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1992 - 1492-1992: 500 ANNI BASTANO

Tratto da: Adista Notizie n° 2728 del 05/04/2008

Inizia il passaggio alla cosiddetta Seconda Repubblica. L’inchiesta denominata Mani pulite, condotta dal pool di magistrati della procura di Milano, spazza via metà della classe dirigente italiana ed innesca il processo di dissoluzione della Dc e del Psi. Si inizia a febbraio, quando il pm Antonio Di Pietro fa arrestare il socialista Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, sor-preso a nascondere una mazzetta nello scarico del bagno. Prende avvio così la cosiddetta "Tangentopoli": circa 5000 indagati, di cui 3200 rinviati a giudizio. Un terremoto giudiziario che si ripercuote sulle elezioni politiche di quell’anno: ad aprile, la Dc va sotto il 30%, nonostante il card. Camillo Ruini ribadisca più volte la necessità di un "impegno unitario" dei cattolici in politica; il Psi perde l’1,2%; la Lega vola oltre il 9%; il Pds è poco sopra il 16%; Rifondazione raggiunge il 5,6%. Con verdi (2,7%) e la Rete (1,8%) la sinistra non raggiunge neanche il 25%. Un Parlamento frammentato elegge presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro (la Dc aveva candidato il segretario Forlani, impallinato a ripetizione dai "franchi tiratori"), chiudendo il disastroso settennato di Cossiga, dimessosi con due mesi di anticipo con un "regalo" al movimento per la pace: il rinvio alle Camere della nuova legge sull'obiezione di coscienza. Non se ne farà più nulla fino al 1998. Dopo lunghe consultazioni, il governo guidato dal socialista Giuliano Amato il 4 luglio ottiene la fiducia. È un quadripartito Dc, Psi, Psdi, Pli. Il Pds vota contro, ma segna la sua svolta "governista", dichiarandosi pronto a valutare con attenzione i singoli provvedimenti. Ma il governo Amato (che dichiarò di voler traghettare l’Italia fuori dalla crisi per poi ritirarsi dalla politica…) resterà celebre per una finanziaria costata 90mila miliardi di lire, per l’accordo con i sindacati (31 luglio) che abolisce la scala mobile e congela i salari nel pubblico impiego, per il blocco dei pensionamenti e per un lungo elenco di privatizzazioni. Il 29 ottobre il Parlamento italiano ratifica il trattato di Maastricht. L’anno si chiude con la notizia, il 15 dicembre, del primo avviso di garanzia a Craxi. "Mai provvedimento giudiziario fu più popolare, più atteso, quasi liberatorio" scriveva entusiasta Vittorio Feltri il giorno dopo sull’Indipendente. Altri tempi.

Intanto, gli scenari di una Repubblica che pure è al tramonto restano torbidi. Il 2 Gennaio, a Surbo (Le), una bomba esplode sui binari poco prima del passaggio del diretto Lecce-Milano. Strage evitata di un soffio. Il 12 marzo Salvo Lima, luogotenente andreottiano della Dc in Sicilia e uomo legato alla mafia, viene ucciso a Palermo. Il 14 marzo al processo d'appello per la strage del rapido 904 tutti gli imputati - camorristi, mafiosi e neofascisti romani - vengono condannati. A Pippo Calò, legato alla banda della Magliana e cassiere della mafia, viene dato l'ergastolo. In aprile, al processo di primo grado per la bancarotta fraudolenta del Banco Ambrosiano, Luigi Mennini, dirigente dello Ior, viene condannato a 6 anni e 4 mesi. Ma mons. Marcinkus e De Strobel, nel frattempo, sono usciti dall'inchiesta, a causa dell'art. 11 dei Patti Lateranensi cui il Vaticano si era appellato. L’apice della tensione tra poteri e sottopoteri dello Stato si raggiunge il 23 maggio quando a Capaci, sull’autostrada che collega Palermo a Trapani, il giudice Giovanni Falcone viene ucciso insieme a sua moglie e alla scorta dalla mafia. Agghiacciante replica il 19 luglio, quando un'autobomba uccide il giudice Paolo Borsellino, procuratore della Repubblica a Marsala, e 5 agenti della scorta. Poi, il 3 dicembre scoppia lo scandalo dei "fondi riservati" del Sisde, soldi che finiscono nei libretti, conti correnti e beni immobili intestati ai dirigenti del servizio, destinati forse a finanziare operazioni occulte di cui si vuol far perdere traccia. Tra gli indagati Bruno Contrada.

Qualche squarcio sul mondo. Il 29 aprile, a Los Angeles, la diffusione di un video con alcuni poliziotti che picchiano un uomo di colore dà vita ad una violentissima rivolta dei neri. Il 12 ottobre iniziano le celebrazioni per il cinquecentenario della "scoperta" dell'America. Il 3 novembre, il democratico Bill Clinton è eletto presidente degli Stati Uniti. Poco dopo (4 dicembre) le forze armate Usa entrano in Somalia per l’operazione Restore Hope.

