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L‘INFORMAZIONE RELIGIOSA DICE ADDIO A MAURIZIO DI GIACOMO "VATICANISTA DI STRADA", UOMO MITE E GENEROSO

Tratto da: Adista Notizie n° 59 del 06/09/2008

34562. ROMA-ADISTA. Se ne è andato in silenzio, con la stessa riservatezza con cui aveva sempre vissuto, lasciandoci il 29 luglio scorso, quando la redazione di Adista aveva appena chiuso per la pausa estiva, mettendoci così nell’impossibilità di scrivere di lui nient’altro che qualche riga sulla home page del nostro sito internet. Maurizio di Giacomo, compagno di strada e di lavoro profondamente solidale con le ragioni ideali e morali di Adista, bravissimo giornalista, uomo buono e mite e - soprattutto - un amico fraterno, è morto all’ospedale Umberto I di Roma, dove era ricoverato già da alcuni mesi.

Era nato a Roma, quartiere San Giovanni, il 31 ottobre 1949, primogenito di una famiglia di estrazione contadina trasferitasi nella capitale da Otricoli (Tr) nell’immediato dopoguerra. Dopo aver frequentato il liceo classico, Di Giacomo si iscrisse alla Luiss, dove si laureò in Scienze Politiche. Alla fine degli anni ‘60 l’incontro con Roberto Sardelli, che, sulla scia di don Milani, nel 1968 aveva lasciato la parrocchia romana di San Policarpo, nel quartiere Tuscolano (Roma Est), per andare a vivere con i baraccati dell’Acquedotto Felice. Qui Sardelli aveva fondato la "Scuola 725", chiamata così dal numero della baracca in cui – insieme ad alcuni volontari – aveva iniziato a fare scuola popolare. Di Giacomo si impegnò da subito ed attivamente in questa esperienza, grazie alla quale i baraccati impararono a trasformare il loro silenzio in un grido di denuncia e iniziarono a comprendere che la loro condizione non era frutto di un destino immutabile, ma la conseguenza di un governo della città attento solo agli interessi della speculazione immobiliare. Una condizione simile - anche grazie al silenzio connivente delle strutture ecclesiastiche - a quella di milioni di proletari in tutto il mondo, dal Vietnam all’America Latina. Grazie alla scuola popolare (quella dell’Acquedotto Felice ma anche quella avviata nello stesso periodo al Borghetto Prenestino), Maurizio avvertì il desiderio di incarnare in maniera radicale l’ideale evangelico della giustizia sociale. Fu così che nacque in lui la vocazione al giornalismo, la necessità di scrivere per raccontare e denunciare lo stato di cose presenti.

I primi passi nella professione Di Giacomo li mosse con l’aiuto di Mario Cartoni, che lavorava a L’Ora di Palermo. Cartoni era stato amico e corrispondente di don Milani. Fu grazie a lui che negli anni successivi Maurizio ereditò parte dell’archivio milaniano dello stesso Cartoni e iniziò a raccogliere documenti, testimonianze ed informazioni che trent’anni dopo confluirono nel libro Don Milani tra solitudine e Vangelo (Borla, 2003) – testo imprescindibile per chiunque intenda avvicinarsi alla figura del priore di Barbiana. Le doti giornalistiche di Maurizio furono apprezzate da Arrigo Benedetti, direttore di Paese Sera, quotidiano con cui Di Giacomo collaborò per diversi anni, mai però in maniera stabile e continuativa.

Il suo vero tirocinio da cronista Maurizio lo cominciò all’Adista, nel 1976. Ad Adista Maurizio si dedicò ad esaminare con attenzione tutti gli organi di informazione istituzionali, dall’Osservatore Romano ai settimanali diocesani, per cercare nelle pieghe delle notizie e dei commenti, nel confronto tra le testate, ciò che di significativo era utile a confezionare le rassegne che periodicamente curava sulla nostra agenzia. Imparò però anche a rifuggire dai canali istituzionali per andare a cercare le notizie sul posto, curando di avere fonti che fossero di prima mano. Sempre presente ad eventi e convegni, a manifestazioni culturali di area cattolica, Maurizio non trascurava neppure quegli eventi periferici che la maggior parte dei giornalisti ignorava. Interveniva, faceva domande, chiedeva precisazioni anche su dettagli che altri avrebbero considerato marginali.

Vero segugio del giornalismo, le sue qualità non furono però mai pienamente apprezzate. Il suo modo anticonvenzionale, la sua riservatezza, i suoi silenzi, l’atteggiamento un po’ burbero; insomma, la sua assoluta incapacità a conformarsi alle logiche ed alle forme tipiche della vita di redazione gli resero sempre difficile trovare una stabilità economica e lavorativa nel giornalismo. Stabilità che per diversi motivi nemmeno Adista, dove pure lavorava ormai da dieci anni, poteva garantirgli. Per questo, la nostra cooperativa a malincuore lo "cedette" all’Ansa, agenzia per la quale Maurizio dal 1987 iniziò a lavorare come collaboratore esterno per il settore religioso. Di Giacomo collaborò anche con Panorama, Astrolabio, il Secolo XIX, Agenzia Radicale e altre testate giornalistiche e radiofoniche di area cattolica e non. Proprio nel 1987 diede alle stampe per l’editore Pironti Opus Dei, documentatissimo volume su una delle realtà più controverse del panorama ecclesiastico.

