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1993 - POLITICA ALLO SBANDO. WOJTYLA PIU' "INFALLIBILE"

Tratto da: Adista Notizie n° 2728 del 05/04/2008

Ed eccolo farsi strada, il "nuovo che avanza", sulle macerie della repubblica parlamentare: dopo il varo, il 28 gennaio, dell'elezione diretta dei sindaci e dei presidenti delle province, il 18 e 19 aprile si vota per otto referendum. Tra questi, quello per l’introduzione del sistema elettorale maggioritario, che gli elettori avallano con oltre l’82% dei consensi. Da qui lo stravolgimento dell’idea del Parlamento come espressione diretta del corpo elettorale; la coartazione delle culture politiche all’interno di "poli" elettorali in cui le minoranze sono "silenziate"; l’introduzione - di fatto - dell’elezione diretta del premier, la concentrazione del potere nel governo a scapito del Parlamento. Insomma, il referendum è un punto di non ritorno che, unito alla frana politica causata da Tangentopoli, ridisegna totalmente gli assetti politico-istituzionali, alla fine di una lunga crisi iniziata negli anni ‘70. Con la classe dirigente della Dc e del Psi falcidiata dagli avvisi di garanzia (a causa della mancata autorizzazione a procedere da parte della Camera, il 29 aprile, nei confronti di Bettino Craxi, Pds e Verdi escono per protesta dal governo Ciampi, nato appena il giorno prima), l’effetto - già alle elezioni comunali - è dirompente: il blocco dei partiti governativi sparisce; la sinistra vince a Roma (dove l’Msi raccoglie però da solo il 33% dei consensi), Napoli, Genova, Venezia, Trieste. A sfruttare il vuoto lasciato nel centro-destra è Silvio Berlusconi che, forte di un impero mediatico cresciuto all’ombra del Psi (ma in forte crisi finanziaria) - e blandendo con lo spauracchio del comunismo industriali e ceti medi - prepara la sua "discesa in campo". Berlusconi esordisce il 23 novembre, dichiarando che, se avesse votato nel ballottaggio tra Fini e Rutelli per la carica di sindaco a Roma, avrebbe sostenuto senza esitazione il candidato missino. È il primo passo dello sdoganamento della destra e del progetto di un nuovo partito di destra populista. Lungimirante, il manifesto titola: "Il cavaliere nero". Anche mafia, camorra, n'drangheta, sacra corona unita e criminalità organizzata in generale cercano nuovi equilibri. Con la vecchia classe politica allo sbando, mancano infatti referenti e protezioni nei palazzi romani (mentre la procura di Palermo indaga Giulio Andreotti per concorso in associazione mafiosa). E dopo gli attentati del ‘92, gli arresti si susseguono: il 2 gennaio viene arrestato Aldo Madonia; il 15 gennaio Totò Riina; il 18 maggio Nitto Santapaola; il 2 giugno Giuseppe Pulvirenti, tutti ricercati da anni (Riina da ben 23), cui si aggiungono molti latitanti e 55 appartenenti alla Banda della Magliana, arrestati a Roma il 16 aprile. Qualcuno decide allora di inviare un segnale: il 14 maggio un ordigno esplode a Roma in via Fauro nel quartiere Parioli. Bilancio: 23 feriti. Il 27 maggio, a Firenze, un furgoncino salta in aria in via dei Georgofili. 5 morti, 29 feriti. Il 27 sera, un’autobomba esplode a Milano in via Palestro. 5 morti. La stessa sera, a Roma, esplodono due ordigni, uno a Piazza San Giovanni in Laterano, l'altro davanti alla chiesa di S. Giorgio al Velabro. Una decina i feriti. Cinque attentati che si somigliano. E che per molti portano la stessa firma.

Esteri: il 13 settembre Yasser Arafat e Shimon Peres firmano a Washington una bozza di accordo di pace alla presenza del presidente Usa Clinton, dopo mesi di trattative segrete condotte a Oslo. Ma gli "accordi di Oslo" contengono solo dichiarazioni di principio. Nella ex Jugoslavia la guerra continua. Il 9 novembre a Mostar crolla sotto i colpi dei mortai croati l'antico ponte di pietra del XVI secolo, simbolo della città. Crolla con esso anche il sogno di pace di tanti, come mons. Tonino Bello, presidente di Pax Christi. Sfidando la guerra, i cecchini e i posti di blocco, don Tonino, nel dicembre ‘92, era stato a Sarajevo insieme a 500 pacifisti, credenti e non, uniti dal desiderio di sperimentare "un’altra Onu", l’Onu dei popoli. Ma don Tonino muore il 20 aprile del ‘93, consumato dal cancro. Si spegne così una delle ultime voci profetiche del nostro episcopato. E la Chiesa resta più sola. E sempre più conformista.