Ad ottobre la Chiesa riabilita Galilei, condannato nel 1633, ma è un’operazione di facciata: il papa riafferma la dottrina tradizionale della Chiesa promulgando un nuovo Catechismo. E il Vaticano, con i contemporanei, si comporta come al solito: mette in stato di accusa, per le sue tesi sulla sessualità, il teologo canadese André Guindon e preme affinché i domenicani caccino dall’Ordine, per lo stesso motivo, il teologo Mattew Fox; dichiara "fuori luogo" la proposta dell'arcivescovo di Milwaukee, mons. Weakland, di ordinare, in situazioni pastorali di "estrema necessità", uomini sposati; con la lettera Communionis notio (28 maggio) dà una interpretazione restrittiva del Vaticano II e della collegialità episcopale; nega al domenicano p. Philippe Denis, critico verso l'Opus Dei, il nihil obstat all’insegnamento presso la Facoltà di Teologia di Strasburgo; interviene direttamente sulla Conferenza dei vescovi latinoamericani a Santo Domingo; e indirettamente sulle scelte di Eugen Drewermann, che a marzo rinuncia all’ufficio presbiterale, e di Leonardo Boff, che in giugnolascia l’Ordine francescano.

ARISTIDE ACCUSA: IL VATICANO SI VENDICA DELLA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE

 

24433. PARIGI-ADISTA. È trascorso appena più di un anno dal momento in cui Jean Bertrand Aristide assunse le funzioni di presidente della repubblica di Haiti, dopo essere stato eletto con più del 67% dei voti. Ed è proprio ora che, sciogliendo il silenzio mantenuto dopo il colpo di Stato del 30 settembre scorso, l'ex salesiano ha deciso di parlare. Lo ha fatto in un'intervista rilasciata al settimanale francese Témoignage Chrétien, in cui pronuncia accuse molto esplicite contro l'esercito haitiano, gli Stati Uniti e il Vaticano.

Gli strali di Aristide sono diretti in particolare alla Santa Sede, che ha aspettato 65 giorni a condannare il golpe e la repressione: "Per chi conosce il papa e la maggioranza dei vescovi haitiani, non c'è alcuna sorpresa. Ci si sarebbe dovuti stupire in caso contrario", afferma. "Nella lunga lotta condotta contro le dittature post-Duvalier, abbiamo sempre trovato la gerarchia cattolica a sbarrare il cammino dell'emancipazione. L’'appog-gio' seguito alla mia investitura non è stato che per opportunismo. Tra gli Stati che si ingegnano a ritardare il ritorno al processo democratico, credo che bisogna mettere al primo posto il Vaticano. E mentre gli Stati riducono la loro rappresentanza diplomatica in Haiti, il Vaticano ha nominato un nunzio!".

Il prezzo che Haiti sta pagando in termini di morti, rifugiati politici e clandestini è largamente superiore a quello pagato dai Paesi dell'Est per la loro emancipazione. "In quel caso - commenta Aristide - il Vaticano non ha aspettato due mesi per reagire! Siamo profondamente rattristati al pensiero che si vogliano regolare i conti con la teologia della liberazione a discapito di uno dei Paesi più sguarniti e più coraggiosi del mondo". Insomma, appare "evidente" una collusione tra dittatura e gerarchia cattolica: "Abbiamo a che fare con una lotta della gerarchia contro il popolo - afferma l'ex presidente di Haiti - dettata da istanze superiori. Una vera dimostrazione antievangelica. Certo, i vescovi non utilizzano lo stesso vocabolario dei golpisti. Ma accreditano l'idea che non ci sarebbe mai stata democrazia ad Haiti". Il clero che denuncia gli attentati alle libertà elementari, inoltre, non è minimamente protetto dalla gerarchia: mons. Willy Romélus, vescovo di Jérémie, ad esempio, che ha condannato il colpo di Stato, "è esposto a continue persecuzioni. I suoi collaboratori vengono arrestati, il vescovo è continuamente minacciato". "Il memorandum presentato dalla Conferenza episcopale all'OEA - continua Aristide - testimonia il suo sostegno al colpo di Stato e la sua mancanza di solidarietà al clero haitiano". In questa situazione, le comunità ecclesiali di base (le "Ti Legliz") continuano la "resistenza pacifica": "Non accettano la legge del silenzio", spiega Aristide. "Attraverso la loro voce, Dio continua a farsi uomo per denunciare l'ingiustizia. È poco dire che io sono in comunione con loro. La spinta profetica di queste comunità porta avanti la lotta per i diritti dell'uomo. Diritto al pane, alla sicurezza, al lavoro, alle libertà".

(da Adista n. 19/92)

 

16 CATTOLICI CANDIDATI A SINISTRA RIGETTANO IL MONITO DI RUINI

 

24468. ROMA-ADISTA. (...) Nei momenti cruciali della vita politica del nostro Paese, e le prossime elezioni sono tra questi, diventa difficile orientarsi nelle scelte. Questo vale particolarmente per i cattolici chiamati, oltre che a rispondere alla propria coscienza e al proprio discernimento politico, a misurarsi con le reiterate sollecitazioni della gerarchia ecclesiastica che ritiene suo diritto e dovere indicare ai fedeli la via da seguire, la politica da scegliere.

