“POLITICHE VUOTE PER PIATTI VUOTI”: UN FALLIMENTO IL VERTICE DELLA FAO SULLA SICUREZZA ALIMENTARE
Tratto da: Adista Notizie n° 47 del 21/06/2008
34480. ROMA-ADISTA. Doveva essere una storica occasione per lanciare un’offensiva in grande stile contro la fame nel mondo, nell’emergenza provocata dall’aumento vertiginoso del prezzo dei prodotti alimentari, e invece il vertice della Fao sulla sicurezza alimentare, i cambiamenti climatici e la bioenergia, svoltosi a Roma dal 3 al 5 giugno, non è stato che l’ennesimo, clamoroso, fallimento. Del resto, se a cercare la soluzione erano proprio i responsabili del problema, non sorprende come le ricette individuate siano le stesse che hanno provocato l’attuale crisi, e nelle loro versioni più pericolose.
Come ha sottolineato Via Campesina (movimento internazionale contadino presente in più di 60 Paesi di America, Asia, Africa ed Europa) nel suo appello ai capi di Stato, la crisi del cibo è “il frutto di decine di anni di liberalizzazione commerciale e d’integrazione verticale della produzione, della lavorazione e della distribuzione da parte delle grandi imprese agricole”, la logica conseguenza di quei programmi di aggiustamento strutturale promossi nei Paesi del Sud, e in particolare in Africa, da Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale che, in cambio di crediti di aiuto, hanno obbligato i governi ad aprire i mercati alle importazioni, minando così le capacità locali e nazionali di garantire l’autosufficienza alimentare.
Per tutta risposta, dal vertice della Fao è emerso nient’altro che l’impegno ad accelerare le liberalizzazioni nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, oltre che a raccogliere fondi per l’emergenza – ma le spese militari mondiali nel 2007 sono state 191 volte superiori a quanto predisposto per la lotta contro la crisi alimentare – e ad affidare la risposta della comunità internazionale ad una task force dell’Onu, che non si sa bene, però, cosa dovrà fare. E nessuna condanna è stata espressa nei confronti della produzione di agrocombustibili - malgrado i ripetuti allarmi sulle sue nefaste conseguenze rispetto al prezzo degli alimenti (v. Adista n. 33/08) - se si esclude l’introduzione del termine “sostenibile” nel paragrafo relativo alla questione. Misure, tuttavia, che non sono state accolte unanimemente: la Dichiarazione finale del Vertice è stata adottata per acclamazione, ma con la decisa presa di distanza del Venezuela, di Cuba e dell’Argentina, supportati dalla Bolivia, dall’Ecuador e dal Nicaragua, che esprimeranno le proprie considerazioni in un documento a parte.
Del tutto inascoltati gli appelli dei movimenti sociali e delle organizzazioni della società civile (più di 100 provenienti dai 5 Continenti), riuniti nel forum parallelo Terra preta (il termine usato dai popoli indigeni per indicare un terreno dell’Amazzonia straordinariamente fertile). Ribadendo il proprio rifiuto del “modello di produzione e di consumo industriale intensivo che è alla base delle continue crisi” e contribuisce enormemente al riscaldamento globale (generando tra il 17,4 e il 32% dei gas ad effetto serra), i movimenti hanno individuato come “struttura portante per la sopravvivenza dell’umanità” il paradigma della Sovranità Alimentare, unica via per il rispetto del diritto umano all’alimentazione e del diritto alla libera determinazione dei popoli: il diritto dei popoli, cioè, a decidere in materia di agricoltura e di alimentazione, puntando sulla produzione locale per il mercato locale, la produzione sostenibile di alimenti su piccola scala che, sola, permetterebbe di rigenerare i suoli, di risparmiare combustibile e di ridurre il riscaldamento globale, dando lavoro a milioni di agricoltori, pescatori e piccoli allevatori. Le associazioni contadine, i movimenti sociali, le ong hanno chiesto allora di mettere a disposizione di governi e comunità strumenti per rafforzare la sovranità alimentare, garantendo l’accesso dei piccoli produttori alla terra, all’acqua, ai crediti, alla formazione; hanno sottolineato come la volatilità dei prezzi agricoli vada affrontata attraverso politiche nazionali e internazionali che assicurino un reddito stabile ai produttori; hanno evidenziato la necessità di procedere ad una riforma del sistema di aiuto pubblico alimentare. Tutte richieste cadute nel vuoto.
“Le rivendicazioni dei movimenti riguardo ad un maggiore sostegno ai produttori su piccola scala, alla riforma agraria e all’adozione di misure concrete contro la speculazione finanziaria – ha dichiarato Herman Kumara del Forum mondiale dei pescatori – sono state totalmente ignorate dai governi”. Ed è con profonda preoccupazione che le organizzazioni della società civile guardano alle raccomandazioni della nuova task force dell’Onu predisposta dal segretario generale Ban Ki-moon riguardo ad una maggiore apertura dei mercati del sud, alla sovvenzione delle importazioni di alimenti e ad una nuova Rivoluzione verde (quell’approccio ai temi della produzione agricola caratterizzato dalla varietà ad alto potenziale genetico unita a sufficienti input di fertilizzanti, acqua e altri prodotti agrochimici). Soluzioni che – ha dichiarato Maryam Rahmanian dell’organizzazione iraniana Cenesta – rappresenterebbero “un ostacolo serio per la sovranità alimentare del Sud globale”. Una nuova Rivoluzione verde e una maggiore quantità di aiuti alimentari favoriranno solo le compagnie transnazionali, alle quali - ha sottolineato Diwirgai Martinez, del Movimento della gioventù kuna di Panama – “è stato dato più spazio che mai nella conferenza, mentre i popoli indigeni, gli agricoltori, allevatori e pescatori su piccola scala sono stati emarginati più che in ogni altra occasione”.
Che le transnazionali non siano affatto preoccupate dalla crisi alimentare, peraltro, sono le cifre a dirlo: nel primo trimestre del 2008, i profitti della Monsanto, per esempio, sono aumentarti del 108% e quelli della Cargill dell’86%. Ma la crescita degli introiti delle imprese interessa tutti gli anelli della catena di produzione alimentare, dalle sementi ai fertilizzanti, fino alla commercializzazione e alla distribuzione del cibo. Intanto, la Banca Mondiale calcola che le persone che soffrono la fame passeranno nei prossimi anni dagli attuali 850 a 950 milioni, con buona pace di quella “Dichiarazione del Millenno” che, nel 2000, fissava tra gli obiettivi irrinunciabili da raggiungere entro il 2015 quello del dimezzamento della povertà estrema. (claudia fanti)
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