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2007 - TORNA L'ULIVO, MA NELLA POLITICA NON C'È PACE

Tratto da: Adista Notizie n° 2728 del 05/04/2008

Il nostro viaggio nelle vicende politico-ecclesiali di questi ultimi 40 anni si chiude qui. Un grande futuro è alle nostre spalle, si potrebbe dire. Anche perché gli avvenimenti degli anni recenti non sembrano favorire l’ottimismo. Così anche il 2007, che si apre (10 gennaio) con la conferma che la strage di Ustica del 1980 non ha colpevoli: la Cassazione assolve infatti i due generali dell'Aeronautica, accusati di aver depistato le indagini. Si replica il 5 giugno: dopo 25 anni, tutti assolti i 4 imputati al processo sulla morte di Roberto Calvi. Il governo Prodi vive nella suspense di una maggioranza risicatissima. E sfrutta questa situazione per mettere sotto scacco la sinistra della coalizione. Così, dopo che a Vicenza, il 17 febbraio, circa 200mila persone sfilano per protestare contro la decisione di allargare la base Nato, il 21 febbraio il governo va sotto sulla politica estera e la responsabilità ricade sui senatori Turigliatto (Prc) e Rossi (Pdci), anche se alla conta erano mancati anche i voti di Andreotti, Cossiga e Pininfarina. Prodi si dimette. Napolitano lo rinvia alle Camere, cosicché il premier può presentarsi al voto di fiducia forte di un clima di ostilità verso la sinistra e con 12 punti programmatici che ridisegnano in senso moderato il già prudentissimo programma dell’Unione. Segue una riforma del welfare che provoca la spaccatura tra il sindacato (Fiom esclusa) e la sinistra (che scenderà in piazza il 20 ottobre con 1 milione di persone contro la precarietà); il rifinanziamento delle missioni all’estero, l’aumento delle spese militari, tagli ai servizi, soldi alle scuole private. Inoltre, niente più abolizione della legge Biagi, Commissione di inchiesta su Genova (una grande manifestazione tornerà però a chiederla il 17 novembre) e Dico. Anche perché il 12 maggio c’è il Family Day: le gerarchie ecclesiastiche convocano le associazioni cattoliche a scendere in piazza, a Roma, contro il ddl sulle unioni di fatto della Bindi. Con loro, in piazza S. Giovanni, anche diversi leader dell’Unione. Al Family Day, risponde (16 giugno) un imponente Gay Pride. L’ambiguità del governo, almeno in termini elettorali, non paga e il 27 e 28 maggio, alle elezioni amministrative, l'Unione perde consensi. Inoltre, in un contesto di amarezza e disillusione che vira verso "l’antipolitica", l’8 settembre migliaia di persone si ritrovano a Bologna per il V-Day organizzato da Beppe Grillo, che chiede un parlamento senza condannati e un totale rinnovamento dei partiti. Ma la politica continua a viaggiare su binari diversi: a "sinistra" (virgolette d’obbligo), fasi finale della fusione tra Ds e Margherita per la nascita del nuovo Partito Democratico. Che sia una fusione "a freddo" e verticistica non riesce a mascherarlo nemmeno il bagno di folla che si reca alle primarie (14 ottobre) per ratificare la scelta del nuovo segretario, Veltroni, e dei nuovi dirigenti, già fatta dagli apparti di partito. Se la "sinistra" piange, la destra non ride. Berlusconi, nonostante i proclami, non riesce a dare la "spallata" al governo. La dà allora ai suoi alleati. La Casa delle Libertà è in macerie, Berlusconi annuncia la fine di Forza Italia e la nascita di un nuovo partito. Ma la destra resta egemone. Lo mostra la campagna anti-immigrati che scatena quando, il 1.mo novembre, muore a Roma Giovanna Reggiani, vittima dell’aggressione di un immigrato rumeno di etnia rom. La "sinistra" tace e acconsente e il governo vara un contestatissimo "pacchetto sicurezza". Nessun pacchetto sicurezza, invece, per i lavoratori che rischiano la vita sul posto di lavoro. E nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 7 operai delle acciaierie ThyssenKrupp di Torino muoiono a causa della fuoriuscita di olio combustibile.