Il nostro schierarci, insieme ad altri cristiani, in partiti diversi testimonia senza equivoci che non riteniamo vincolante tale sollecitazione. Riteniamo dovere di ogni cristiano non privare il suo Paese del contributo di idee e di proposte politiche ricavate dalla propria elaborazione e dal confronto con donne e uomini di diverso orientamento ideale e culturale. Lo esige l'impegno alla solidarietà posto dalla Costituzione alla base della nostra democrazia. Lo conferma una concezione autenticamente laica della vita sociale e politica.

Non c'è democrazia senza laicità. Laicità non è disimpegno e neppure solo tolleranza. È accettazione dell'altro, riconoscimento della dignità della sua persona e rispetto delle sue convinzioni ideologiche, religiose, politiche. Costituisce la premessa per costruire la pacifica convivenza fra etnie e religioni diverse, resa oggi più difficile, ma anche più necessaria, dalla dimensione planetaria in cui popoli e nazioni sono chiamati a vivere.

Per la piena affermazione di tale principio intendiamo spenderci all'interno delle diverse formazioni politiche e nell'ambito delle opzioni particolari nelle quali siamo pienamente coinvolti.

Giovanni Benzoni (Rete), Ettore Masina (Pds), Marco Boato (Verdi), Gianni Mattioli (Verdi), Nicola Colaianni (Pds), Eugenio Melandri (Prc), Giovanni Franzoni (Verdi), Pierluigi Onorato (Pds), Paola Gaiotti De Biase (pds), Enrico Peyretti (rete), Alfonso Gambardella (Prc), Giovanni Russo Spena (prc), Filippo Gentiloni (Pds), Massimo Scalia (Verdi), Domenico Jervolino (Prc), Angelo Tartaglia (Rete).

(da Adista n. 22/92)

 

PELLEGRINAGGIO A 500 ANNI DALLA CONQUISTA. MA LA CHIESA ITALIANA NON LO APPOGGIA

 

24772. TORINO-ADISTA. (dall'inviato) "Il pellegrinaggio penitenziale da Genova ad Assisi per ricordare i cinquecento anni dell'America Latina non è una manifestazione di protesta. Perché, dunque, i vescovi italiani non lo appoggiano?". La domanda di p. Leonardo Boff, il più noto tra i teologi della liberazione, è echeggiata al Salone del Libro di Torino il 23 maggio scorso, ma rimasta senza risposta.

Alla grande kermesse cultural-commerciale, il francescano brasiliano è intervenuto per presentare le sue ultime pubblicazioni edite dalla Cittadella Editrice e per parlare sul tema dei "Cinquecento anni: prospettiva delle vittime e teologia della liberazione". E subito sono venute a galla le difficoltà che il pellegrinaggio penitenziale, promosso - tra gli altri - dalla Pro Civitate Christiana, dalla Rete Radié Resch, da Pax Christi, dalle Acli e dall'Aifo, e incoraggiato da p. Boff, sta incontrando nelle gerarchie ecclesiastiche.

L'iniziativa - che non ha ricevuto rilievi in pubblico - non ha certo avuto il favore della maggior parte dei vescovi italiani, che non vedono di buon occhio una così ampia mobilitazione di cattolici italiani su un tema ancora ritenuto scottante e non in sintonia con le linee ufficiali dell'episcopato. (...)

A questa preoccupazione ecclesiastica, p. Boff ha risposto che "ogni punto di vista è la vista da un punto. Bisogna sempre discutere il proprio punto di partenza". Così, sui 500 anni, "sono possibili tre visioni", ha rammentato il francescano: "Quella di chi sta sulle caravelle, quella di chi sta sulla spiaggia, e quella di chi parte dai 4000 anni di storia precolombiana dell'Ame-rica". Ed è quest’ultima, secondo p. Boff, la più interessante. "È quella dell'autoscoperta", ha detto. "E' lo sforzo degli stessi popoli indigeni, soprattutto dei settori più consapevoli, che approfittano delle celebrazioni come un'occasione per scoprire se stessi, per recuperare la memoria distrutta dai conquistatori". Non un memoria da museo, di gusto archeologico, ma una memoria viva, in cui la riscoperta dell'antica sapienza millenaria degli indios, insieme alle tradizionali visioni del mondo e dell'uomo, rendano possibile una riflessione teologica autonoma, creativa, capace di nuova liberazione.

"L'America Latina - ha poi sottolineato Boff - non è mai stata soggetto del proprio destino. Nonostante il genocidio, i popoli indigeni non sono scomparsi. Oggi nel continente sono circa 50 milioni di persone. Per questo, dopo 500 anni di silenzio e di schiavitù imposta, è un dovere di giustizia ascoltare le vittime. Come diceva Las Casas, i poveri fino alla fine del mondo e al giudizio universale, hanno il diritto di urlare a Dio la propria povertà".

(da Adista n. 41/92)

 

 

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