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I DIARI OPERAI DI DON LUISITO BIANCHI: “OGGI LA CHIESA È SCANDALO. DOVE TROVARE LA FEDELTÀ A CRISTO?”

Tratto da: Adista Notizie n° 41 del 31/05/2008

34446. ROMA-ADISTA. Ha pubblicato solo ora, a quarant’anni di distanza, il diario della sua esperienza in fabbrica. Malgrado il tempo trascorso, le riflessioni sulla condizione operaia di don Luisito Bianchi, e soprattutto quelle sulla “credibilità” della Chiesa, mantengono tutta la loro pregnanza ed attualità, perché – pur nelle mutate circostanze – molte contraddizioni sono rimaste irrisolte.

I miei amici. Diari (1968-1970), è il titolo del libro, (Sironi editore, Milano 2008, pgg. 906, € 24), nel quale don Luisito riporta le sue annotazioni – talora giornaliere, talora settimanali o più rade – sulla sua esperienza di tre anni di prete operaio che, con il permesso del vescovo di Alessandria, compì alla fabbrica Montecatini di Spinetta Marengo, in Piemonte. Gli “amici” del titolo sono i compagni di lavoro con i quali Luisito ha condiviso fatiche, lotte, delusioni e speranze. E il nerbo del libro è costituito proprio dai rapidi colloqui con gli operai, dalla piena partecipazione alla loro vita, ed è anche innervato delle riflessioni che, “stando dall’altra parte”, l’autore liberamente fa sul suo essere prete, sulla pastorale, sulla Chiesa.

Oltre che come operaio in fabbrica, nella sua intensa vita Luisito ha lavorato come insegnante, traduttore, benzinaio e inserviente di ospedale. Ha scritto diversi libri; particolarmente noto è La messa dell’uomo disarmato, un romanzo sulla Resistenza, uscito nel 2003, che ha avuto grande eco di critica e un vasto pubblico. Attualmente, all’età di 81 anni, don Bianchi svolge la funzione di cappellano nel monastero delle benedettine di Viboldone, Milano.

Solo la lettura del voluminoso volume può rendere nelle sue ricche sfumature le “giornate” di Luisito operaio, e le sue riflessioni che spaziano dai fatti quotidiani (come gli incidenti sul lavoro nella sua fabbrica) ai momenti cruciali che, dal ‘68 al ’70, attraversarono l’Italia, il movimento operaio, il post-Concilio. Qui basti qualche cenno al versante più squisitamente ecclesiale. Riferendo di un colloquio con il vescovo che vede i preti operai come un nuovo filone di “pastorale” per continuare la “marcia trionfale della Chiesa” anche nel mondo del lavoro, il 27 febbraio 1968 Bianchi annota sul diario: “Noi [preti operai], invece, pensiamo a una Chiesa che deve calarsi nella pasta, accettando il gioco che la pasta, costruita con un sudore e una sofferenza e una lotta su cui la Chiesa non ha nessun diritto, le impone. Una Chiesa che non fa marce di fede ma un cammino penitenziale per tutti i torti che ha commesso e che sono stati e sono tuttora i motivi di separazione col mondo… Dove posso trovare, nella Chiesa, la fedeltà a Cristo e al suo Evangelo? È la tentazione che si sta profilando davanti a me. La Chiesa, oggi, è scandalo. Invece di favorire l’incontro con Cristo, certamente lo impedisce per moltissimi uomini. È un pensiero, questo, che sta prendendo le dimensioni dell’evidenza. E ne soffro perché mi sento Chiesa, perché accetto in me le conseguenze di questo scandalo mentre mi accorgo della boriosa autoincensazione che gli uomini che debbono custodire e pascere questa Chiesa fanno di se stessi”.

E il 5 giugno 1969, avendo udito un intervento di Hans Küng, che a Milano presentava il suo libro La Chiesa: “Küng si pone fra ‘tradizionalisti’ e ‘innovatori’. Tanto scalpore e sospetti intorno a lui mi sembrano frutto d’insipienza. La Chiesa ufficiale dovrebbe essere grata a questo teologo che, in fondo, le chiede solo di confrontarsi col Nuovo Testamento. Ma, forse, tra gli ‘avanzati’ ci sono più conservatori che fra i conservatori, per cui anche la richiesta di Küng che tocca certe strutture di potere diventa sovversiva al punto tale da considerarla distruttiva della Chiesa stessa!... Interventi, mi sembra, poco intelligenti nel complesso. Basti dire che forse nessuno aveva letto il libro! E allora perché lo si critica? Uno dice: l’ho appena sfogliato. L’altro, un teologo di professione: ho letto solo l’ultima parte. E un terzo, un rettore di seminario, preoccupato di conservare il celibato, dice: non l’ho letto. In Italia siamo a questo livello”. E, il 14 agosto 1970, quando sta decidendo di porre fine all’esperienza di prete operaio: “Come essere credibile in questa Chiesa che, di per sé, non si pone nemmeno il problema della credibilità? Il tedio di Elia [il profeta biblico che non si sente all’altezza della sua missione, e quasi sfinito] è il mio: non sono migliore dei padri miei. La sua attesa della morte come liberazione la comprendo con tutto il cuore; ma non c’è pane, non c’è angelo, non c’è brocca d’acqua che mi sostengano nel mio cammino e che mi stimolino a continuare. Il deserto è sconfinato, senza segni. Una folla immensa passa accanto alla pianta sotto la quale Elia si è rifugiato e non gliene importa nulla. Tutti cercano di vivere giorno per giorno, aggrappati a piccole speranze, frammenti preziosi di una dignità fatta in mille pezzi da questo mondo inumano”. (luigi sandri)

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