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IL VESCOVO DI PAMPLONA SPONSORIZZA OPUS DEI E NEO CATECUMENALI. MA I PRETI DIOCESANI PROTESTANO

Tratto da: Adista Notizie n° 59 del 06/09/2008

34558. PAMPLONA-ADISTA. C’è maretta nella diocesi di Pamplona, in terra basca spagnola, fra il vescovo, mons. Francisco Pérez González - che, dopo essere stato reggente dell’Ordinariato militare spagnolo, ha sostituito nel luglio 2007 mons. Fernando Sebastián – e alcuni sacerdoti. Undici di questi - Jesús Equiza, Victorino Aranguren, Vicente San Martín, Alfonso de Carlos, Jesús Echeverría, José Javier Menéndez, Guillermo Múgica, Lino Otano, Juan José San Martín, Kepa Eceolaza e José María Jiménez Lizán – hanno scritto al vescovo una lettera chiedendogli di non realizzare quanto, nel Consiglio presbiterale di giugno, ha dichiarato di avere in animo di fare: di mettere cioè alle dipendenze della Facoltà Teologica dell’Università dell’Opus Dei il Seminario diocesano di Pamplona (Cset – Centro superiore di studi teologici, che attualmente dipende dalla Pontificia Università di Salamanca) e consentire ai neocatecumenali di Kiko Argüello di insediare in diocesi un Seminario Redemptoris Mater. "Due gocce - scrivono - che farebbero traboccare un vaso già pieno", perché come effetto della politica episcopale di mons. Pérez González ci sono altri fenomeni "inquietanti" in diocesi: "La crescente devitalizzazione del Consiglio pastorale e presbiterale", "il pratico abbandono della cosiddetta pastorale sociale", "la disattenzione verso la pastorale in euskera, non solo nella zona dove si parla basco, ma in tutta la Navarra", l’iscrizione dei beni nel Registro della Proprietà, la cui formula dovrebbe essere cambiata perché "i beni di ogni parrocchia figurino come proprietà della stessa". Complessivamente, affermano, la Chiesa diocesana di Navarra "ha sofferto un processo di settarizzazione crescente", escludendo e rendendo invisibili "ampi settori del Popolo di Dio" e guarda con sospetto, "quando non con disprezzo", a tutto quello che "suona secolarità". Ora, secondo i sacerdoti firmatari, le due ultime iniziative cui ha fatto accenno il vescovo a giugno sono preoccupanti "perché riducono il pluralismo ecclesiale della nostra diocesi e la consegnano a correnti e istituzioni sovradiocesane, il cui obiettivo non è servire la diocesi". La questione di passare il seminario diocesano sotto il controllo dell’Opus Dei, ricordano i firmatari, "è una storia vecchia" e neanche "molto esemplare": nel 1966 il vescovo di allora, mons. Enrique Delgado y Gómez, desistette dalla decisione di offrire alla Prelatura parte del’edificio e di terreni del Seminario per una residenza sacerdotale; anni più tardi, Roma rispose negativamente alla proposta del’Opus di erigere nel Seminario un Istituto di Teologia; dopo ancora, la Prelatura tornò alla carica cercando di porre il Cset sotto la propria influenza con una facoltà limitata ai titoli di baccellierato. Non è "grave" "fare ora quello che non si è fatto in passato"? Il Seminario, scrivono i sacerdoti, deve essere "aperto alla pluralità" e non deve correre "il rischio di una dipendenza eccessiva – ideologica, teologica e spirituale – da una proposta legittima nella Chiesa, ma settoriale, particolare e parziale come è quella dell’Opus Dei".

Di un seminario neocatecumenale, poi, gli undici sacerdoti non vedono la necessità: i candidati al sacerdozio del cammino neocatecumenale "possono formarsi e studiare nel Seminario Conciliare, e non a parte": il rischio, scrivono brevemente i firmatari, è di contribuire a "nuove divisioni e scontri".

 

 

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