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CAMMINARE INSIEME, COSTRUIRE UNA CITTÀ DIVERSA. DOPO L’OMICIDIO DI NICOLA, LA CHIESA VERONESE SI INTERROGA

Tratto da: Adista Notizie n° 39 del 24/05/2008

34423. VERONA-ADISTA. La drammatica vicenda che ha portato alla morte di Nicola Tommasoli, il 28enne selvaggiamente picchiato la notte del 1.mo maggio da cinque giovani veronesi di estrema destra ai quali aveva rifiutato una sigaretta, ha scosso la Chiesa veronese. In una città per anni laboratorio della destra, in cui anche a livello ecclesiale forti sono state e sono le spinte reazionarie (basti pensare all’infuocata polemica che contrappone la Curia diocesana e i tradizionalisti di “Una Voce” per la concessione dell’uso della piccola chiesa di S. Pietro Martire ai luterani, v. Adista n. 31/08), la comunità ecclesiale comincia ad interrogarsi sul significato di questo gesto (sono state molte le violenze compiute negli ultimi anni da ragazzi veronesi, spesso “di buona famiglia”) e sulla cultura in cui l’episodio è maturato.

 

Divertitevi, ma con moderazione

Il dibattito è stato avviato dal vescovo della città mons. Giuseppe Zenti, che ha scritto ai giovani veronesi una lettera aperta. Mons. Zenti rifiuta l’idea di una “città prigioniera della violenza e del facile delitto”: “Verona - afferma - è ben altro”. Soprattutto, rifiuta di credere “che il mondo dei giovani veronesi trovi nei cinque giovani responsabili del delitto, infame e allucinante, il modello di riferimento. Sono certo che ne provate sdegno”. La lettera prosegue poi con una serie di raccomandazioni che oscillano tra il paternalistico e il predicatorio, come “divertitevi, perché siete giovani. Ma sempre con moderazione”; “ricordate che lo sballo è sempre una sconfitta”; “non concedete nulla alla legge del branco che fa di voi dei gregari. Cercate la compagnia bella, pulita, allegra e persino spensierata”; “abbiate il coraggio delle grandi vette, anche a costo di corrispondenti sacrifici”; “valorizzate al meglio i giorni della vostra giovinezza”; “fateci il regalo di mettere anche nelle nostre mani di adulti la password che ci consenta di entrare nel vostro mondo”.

 

Se la pianta è malata, guardiamo alle radici

Tenta un approccio di maggiore spessore critico il direttore di Verona Fedele Alberto Margoni che, in un editoriale pubblicato sul numero dell’11 maggio – pur non collegando l’omicidio di Tommaso al particolare clima creatosi a Verona – afferma che è necessario “prendere coscienza ed interrogarsi seriamente su alcuni fenomeni presenti nella nostra società e che si propongono come pericolosamente attraenti per le fasce giovanili”. Soprattutto il nichilismo, “non tanto a livello di connotazione teoretica, filosofica e gnoseologica”, quanto “a livello pragmatico”. “Se poi a tutto questo aggiungiamo un brodo di coltura a presa rapida nel mondo adolescenziale e giovanile, quale è certo lo pseudo tifo calcistico”, unito alla “presenza di alcuni simboli e atteggiamenti condivisi, l'effetto esercitato dal branco su personalità deboli e facilmente influenzabili, il gioco è fatto. Ed è un ‘gioco’ che può arrivare sino alla tragedia”. “Si tratta dunque - afferma Margoni - di individuare qualche punto dal quale partire, a cominciare dalla creazione di una rete solida e coesa tra famiglia, scuola, istituzioni, parrocchia, agenzie educative, società sportive... dove si remi tutti dalla stessa parte, secondo le peculiarità e le specificità di ciascuno. Senza la paura di dover dire dei sani no anche decisi, di porre degli argini, coscienti che se qualche tempo fa la questione cruciale era l'incapacità di trovare risposte autentiche e fragranti di senso per la vita, oggi, drammaticamente, sembra apparire l'incapacità di porsi le domande. Il che, da un punto di vista educativo, è assai più grave ed espone allo sbando”.