A febbraio Wojtyla amplia l'àmbito dell'infallibilità papale, includendo oltre ai temi di fede anche quelli morali. Aggiunge, ad agosto, l’enciclica Veritatis Splendor, fondata sull’"etica dell’obbedienza" alla "verità" assoluta di cui è custode la Chiesa cattolica. In marzo, il Pontificio Consiglio per la Famiglia sostiene che la contraccezione "corrompe l'intimità coniugale" e che i cristiani devono opporsi al divorzio. Ma in una lettera pastorale comune (10 luglio) tre vescovi tedeschi (tra cui Karl Lehmann) sostengono che i divorziati risposati possono accostarsi all’eucaristica: il card. Ratzinger obbliga però i tre a rimangiarsi la proposta. Anche Ruini si dà da fare. Continua a sostenere la Dc, blocca i lavori della Commissione mista fra cattolici e valdesi-metodisti sui matrimoni interconfessionali, si occupa di completare la normalizzazione delle associazioni laicali. A febbraio costringe alle dimissioni la presidente della Fuci Giulia Gallotta. Ufficialmente la Gallotta lascia per "motivi di salute"; in realtà si era rifiutata di "addomesticare" un convegno sulla politica svolto dalla Fuci nel dicembre ‘92.

DON TONINO BELLO: A PIEDI SCALZI SULLE STRADE DELLA PACE

 

25475. MOLFETTA-ADISTA (dall'inviato) La "spedizione" dei 500 a Sarajevo di metà dicembre e la marcia per la pace di Molfetta dell'ultimo dell'anno, cui hanno preso parte, sotto una pioggia scrosciante, 4.000 persone provenienti da tutta Italia, hanno concluso significativamente il 1992, rappresentando uno squarcio di speranza. "La guerra ha le ore contate, non può durare a lungo", ha affermato mons. Tonino Bello, vescovo di Molfetta, che ha partecipato attivamente ad entrambe le manifestazioni. Qualche giorno dopo la marcia svoltasi nella sua città, mons. Bello ci ha rilasciato un'intervista, in cui lancia un pressante messaggio ai giovani (...).

D: Don Tonino, anche se i media hanno più o meno ignorato l'avventura dei 500 a Sarajevo, ne hanno parlato i giovani, i parroci, le associazioni cattoliche e non (...)

R: Voglio dire innanzitutto che non ricordo il pellegrinaggio nella ex Jugoslavia come una gloriosa impresa - parecchi di noi invece sono tornati da Sarajevo con una nota di fierezza. Anch'io sono stato a Sarajevo, e sono tornato da lì con delle cicatrici profonde nell'anima, con delle stimmate che chissà per quanto tempo porterò dentro, sicuramente finché camperò.

Perché siamo andati lì? Non per risolvere il problema della guerra. Siamo andati soprattutto per testimoniare a quella gente la nostra solidarietà, per dire che l'Europa non si è dimenticata di loro, per dire che c'è nel mondo gente che ama la pace, la nonviolenza attiva, che ama la difesa popolare nonviolenta, che ci sono oggi alternative nuove alla difesa armata, alla guerra. Non sono più le armi l'unico strumento per risolvere i conflitti internazionali e i conflitti tra i popoli. Le armi, ormai, lo dico con speranza, hanno il tempo contato, non potranno reggere a lungo. Quando ancora lo sforzo di coloro che s'impe-gnano per la pace avrà smascherato fino in fondo la gazzarra dei mercanti d'armi, allora senz'altro sarà sbrecciata questa catena che collega il business degli affari con la guerra. Proprio noi italiani, la stragrande maggioranza dei 500 che sono andati a Sarajevo, abbiamo trovato lungo le strade sterrate, disseminate per terra, centinaia di mine italiane, e ciò nonostante gli embarghi.

D: Cosa avete incontrato oltre le armi, ai segni della guerra? La gente vuole la guerra?

R: La gente povera, la quasi totalità, ci veniva incontro con gioia, con speranza. C'era chi ci offriva da bere o da mangiare quel poco che aveva. Mi ricordo che una signora serba, accortasi in una delle lunghe attese che i 10 autisti dei pulmann (tutti croati) erano affamati e intirizziti dal freddo, li ha invitati in casa sua e ha offerto loro il pranzo. Ricordo ancora che un signore ortodosso serbo mi è venuto incontro e dopo aver visto la mia croce, l'ha baciata e mi ha chiesto di andare in casa sua dove stavano facendo un banchetto funebre per suo padre morto sei mesi prima; quell'uomo mi ha detto: "Io sono serbo, mia moglie è croata, queste mie cognate sono tutte musulmane eppure ci vogliamo bene. Perché la guerra?". E ancora come dimenticare l'accoglienza che abbiamo avuto a Sarajevo: la gente ci abbracciava da tutte le parti, i ragazzi battevano le mani, le donne dalle finestre sventrate ci mandavano baci da lontano, ci stringevano le mani. Una cosa bellissima. Ciò dimostra che il popolo la guerra non la vuole. La vogliono solo i signori della guerra, i capi. (...)

(da Adista n. 5/93)

 

GIULIA GALLOTTA (FUCI): CREDO IN UNA REALE LAICITÀ

 

25628. BARI-ADISTA. Abbiamo raccontato alla presidente dimissionaria della Fuci le informazioni di cui siamo venuti in possesso (v. notizia precedente). Giulia Gallotta (di Bari, 21 anni, studentessa universitaria di Scienze Politiche) non ha smentito la ricostruzione di Adista. (...). Di seguito la nostra intervista.

