa di base continua ad essere in fermento. Polemiche sull’ora di religione nella scuola pubblica, dopo l’accordo firmato a dicembre ‘85 tra il ministro della Pubblica Istruzione Falcucci (Dc) e il presidente della Cei Poletti, che introduce forti limitazioni al diritto di non avvalersi dell'insegnamento confessionale. "Paghi le tasse chi vuole la pace", titola un suo intervento sull’Espresso (19/1) il ministro della Difesa Spadolini, attaccando quei cattolici che, sottoscrivendo l’appello "Beati i costruttori di pace" lanciato qualche mese prima da un gruppo di preti veneti, sostengono l’obiezione di coscienza alle spese militari. Il testo verrà nel corso dell’anno sottoscritto da preti, vescovi e migliaia di credenti. Il 18 aprile altra via crucis per le strade di Comiso per dire no ai missili nucleari della Nato. Nel 1986 muoiono due figure simbolo del cattolicesimo democratico del ‘900: Giuseppe Lazzati e padre Michele Pellegrino. (valerio gigante) PER L’OBIEZIONE FISCALE ALLA GUERRA 750 SACERDOTI PIEMONTESI. E UN VESCOVO 16676. TORINO-ADISTA. "Cari amici, firmatari dell'ap-pello 'Beati i costruttori di pace' vi scriviamo per dirvi: 'siamo con voi'". Così inizia una lettera di adesione e solidarietà di 750 sacerdoti e religiosi del Piemonte e della Valle d'Aosta in sostegno del documento dei cattolici del Triveneto (v. Adista n. 3420). Tra i 750 firmatari dell'appello, che porta la data del 4 marzo, c'è anche il vescovo di Pinerolo, mons. Pietro Giachetti. "Noi pensiamo - scrivono i sacerdoti torinesi e valdostani rivolgendosi ai confratelli del Triveneto - che il vostro appello sia profezia per chi lo vuole ascoltare e capire", perché "dire cose scomode per tutti, assumere atteggiamenti di leale disobbedienza civile, in obbedienza alla coscienza, disposti a pagarne le conseguenze, è avere alto il senso della collettività, del bene comune". Oltre a sostenere le proposte e i contenuti dell'appello dei cattolici del Triveneto, i sacerdoti torinesi e valdostani si impegnano "ad approfondire" quelle proposte in un documento che verrà reso noto nelle prossime settimane. "Nel vostro appello - scrivono infine - abbiamo colto la convinzione che occorre vedere la politica economica e militare non tanto dal punto di vista del benessere 'nostro', ma dal punto di vista del mondo, soprattutto dei poveri, che vogliono il pane della libertà nella giustizia. Per questo siamo con voi". (...) (da Adista n. 26/86) I FILO-CIELLINI DELL'AZIONE CATTOLICA ABBANDONANO I LORO INCARICHI 16411. ROMA-ADISTA. Due vicepresidenti nazionali dell'Azione Cattolica Italiana, Pasquale Straziota e Maria Mattioli, hanno rassegnato le dimissioni dal loro incarico (responsabili del settore giovani) nel corso dell'ultimo Consiglio nazionale dell'Associazione svoltosi a Roma il 18 e 19 gennaio scorsi. Ai due vicepresidenti si è unito, nelle dimissioni, anche il responsabile nazionale del settore ragazzi (Acr) Antonio Tombolini. I tre erano stati indicati da Adista (n. 3353) come gli oppositori, insieme al consigliere nazionale Dino Boffo, del presidente nazionale, Alberto Monticone, sia all'interno della presidenza sia nel Consiglio Nazionale. (...) Nel comunicare le dimissioni, l'ufficio stampa dell'A.C. non fornisce nessuna notizia sulle motivazioni, ma tutto lascia supporre che alla base ci siano le ragioni di sempre: la "divergenza" dalla "scelta religiosa", la convergenza sulle tesi e sulle strategie di Cl che accusa Monticone addirittura di "neoprotestantesimo". Capofila di questa linea è sempre il trevigiano Dino Boffo, sostenitore di una strategia di intesa e di collaborazione con Cl, la quale, a sua volta, non nasconde di stimarlo e non trascura occasione per invitarlo alle proprie manifestazioni. Boffo era già vicino alle posizioni di Cl nel 1980 quando venne eletto, primo tra i responsabili unitari, con 460 voti, alla quarta assemblea dell'Ac. Il settimanale ciellino, "Il Sabato", titolò il 4 ottobre 1980 "Eletto Boffo scoppia l'applauso". Tre anni dopo Boffo si presentò nella lista del Settore adulti e riportò solo 88 voti e "Il Sabato" si guardò bene dal dedicargli un titolo. Attorno a Boffo si coagulano Straziota e Mattioli del Settore giovani, Tombolini dell'ACR e Fabio Porta del Movimento studenti. L'opposizione è ben vista da alcuni settori del Vaticano, soprattutto da quando direttore de "L'Osservatore Romano" è Mario Agnes, predecessore di Monticone alla guida dell'ACI. Ma a Loreto la linea Monticone si rafforza e comincia a raccogliere consenso anche in Vaticano, dove, a favore di Monticone, si fanno garanti il vescovo Tagliaferri, assistente generale, e gli assistenti centrali dei vari settori. A questo punto l'opposi-zione interna resta isolata e presa