Uno sguardo "fuori le mura". Il presidente israeliano Katsav si autosospende dall'incarico (24 gennaio) travolto da accuse di stupro, frodi e intercettazioni illegali. Tesissima la situazione in Iraq, dove proseguono guerriglia e attentati. Ma anche in Afghanistan, dove il 5 marzo Daniele Mastrogiacomo, giornalista de la Repubblica, viene rapito a Kabul da un gruppo di talebani (sarà rilasciato dopo 14 giorni). Il 6 maggio, la Francia ri-svolta a destra ed elegge presidente della Repubblica Nicolas Sarkozy. Il 2 giugno, in Nigeria, altri italiani (quattro) vengono liberati dopo una lunga prigionia da parte dei guerriglieri Mend che si batte contro le multinazionali petrolifere. Tony Blair (26 giugno), dopo 10 anni, lascia l’incarico di primo ministro allo scozzese Gordon Brown. Il 22 settembre, la Suprema Corte di Santiago del Cile concede l'estradizione di Alberto Fujimori, ex presidente del Perù, indiziato per violenza e violazione dei diritti umani. In quei giorni, suscita impressione nel mondo le manifestazioni contro la dittatura in Birmania, guidate dai monaci buddisti. Torna alta (ottobre) la tensione tra la Turchia e la guerriglia kurda. Il 20 ottobre, le elezioni generali in Polonia decretano la sconfitta della destra cattolico reazionaria dei fratelli Kaczynski. Il 28 ottobre, alle presidenziali argentine, successo di Cristina Kirchner, moglie del presidente uscente Nestor.

La Chiesa è attraversata da polemiche. Quelle per i funerali negati a Welby; quelle contro la Notificazione vaticana (14 marzo) contro il teologo della Liberazione Jon Sobrino; quelle per le "correzioni" vaticane al documento finale della Conferenza dell’episcopato latinoamericano (13-31 maggio); quelle in reazione all’annunciato cambiamento della formula eucaristica "per tutti", in "per molti"; quelle seguite al controverso Motu Proprio del papa che ripristina la messa tridentina; quelle che accompagnano (agosto), le indagini della procura di Terni per presunti abusi sessuali su don Gelmini; quelle che concludono la III Assemblea Ecumenica Europea di Sibiu, con la gerarchia cattolica che tenta in extremis (senza il consenso de protestanti) di inserire un riferimento antiabortista nel documento finale; quelle (novembre) che seguono alla rimozione del vescovo antimafia Bregantini dalla diocesi di Locri.

 

 

I POLITICI CATTOLICI NON HANNO GIUSTIFICAZIONI. LA "NOTA" DELLA CEI SUI DICO

 

33826. ROMA-ADISTA. Finalmente è arrivata. L'attesa Nota a riguardo della famiglia fondata sul matrimonio e di iniziative legislative in materia di unioni di fatto è stata resa pubblica il 28 marzo, alla fine del Consiglio Permanente della Cei, il primo presieduto da mons. Angelo Bagnasco. Fedele alla sua fama di 'pugno di ferro in un guanto di velluto', Bagnasco può avere ammorbidito la cornice del provvedimento, ma nei contenuti è rimasto fedele alla linea impostata dal suo predecessore, il card. Camillo Ruini, che la parola "impegnativa" su Dico e coppie di fatto l’aveva promessa come ultimo 'regalo' prima della fine del suo mandato alla guida della Cei. "Una parola impegnativa" per i politici cattolici.

I contenuti della Nota erano, d'altra parte, ampiamente annunciati. "Riteniamo", scrivono i vescovi, "la legalizzazione delle unioni di fatto inaccettabile sul piano di principio, pericolosa sul piano sociale ed educativo". Per motivi, quindi, non solo religiosi e sociali, ma addirittura costituzionali - alla luce degli articoli 29 e 31 della Carta - per i vescovi era necessario un intervento. Ma va sottolineato come, malgrado le parole spese da Bagnasco sulla "responsabilità collegiale nelle scelte" della Cei, la Nota l'abbia discussa e approvata solo il Consiglio Permanente, organo direttivo della Cei dove siedono una trentina di vescovi su 248, e non l'Assemblea generale (la prossima si terrà a maggio), come aveva auspicato l'arcivescovo di Pisa mons. Alessandro Plotti (v. Adista n. 15/07).

Forse è per questo che la Nota precisa subito che, a norma dello Statuto Cei, "è compito del Consiglio Episcopale Permanente approvare dichiarazioni o documenti concernenti problemi di speciale rilievo per la Chiesa o per la Società". Il testo mette le mani avanti anche di fronte ad un'altra polemica: quella di volere entrare a gamba tesa sulla instabile scena politica italiana. "Non abbiamo interessi politici da affermare", precisa la Nota. "Siamo convinti, insieme con moltissimi altri, anche non credenti, del valore rappresentato dalla famiglia per la crescita delle persone e della società intera". Ma non manca la stilettata nei confronti dei politici cattolici che hanno promosso il ddl sui Dico: "Quale che sia l'intenzione di chi propone questa scelta, l'effetto sarebbe inevitabilmente deleterio". Nella seconda parte del documento si indica ai cattolici, e in particolare a quelli "che operano in ambito politico", l'atteggiamento da tenere nei confronti dei progetti di "legalizzazione", delle unioni di fatto. Anche qui, la Cei non deve dire nulla di nuovo: le basta rifarsi interamente agli scritti di papa Benedetto XVI, (abbondantemente citati) in particolare - oltre alla recentissima Esortazione Sacramentum Caritatis - a due testi preparati da Ratzinger quando era alla guida della Congregazione della Dottrina della Fede. Si tratta di una "parola impegnativa", che chiama i politici cattolici in primo luogo a "presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondati nella natura umana" e, nel caso di progetti di "legalizzazione" delle unioni omosessuali, "a votare contro il progetto di legge". Ma la stoccata più dura è diretta nei confronti di chi rivendica l'autonomia della coscienza del laico cristiano: con le parole della controversa Nota dottrinale sull'"impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica", scritta da Ratzinger nel 2002, si afferma che "il fedele cristiano (…) 'non può appellarsi al principio del pluralismo e dell'autonomia dei laici in politica, favorendo soluzioni che compromettano o che attenuino la salvaguardia delle esigenze etiche fondamentali per il bene comune della società'".