D: Allora Giulia, quali sono i suoi problemi di salute?

R: Nessuno, direi. Sto bene, grazie.

D: Le sue, quindi, sono state dimissioni "richieste"?

R: Parlare di dimissioni richieste è un po' eccessivo. Nelle associazioni cattoliche non si arriva mai a questo punto. Diciamo che si era creata tutta una serie di circostanze, per cui era diventata assolutamente impossibile una mia permanenza all'interno della presidenza della Fuci. (...)

D: Ma quale era il problema di fondo che determinava tali contrasti?

R: In realtà, i contrasti sul modo di intendere lo stile e l'impegno della Fuci dipendevano dalle diverse matrici di educazione che io e i miei colleghi ci portavamo dietro. La mia formazione è profondamente laica e quindi profondamente ancorata a quelli che sono i diritti di libertà. Perciò, certe cose, per loro spiacevoli ma considerate inevitabili, per me invece erano fonte di un dissenso molto netto.

D: Qual è stato il suo atteggiamento di fronte alle pressioni della Cei riguardo al convegno sulla politica?

R: Dichiarai allora che avrei preferito non fare il convegno piuttosto che accondiscendere a pressioni che ne avrebbero snaturato il senso. (...). Questo perché io accetto le indicazioni dei miei vescovi in materia di fede, ma per quello che riguarda la mia vita di laica nel mondo, beh, ritengo che il laico deve essere in grado di muoversi in coscienza.

D: Che ha da dire sulla linea di riflessione politica che la Fuci ha ultimamente condotto?

R: (...) Ci si è limitati troppo al problema della riforma elettorale. Secondo me, andavano analizzati problemi di fondo molto più forti, quali la crisi del valore della democrazia e della partecipazione, a fronte di un sistema economico che sta franando. Anche i comunicati stampa che la Fuci ha mandato in materia di mafia bene o male ripetevano sempre le stesse cose, non c'è stato nessun approfondimento dell'analisi. Ma andare a toccare certi nodi voleva dire venire fuori da quello che era il tracciato che era stato indicato per l'associazionismo cattolico.

(da Adista n. 17/93)

 

IL «MOVIMENTO POPOLARE» CHIUDE I BATTENTI: VINCE L'ALA MILANESE DI CIELLE

 

26327. MILANO-ADISTA. (...) "Il 31 novembre si è riunito a Milano l'Esecutivo nazionale del Movimento Popolare alla scadenza del suo mandato triennale. Coerentemente col dialogo sviluppatosi negli ultimi mesi, si è preso atto positivamente che l'associazione Compagnia delle Opere, nella sua totale autonomia, ha da tempo assunto il patrimonio ideale e operativo che è stato di Mp. In relazione a ciò Mp ha deciso di cessare le sue attività". La morte del Movimento Popolare, che per quasi 20 anni è stato il centro dell'organizzazione politica e affaristica dei ciellini, è un fatto di estremo rilievo. E per capire quanto sta succedendo nella galassia di Comunione e Liberazione non si può soltanto far riferimento alla "crisi" finanziaria e di fortune politiche che il movimento stava attraversando.

C'erto, c'è stato il tramonto dei principali riferimenti politici di Mp, Giulio Andreotti e Vittorio Sbardella innanzitutto; ci sono stati gli avvisi di garanzia e la galera per Marco Bucarelli, accusato di concussione in un paio di vicende relative ad alcuni appalti per le università romane; c'è stata la chiusura del settimanale Il Sabato. Ma non si tratta soltanto di questo. C'è qualcosa di più, che riguarda le strategie di lungo periodo di Cielle e le intenzioni del suo fondatore, don Giussani.

Di uno scioglimento di Mp, intanto, si era già parlato all'ultima edizione del meeting di Rimini (v. Adista, n. 60/93). O meglio, si era parlato di un suo annullamento nella Compagnia delle Opere, la Holding finanziaria che raggruppa imprese, cooperative e associazioni culturali che fanno riferimento a Cielle. Così è avvenuto. E l'iniziativa è frutto di un riassestamento di potere interno alle due anime di Comunione e Liberazione. Vince, insomma, l'ala milanese, più religiosa e integralista, a scapito dell'ala romana, più politica e pragmatica. (...) Esce infine sconfitta la linea di coloro che volevano Cielle e le sue articolazioni come un grande serbatoio di voti democristiano, una vera e propria corrente politica organizzata, cui Formigoni e Sbardella avevano anche dato un nome, l'Alpoca. Con la scomparsa del Movimento Popolare, vince invece la teoria secondo cui si può trattare con tutti i vincenti di turno (compresa la Lega, così forte in Lombardia, terra ciellina per eccellenza), purché ovviamente questi non mettano i bastoni tra le ruote alle "opere" del movimento. (...)

(da Adista n. 85/93)

 

 

 

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