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PIÙ CHE LA FAME POTÈ IL DENARO

Tratto da: Adista Contesti n° 48 del 21/06/2008

sicurezza alimentare: non c’è una crisi di produzione, ma l’impossibilità per molti popoli di accedere al cibo agli attuali prezzi.


 

Questo articolo, firmato da Esther Vivas, è  stato pubblicato su “Alai-amlatina”  (6/6/2008). Titolo originale: “fao: más libre comercio, más hambre”

 


Si è chiuso il Vertice ad Alto Livello sulla sicurezza alimentare della Fao (Organiz-zazione per l’alimentazione e l’agricoltura dell’Onu), svoltosi dal 3 al 5 giugno a Roma. Le conclusioni dell’incontro non indicano un cambiamento di tendenza delle politiche applicate negli ultimi anni e che hanno condotto alla situazione di crisi attuale.

Le dichiarazioni di buone intenzioni e le promesse di milioni di euro per vincere la fame nel mondo, fatte da vari governi, non porranno fine alle cause strutturali che hanno generato questa crisi. Ugualmente, le proposte avanzate dal segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, di aumentare del 50% la produzione di alimenti e rifiutare i limiti imposti all’esportazione da parte di alcuni Paesi interessati sembrano rafforzare più le cause della crisi che condurre verso soluzioni reali che garantiscano la sicurezza alimentare della maggioranza delle popolazioni del Sud.

Il monopolio da parte di alcune multinazionali per ognuno degli anelli della catena di produzione di alimenti, dalle sementi passando per i fertilizzanti fino alla commercializzazione e alla distribuzione del cibo, è un argomento che non è stato trattato in questo vertice. Eppure, e malgrado la crisi, le principali compagnie di sementi, Monsanto, DuPont e Syngenta, hanno riconosciuto un aumento crescente dei loro guadagni, e lo stesso hanno fatto le principali industrie di fertilizzanti chimici. Anche le maggiori imprese di lavorazione di alimenti, come la Nestlé e la Unilever, annunciano una crescita dei loro introiti, sebbene ridotta rispetto a quella di industrie che controllano i primi anelli della catena. E ugualmente le grandi distributrici di alimenti, come Wal-Mart, Tesco o Carrefour, segnalano un aumento dei loro profitti.

I risultati del Vertice della Fao riflettono il consenso raggiunto fra Onu, Banca Mondiale (Bm) e Fondo Monetario Internazionale (Fmi) per mantenere politiche economiche e commerciali di dipendenza Sud-Nord e di appoggio alle multinazionali agro-alimentari. Le raccomandazioni lanciate a favore di una maggiore apertura dei mercati del Sud, di sovvenzionare le importazioni degli alimenti a partire dagli aiuti allo sviluppo e la scommessa per una nuova rivoluzione verde puntano in questa direzione.

Coloro che lavorano e custodiscono la terra, nelle cui mani dovrebbe stare la nostra alimentazione, i contadini e le contadine, sono stati esclusi dal dibattito. Quando rappresentanti di organizzazioni contadine hanno cercato di presentare le loro proposte, in occasione dell’inaugurazione ufficiale del vertice, sono stati fatti uscire con la forza. In precedenti riunioni ad alto livello si era permessa una maggiore partecipazione dei gruppi sociali, e invece ora, di fronte alla gravità della situazione, le porte sono rimaste chiuse, come ha denunciato la rete internazionale Via Campesina.

Porre fine alla crisi implica porre termine al modello di agricoltura e di alimentazione attuale che antepone gli interessi economici di grandi multinazionali alle necessità alimentari di milioni di persone. È necessario affrontare le cause strutturali: le politiche neoliberiste che si sono applicate sistematicamente negli ultimi 30 anni, promosse da Bm, Fmi, Omc (Organizzazione mondiale del Commercio), con Stati Uniti e Unione Euro-pea in testa. Politiche che hanno significato liberalizzazione economica su scala globale, apertura senza freno dei mercati, privatizzazione di terre dedite al sostentamento locale e loro riconversione in monoculture da esportazione... e che ci hanno condotto alla grave situazione di insicurezza alimentare attuale. La Banca Mondiale calcola che la cifra di 850 milioni di persone che oggi soffrono la fame nei prossimi anni raggiungerà quota 950.

La soluzione della crisi passa per la regolamentazione e il controllo del mercato e del commercio internazionale; la ricostruzione delle economie nazionali; la restituzione del controllo della produzione di alimenti alle famiglie contadine e la garanzia del loro libero accesso alla terra, alle sementi, all’acqua; l’estrapolazione dell’agricoltura dai trattati di libero commercio e dalla Omc; e la fine della speculazione sulla fame.

Il mercato non può risolvere il problema. Di fronte alle dichiarazioni del numero due della Fao, José María Sumpsi, che afferma che si tratta di un problema di domanda e offerta per l’aumento del consumo in Paesi emergenti quali l’India, la Cina o il Brasile, bisogna ricordare che mai prima d’ora si era registrata una così alta produzione di cibo nel mondo.

Oggi si produce tre volte di più che negli anni ’60, mentre la popolazione mondiale è solo raddoppiata da allora. Non c’è una crisi di produzione di alimenti, ma un’impossibilità di accedere agli stessi da parte di ampie popolazioni che non possono pagare i prezzi attuali. La soluzione non può essere più libero commercio perché, come si è dimostrato, più libero commercio implica più fame e minore accesso agli alimenti. Non è il caso di gettare benzina sul fuoco.


 

 


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