di contropiede dalla decisione di Monticone di giungere ad una sorta di resa dei conti con l'anticipo dell'Assemblea nazionale di un anno rispetto alla sua scadenza naturale. A questo si aggiunge la riconferma papale di mons. Tagliaferri nella carica di assistente generale il giorno stesso (3/12/85) in cui scadeva il suo mandato. Mons. Tagliaferri, pur non essendosi mai apertamente schierato, ha tuttavia appoggiato Monticone nel suo sforzo di mantenere alta la sfida della "scelta religiosa" contro il tentativo ciellino di trascinare anche l'Azione Cattolica nella strategia della cosiddetta "presenza" dei cattolici e nei rigurgiti del neocollateralismo alla Dc. Da qui l'ultimo colpo di coda: giungono in Vaticano tre dossier contro lo stesso mons. Tagliaferri, contro mons. Paolo Rabitti, assistente centrale del Settore adulti, e, naturalmente, contro Monticone e la sua "scelta religiosa". Ma il Vaticano respinge i dossier e, implicitamente, scarica l'opposizione. L'ultima carta resta quella delle dimissioni nel tentativo di farsi legittimare questa volta da un organo collegiale rappresentato dal Consiglio Nazionale. Ma l'operazione non riesce e il Consiglio accetta le dimissioni. Anche il Movimento Studenti ha tentato di delegittimare mons. Tagliaferri, chiamando a tenere la relazione pastorale del proprio convegno nazionale mons. Camillo Ruini, vescovo ausiliare di Reggio Emilia, noto per essere avverso alla linea di Alberto Monticone. (da Adista n. 7/86) È MORTO PADRE PELLEGRINO, UOMO DEL CONCILIO, PROFETA DEL DIALOGO Voleva lo chiamassero "padre" e non eminenza, portava al collo una semplice croce di legno, indossava quasi sempre la tonaca nera del prete, e non la mantella color porpora che spetta ai principi della chiesa. Ma la diversità del cardinale Pellegrino non era solo apparente o formale. Se lo chiamarono il prete dello scandalo, o il prete del dialogo, fu perché non eluse alcuno dei temi scottanti che la Chiesa post conciliare si trovò a dibattere. In primo luogo la scelta a favore dei deboli e dei poveri, quindi la ricerca di punti d’incontro con i marxisti, e ancora la definizione del ruolo della donna nella Chiesa, il divorzio, la risposta alle necessità del terzo Mondo. Nella sua ultima intervista, rilasciata quattro anni fa al settimanale cattolico "Il Regno", egli ammoniva sul rischio di "una Chiesa immobile", si pronunciò a favore dell’ordinamento sacerdotale per gli sposati, suggeriva di mettere allo studio anche alcune forme di sacerdozio femminile, come già accadeva nelle prime comunità cristiane. Dette scandalo dunque, come il Vangelo aveva previsto per i veri credenti, e non solo con le idee ma anche con i gesti. Come una sera agli inizi degli anni settanta, quando uscì dalla curia e si avviò a piedi alla stazione di Porta Nuova, per partire con i metalmeccanici in sciopero che avevano alzato una tenda al centro della piazza. Monsignor Pellegrino diventò cardinale nel '65, in una città che sembrava travolta dalle tensioni sociali, dai problemi legati all'immigrazione, da una crescita industriale affrettata. E la sua scelta fu subito chiara. Si schierò dalla parte dei deboli e degli emarginati, arrivò al punto di dire che "dai marxisti ci divide in maniera inconciliabile l'ideologia, ma niente vieta che percor-riamo insieme la strada per eliminare le miserie materiali e morali". Volle dunque il dialogo, lo sollecitò al punto da divenire il segno, per tutta la Chiesa che si rinnovava dopo il concilio. Il documento che più fece scalpore, aprendo un dibattito che si allargò ben oltre la diocesi di Torino, fu una lettera rivolta ai fedeli dal titolo "Camminare insieme". Alla stesura collaborarono anche esponenti del Pci. Era una durissima critica alla società del benessere, al capitalismo, un invito pressante perché la Chiesa diventasse radicalmente la chiesa dei poveri. Quel documento non piacque, né poteva piacere, alla classe dirigente torinese né alla curia romana. Ma in realtà il "cardinale rosso", come fu chiamato non senza disprezzo in quella occasione, non sposò mai appieno le tesi che poi furono del cosiddetto "cristianesimo critico". Si leggeva infatti nella lettera pastorale: "Si tradirebbe il messaggio evangelico in tema di povertà, se si riducesse l’impegno del cristiano a una lotta contro la povertà". (...) Nel '77, a 74 anni, annunciò le sue dimissioni. Usciva così dalla scena un personaggio scomodo che molti, forse, avevano creduto di poter manovrare. In realtà, come lui stesso scrive, aveva seguito soltanto "i segni evangelici della povertà e della fraternità, intesi come fede ed amore". (Maurizio Naldini, La Nazione, 11/10/86, da Adista n. 71/86)
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