Tra gli altri importanti libri da lui pubblicati - oltre quello già ricordato su Don Milani - Ivan Illich, una voce fuori dal coro, pubblicato da Ancora nel 2006 e La vicenda di Aldo Moro oltre le mura vaticane, pubblicato lo scorso aprile per i tipi del Cavallo di ferro.

I colleghi: grandi doti professionali e umane

Poco riconoscente con lui in vita, il mondo della carta stampata gli ha reso però un commosso omaggio dopo la morte. A cominciare, sorprendentemente, dall’Osservatore Romano, che - nonostante Maurizio avesse sempre conservato posizioni fortemente critiche verso la Chiesa istituzionale - lo ha ricordato in un lungo articolo pubblicato lo scorso 1 agosto a firma di Raffaele Alessandrini. "Un cacciatore di notizie sempre attento alle persone": così l’Osservatore (presente al funerale con il direttore Vian ed il suo vice Di Cicco) ricorda Maurizio, "un uomo che avvertiva come radicalmente proprie le prerogative della verità anche quando vi siano da battere i percorsi più scomodi, politicamente meno corretti (e convenienti). Se essere fedeli alla verità infatti rende interiormente liberi, spesso condanna all’isolamento, e facilmente espone a diffidenze e a incomprensioni". Diffidenze ed incomprensioni che potevano sorgere anche dal suo privilegiare "l’‘essere’ a scapito del ‘parere’": "Se però l’interlocutore riusciva a guardare oltre l’abbigliamento improvvisato, e la barba lunga, minimo di un paio di giorni, nonché quel ciuffo perenne che copriva la fronte, ombreggiando il naso marcatamente aquilino, riusciva a cogliere il lampo di due occhi mobilissimi; acuti e mansueti. Il garbo e l’affabilità, la proprietà di linguaggio, il tono gradevole e confidenziale della voce contrastavano in modo stridente con l’aspetto e la mise". L’articolo si conclude con una nota di commozione: "Mentre lo ricordiamo ci sembra di vederlo ancora aggirarsi nei paraggi del Vaticano: trafelato, sudato e assorto con la sua borsa a tracolla tra via della Conciliazione e piazza del Risorgimento o con la sua indimenticabile sagoma curva sul tavolino di un bar mentre redige il pezzo da dettare per telefono su quattro foglietti ripiegati".

L’Ansa - per cui aveva lavorato più di 20 anni - ha ricordato Maurizio come un "uomo buono e generoso", mentre Roberto Monteforte sull’Unità lo ha descritto come un "figlio di quella Chiesa di Roma che ha seguito con coraggio l’insegnamento del Concilio Vaticano II, amando il Vangelo e la sua radicalità". "Per la limpidezza e la coerenza delle sue posizioni - ha aggiunto Monteforte - per la sua fedeltà alla libertà e a quel servizio alla giustizia e agli ultimi maturato quando agli inizi degli anni ‘70 era impegnato con i baraccati dell’Acquedotto Felice, ha pagato prezzi anche professionali". Infatti "ad incomprensioni e contrasti Maurizio è andato spesso incontro. Forse c’era qualcosa di autobiografico in quel ‘tra solitudine e Vangelo’ scelto per il suo libro su don Milani. La sua solitudine ricorda quella del viandante. Del pellegrino attentissimo a ciò e a chi ha intorno, ma ancora più proiettato verso la meta del suo viaggio: raggiungere la sua Gerusalemme".

La Fnsi (Federazione Nazionale Stampa Italiana) - presente ai funerali con il suo presidente Roberto Natale - ha espresso il proprio cordoglio per la scomparsa di un "collega di grandi doti professionali e umane, la cui serietà non è stata mai sufficientemente riconosciuta". Per la Fnsi Maurizio era "un professionista che non ha mai voluto fare pesare la sua sofferenza sugli altri e si è sempre prodigato per chi, a suo giudizio, aveva ancora più necessità di lui".

Gli amici: la solitudine di uomo profondamente onesto

Scrive il sito delle CdB (www.cdbitalia.it): Maurizio Di Giacomo "si era coinvolto, fin dall'inizio, nell'esperienza delle Comunità cristiane di base. Ai primi passi del movimento a Roma ha contribuito con la precisione e la chiarezza della sua memoria che allineava fatti e nomi quando nella preparazione dei documenti e degli incontri era necessario mantenere l'intreccio fra la propria convinta valutazione e il profondo rispetto per l'altrui libertà di autonoma opinione".

Quella con Maurizio, ha detto Antonio Parisella, professore di Storia Contemporanea all’Università di Parma e presidente del Museo storico della liberazione di via Tasso a Roma, è stata "un’amicizia sempre sottoposta alla verifica della sua insistenza per sapere, per aiutarsi a dare risposte, per trovare sostegno e conforto alle innumerevoli frustrazioni cui lo sottoposero non tanto i nemici quanto gli amici". Perché quella di Maurizio è stata "una vita sofferta", caratterizzata da "un’amarezza sempre resa esplicita per lo spazio eccessivo concesso – nella sua professione – non solo a dubbie moralità, ma anche a superficialità, approssimazioni, incompetenze". "Una delle persone più moralmente oneste che abbia mai incontrato", ha detto Sandro Portelli, esperto di storia e cultura orale e docente di Letteratura angloamericana all’Università la Sapienza. (valerio gigante ed emilio carnevali)

 

 

 

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