LA MEMORIA SOTTO IL CEMENTO. IN FRIULI, ASSOCIAZIONI CATTOLICHE E CITTADINI CONTRO LA DISTRUZIONE DELL’EX LAGER
Tratto da: Adista Notizie n° 57 del 26/07/2008
34547. VISCO (UD)-ADISTA. Prima c’era un campo di concentramento fascista, ma fra qualche mese, sugli stessi terreni dove vennero deportati e reclusi migliaia di prigionieri jugoslavi, soprattutto civili vittime della “sbalcanizzazione” del territorio – oggi si chiamerebbe “pulizia etnica” – ordinata da Mussolini, potrebbe nascere una nuova zona industriale. Con il beneplacito dell’amministrazione comunale di Visco, che anzi ha modificato il Piano regolatore per poter vendere l’area, e nonostante l’opposizione di molti cittadini e delle associazioni locali, fra cui quelle cattoliche – soprattutto le Acli – in prima linea per la salvaguardia della memoria dell’ex lager. E a meno che la Sovrintendenza ai Beni culturali o la Regione Friuli Venezia Giulia – che però ha già dato un primo assenso all’alienazione e alla trasformazione dell’area – non si mettano in mezzo per bloccare i progetti speculativi dell’amministrazione comunale – guidata dal 2004 da una lista civica vicina al centrodestra – e di qualche imprenditore locale che intenderebbe costruire un mobilificio su un luogo di sofferenza e di morte (uno degli ipotetici progetti prevede infatti di insediare nell’area un “centro logistico della sedia e del mobile”) e seppellire sotto una colata di cemento la memoria di una pagina nera della storia del Novecento.
La zona è quella della Venezia Giulia, estremo nord-est, fra Udine e Gorizia, a pochi chilometri dalla Slovenia. A Visco, piccolo comune di meno di mille abitanti dove un tempo correva il confine che divideva il Regno d’Italia dall’Impero austro-ungarico, nella zona di Borgo Piave, durante la prima guerra mondiale venne costruito uno dei più grandi ospedali militari italiani che successivamente, in epoca fascista, diventò prima caserma e deposito di artiglieria e poi, alla fine del 1942, campo di concentramento per ospitare fino a diecimila prigionieri jugoslavi, in previsione della grande offensiva che le truppe fasciste italiane, naziste tedesche e ustascia croate si preparavano a lanciare nel gennaio 1943 contro le forze di liberazione jugoslave che resistevano all’occupazione e all’annessione nazifascista delle loro terre, iniziata nell’aprile del 1941. I reclusi, compresi numerosi anziani, donne e bambini, in realtà furono quasi quattromila, tutti liberati – tranne i 25 che morirono nel lager e che sono ricordati da una lapide eretta nel campo – pochi giorni dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Dopo la Liberazione, il campo venne utilizzato come caserma dell’esercito (la “Luigi Sbaiz”) fino al 1996, quando l’intera area passò dalla proprietà del Demanio a quella del Comune di Visco, che se ne disinteressò.
Il merito di aver riacceso i riflettori sull’ex lager spetta all’associazione cattolica italo-slovena “Concordia et Pax” – nata con l’obiettivo di riconciliare popoli e territori devastati dagli opposti nazionalismi – che nel 2000 a Visco ha organizzato una grande manifestazione pubblica, la prima di una serie di iniziative “di memoria” che si sono svolte negli anni successivi. Fino ad un importante incontro internazionale (“Il campo di concentramento di Visco: un luogo della memoria da salvare”) promosso lo scorso 23 maggio da una serie di associazioni friulane – fra cui molti circoli delle Acli e l’Azione Cattolica di Gorizia – e slovene, anche per denunciare e tentare di bloccare la decisione del Comune di vendere l’area.
Nell’agosto del 2007, infatti, l’amministrazione comunale di Visco ha approvato una variante al Piano regolatore generale che destina ad “attività produttive” oltre 20mila metri quadrati dell’area dell’ex caserma “Sbaiz” sul quale sorgeva appunto il lager. In realtà l’intenzione della Giunta era di modificare la destinazione d’uso dell’intera area (circa 130mila metri quadrati) e di usarla per “attività artigianali e industriali”, “commerciali”, “logistiche” e “residenziali”. Al posto del campo di concentramento, quindi, si sarebbe potuto costruire di tutto: fabbriche, centri commerciali e abitazioni private. Un intervento della Regione – in sede di osservazioni al Piano già adottato dall’amministrazione comunale – ha ridimensionato però in parte il progetto, e l’area è stata suddivisa in due zone: una di circa 20mila metri quadrati destinata ad “attività produttive” e trasformabile da subito (si tratta dell’area dove sorgono le costruzioni militari più recenti) e una di circa 110mila metri quadrati il cui cambio di destinazione è per il momento ‘congelato’ ma che potrà essere operativo in un secondo momento, con un semplice atto amministrativo del comune. Per dare il via libera alla vendita dei terreni si tratta ora di attendere solo il parere definitivo della Regione Friuli che deve dare l’ultimo placet al Piano ormai definitivamente approvato dall’amministrazione comunale. A meno che la Sovrintendenza non si renda conto dell’importanza del sito, blocchi i progetti speculativi e ne promuova anzi la valorizzazione.
“Si tratta di un luogo di grande valore – spiega lo storico Ferruccio Tassin, fra i fondatori dell’Istituto di storia sociale e religiosa di Gorizia, da anni impegnato per la difesa del lager di Visco –. A parte alcuni magazzini costruiti nel dopoguerra insieme con le cucine e il refettorio, tutto il complesso ricalca la pianta del campo di concentramento, che è entrato a far parte dei ‘luoghi della memoria’ per numerosi Stati della ex Jugoslavia, che qui hanno avuto anche le loro vittime della dittatura fascista. Sarebbe davvero necessario un vincolo della Sovrintendenza che eviti vendite inconsulte e la perdita di memorie che superano anche i confini nazionali”. (luca kocci)
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