Chiuso così ogni spazio di mediazione, la Nota della Cei chiude con una parola di comprensione per "la fatica e le tensioni sperimentate dai cattolici impegnati in politica in un contesto culturale come quello attuale, nel quale la visione autenticamente umana della persona è contestata in modo radicale".

(da Adista n. 25/07)

 

"RIFORMARE IL SANT'UFFIZIO". DOPO IL CASO SOBRINO, APPELLO DI 100 TEOLOGI

 

33875. FRIBURGO-ADISTA. Non si placano le ripercussioni, all'interno del mondo cattolico, della Notificazione della Cogregazione per la Dottrina della Fede sulle opere del teologo Jon Sobrino (v. Adista nn. 23, 28, 30/07). Adesso, dopo aver preso le difese del gesuita spagnolo, l'attenzione critica dei teologi si concentra sullo stesso modo di operare della Congregazione guidata dal card. William Levada e dal salesiano mons. Angelo Amato. In un lungo articolo pubblicato sulla rivista teologica tedesca Herder Korrispondenz Peter Hünermann, professore emerito teologia dogmatica all'Università di Tubinga, lancia un appello per una "intelligente ristrutturazione" della Congregazione e del suo modo di lavorare (pubblicata interamente dal Regno Documenti 7/2007).

L'appello ha avuto una rapidissima diffusione ed ha raccolto il sostegno di oltre 100 teologi di area germanofona, tra cui Johann Baptist Metz, Dietmar Mieth, Bernd Jochen Hilberath, Otmar Fuchs. Contro la Notificazione avevano già protestato, all'indomani della sua pubblicazione, le facoltà cattoliche di teologia di Vienna, Graz e Münster, oltre al Comitato di direzione della rivista teologica internazionale Concilium.

Il testo di Hünermann è stato ripreso anche dai Movimenti cattolici di base riuniti a Lisbona per la diciassettesima assemblea dell'European Network Church on the Move. È confortante, scrivono, che "dopo un lungo periodo di silenzio, i teologi abbiano aperto un dibattito teologico esprimendo il loro dissenso" e, in occasione del viaggio del papa in Sudamerica (v. articolo su questo numero), invitano tutti i teologi che si sentono legati all'eredità del Concilio Vaticano II a sottoscrivere l'iniziativa per la riorganizzazione della Congregazione.

Hünermann inizia con un'accurata disamina dei sei punti della teologia di Sobrino su cui la Cdf ha constatato "notevoli divergenze con la fede della Chiesa", per passare poi ad analizzare il metodo con cui la Congregazione ha affrontato gli scritti del gesuita. Ed è qui che arrivano le conclusioni più dure: "Oggi, la Congregazione per la Dottrina della Fede assolve la funzione più importante nel garantire la qualità della teologia. Essa deve occuparsi che la teologia esprima veramente la ratio fidei".

Per questo motivo, è preoccupante che "a partire dalla seconda metà del XIX secolo, si siano ripetutamente registrati conflitti gravi e dannosi per l'immagine della Chiesa e del suo cammino di fede". Le "deficienze" del personale della Cdf e la loro preparazione, "più o meno completa e aggiornata", "aggravano i potenziali conflitti". Ma, conclude Hünermann, "la vera ragione dei conflitti è essenzialmente un'altra": "In fondo la Congregazione per la Dottrina della Fede - succeduta al Sant'Uffizio - ha conservato quella struttura di ufficio censorio che aveva agli inizi dell'era moderna". "Oggi", invece, "l'assicurazione della qualità in campo scientifico è strutturata in modo diverso: collabora essenzialmente con le scienze e include - possibilmente - le autorità scientifiche nei processi decisionali relativi alla politica della ricerca scientifica e alla gestione delle scoperte scientifiche". Insomma, invece della struttura ancora autoritaria e verticistica odierna, la Cdf avrebbe bisogno di una gestione più collegiale: "Oggi, bisogna elaborare la ratio fidei in una società culturale molto complessa, con i suoi gravi problemi e rifiuti sociali, scientifici ed umani. Essa presenta quindi un grado di complessità, che un ufficio censorio di vecchio stampo non è assolutamente in grado di affrontare, sia sul piano organizzativo che tecnico". Di qui, l'appello per una "intelligente ristrutturazione" della Cdf.

(da Adista n. 35/07)

 

 

 

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