Chiama invece in causa le responsabilità degli “adulti” don Marco Campedelli, 44 anni, viceparroco a San Nicolò all’Arena, in pieno centro di Verona, oltre che insegnante di religione al liceo Maffei (per due anni don Marco è stato professore di Raffaele Dalle Donne, il primo dei giovani del gruppo dei fermati). Intervistato dall’Arena di Verona (11/5), don Marco si è interrogato sul senso e sui limiti del suo lavoro di educatore. “Educare viene dal latino educere, che significa tirare fuori dal recinto verso gli spazi liberi del pascolo. Quanto abbiamo portato i nostri giovani - si chiede il prete veronese - verso gli spazi liberi? Quanto noi per primi abbiamo rotto i piccoli recinti che ci rendono talvolta piccoli burocrati dai percorsi scontati? Educatore è colui che porta al largo. Lo siamo stati davvero? Abbiamo dato l’esempio con il nostro modo di insegnare e non solo con le parole?”. “Siamo in una città – prosegue don Marco - dove domina un linguaggio violento, di esclusione, di contrapposizione, che a mio parere legittima un certo tipo di violenza. Nel momento in cui alcuni giovani dalle parole passano agli atti ecco che scatta un atteggiamento altrettanto violento fatto di ‘tolleranza zero’, ‘condanne esemplari’. E costoro vengono mollati, messi alla gogna come ‘cinque deficienti’. Invece no, sono cinque persone che impongono alla città una riflessione. Adesso come prima”. Inoltre, “al di là dei tentativi di strumentalizzazione e di rendere tutto ideologia, dobbiamo renderci conto che ogni atto che avviene dentro la città intesa come ‘polis’ è ‘politico’. Se io, come autorità, pongo alla base del mio agire degli atti di violenza, costruisco una città violenta. Se io invece pongo in essere azioni di pace, di dialogo, di accoglienza dell’alterità faccio un profondo atto ‘politico’, ma di altro stampo. E prima di parlare dei giovani, chiediamoci: noi adulti, come stiamo in questa città? Verona è aperta alle sfide più profonde? Al dramma del mondo che c’è fuori? È attenta agli interrogativi che attraversano la cultura? Forse dovremmo rileggere la celebre frase di Shakespeare, perché ‘c’è mondo fuor di queste mura’. Anzi, dovremmo sciogliere queste mura”. Il ragionamento di don Marco coinvolge anche la Chiesa veronese: “Siamo appena usciti dal Sinodo, il cui significato etimologico è ‘camminare insieme’, e dovremmo avere la capacità di rimetterci in gioco. La nostra proposta in questi giorni ai giovani di questa città dovrebbe essere sinodale, ossia quella di camminare insieme. Non essere i maestri che devono solo dare lezioni o fare raccomandazioni, ma accettare di camminare con loro nelle fatiche, di contemplare con loro le cose belle e alte e anche rivivere i propri limiti”.

 

Questione di “clima”

Entra invece più direttamente nel merito del brodo di coltura politico, in cui è maturata l’uccisione di Nicola, Sergio Paronetto, da anni animatore del punto Pax Christi di Verona: in una sua lettera, pubblicata sull’Arena (11/5), afferma che la violenza omicida scatenatasi a Verona “riapre il dibattito sempre problematico su sicurezza e cittadinanza. Verona non è ‘città dell'amore’ né ‘città violenta’. Nemmeno possiede una tradizione ‘definitiva’ o naturale, una ‘veronesità’ da conservare e imitare. Non è un'isola. È una città ‘moderna’, come tante. Non è razzista ma può diventarlo avvitandosi nella spirale delle paure alimentate e gestite secondo un'ideologia del nemico che rende tutti insicuri. Il clima di violenza presente nel linguaggio aggressivo, nel turpiloquio, nella logica arrogante del più forte, nella costruzione del nemico (e in provvedimenti amministrativi conseguenti) trascina tutti nel degrado culturale e civile. L'allarme permanente contro gli ‘stranieri’ crea un clima che può favorire qualunque gesto. In fondo, i violenti sono gli estremisti della nostra ‘normalità’ impaurita. Alcuni stanno anche usando i ‘valori cattolici’ per costruire un ‘cristianesimo senza Cristo’, una ‘religione civile’ triste e settaria”. (valerio gigante)

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