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Una moschea a Firenze? Non facciamone uno “scontro di civiltà”

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 12 del 31/01/2009

Firenze partecipò con i suoi uomini all’Assemblea Costituente (tra loro Giorgio La Pira e Piero Calamandrei).

All’indomani della seconda guerra mondiale e dell’olocausto, dopo un lungo periodo durante il quale le coscienze degli italiani erano state oppresse dalla dittatura, le diverse anime del Paese si confrontarono in quella sede attraverso i propri rappresentanti: socialisti, liberali, cattolici… Si dette vita, un anno prima della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, alla Costituzione italiana, sintesi armoniosa al cui centro è la persona umana, cittadino planetario, portatore anzitutto di diritti inviolabili e insieme di precise responsabilità, quale membro del corpo sociale; un cittadino che interagisce con le istituzioni che sono al suo servizio, e che egli deve rinnovare e mantenere vitali attraverso la partecipazione. Lo stato è garanzia di quei diritti; diritti della persona e diritti delle comunità alle quali l’individuo appartiene. In tale senso la pace sancita dalla Carta è un diritto-dovere planetario, per cui ogni persona ha diritto all’esistenza, ma anche i popoli con le loro culture debbono sopravvivere e mantenere la propria identità.

Dopo la dittatura, seguita dalla guerra, si evidenziava dunque un principio fondamentale: la pace non è solo equilibrio esterno, ma scaturisce e si alimenta nella città la quale, come usava dire un antico fiorentino, l’architetto del Rinascimento Leon Battista Alberti, “è una grande casa per una grande famiglia”. Un principio, che proiettato sul piano internazionale, pone le ragioni della pace come strutturali del nostro ordinamento pubblico e sollecita a rivedere l’idea di reciprocità, così come diffusamente è intesa. In tale senso Chiara Lubich, personalità del nostro tempo recentemente scomparsa, già presidente onoraria della Conferenza mondiale delle religioni per la Pace, riprende tale concetto durante il suo discorso all’Onu del maggio 1987. Dice “È ormai parte del sentire comune dei protagonisti della vita internazionale la necessità di rileggere il senso della reciprocità, uno dei cardini dei rapporti internazionali (…). Reciprocità che richiede di superare antiche e nuove logiche di schieramento, stabilendo invece relazioni con tutti come il vero amore esige; che domanda di operare per primo, senza condizioni e attese; che porta a vedere l’altro come un altro se stesso e quindi a pensare in quella linea ogni iniziativa: disarmo, sviluppo, cooperazione. Una reciprocità in grado di portare ogni protagonista della vita internazionale a vivere l’altro, i suoi bisogni, le sue capacità, non soltanto nelle emergenze, ma a condividerne quotidianamente l’esistenza”.

Dentro tale logica, apparentemente utopistica, l’unica via percorribile è la via del dialogo, cioè un incontro tra diversi, ma uguali in dignità, in virtù del quale ciascuno viene accolto senza timore di essere strumentalizzato o culturalmente fagocitato, e in cui ognuno per farsi comprendere approfondisce ed esprime il meglio della propria identità.

Il 27 ottobre del 1986, ebbe luogo ad Assisi il famoso incontro delle religioni per la pace, una delle icone più significative del secolo ventesimo. Papa Woityla, di fronte ai capi delle altre religioni ebbe a dire: “Cari amici, quello che abbiamo fatto oggi ad Assisi, dobbiamo continuare a farlo ogni giorno della nostra vita, pregando e testimoniando il nostro impegno per la pace”.

E partendo da queste premesse, per venire al dibattito di questi giorni, dobbiamo chiederci il perché di tanto rumore di fronte all’esigenza dell’edificazione di un luogo di preghiera, che rappresenta semplicemente un diritto per una comunità, in piena sintonia con la Costituzione del nostro paese. Una comunità peraltro, quella dei musulmani fiorentini, numericamente significativa che desidera costruirsi un luogo di preghiera più dignitoso rispetto a quello attuale, ormai del tutto insufficiente. Sì, diciamolo francamente, il problema è sorto anzitutto perché l’edificio da costruire è una moschea, parola che ad alcuni suona minacciosa. Ma dobbiamo riconoscere, insieme alla scarsa conoscenza della realtà dell’altro, che siamo di fronte ad un malinteso, ad una delle confusioni generate ed alimentate dalla storia. Islam non si traduce in italiano col termine terrorismo, ma con le parole sottomissione a Dio, clemente e ricco di misericordia. È un errore identificare l’Islam con l’operato di alcuni gruppi al potere in determinati paesi, o con l’eversione antioccidentale, come è altrettanto sbagliata l’identificazione della religione cristiana con l’occidente, col colonialismo, il liberismo e via di seguito. Lo storico Andrea Riccardi (fondatore della comunità di Sant’Egidio), facendo riferimento alla lunga esperienza di convivenza e di scambi culturali che per secoli c’è stata tra le rive del Mediterraneo, ha recentemente recuperato in un suo saggio la categoria della co-abitazione interculturale e interreligiosa tra popoli diversi, all’interno di una comune storia mediterranea, che ha legato tra loro ebrei, cristiani e musulmani.

Tale coabitazione ci offre alimento per un comune impegno. Di una cosa siamo certi, che non sia possibile parlare di “scontro di civiltà”, ché ogni civiltà, come una creatura viva, muta e si sviluppa, ma è costruita intorno a valori alti che possono essere comunicati e compresi, seppure faticosamente e con pazienza. Dunque ogni conflitto è semmai scontro di in-civiltà.

Siamo sicuri che una moschea a Firenze sarà un edificio bello. E tra qualche tempo, quando dalla collina di San Miniato o affacciati al balcone del piazzale Michelangelo guarderemo Firenze  ammirando la cupola del Duomo, i campanili delle tante chiese, le guglie della Chiesa russa, la splendida sinagoga, se vedremo spuntare in lontananza un minareto potremo gioire pensando che la famiglia di Abramo è più unita, e che la città è culturalmente più ricca ed ha fatto un piccolo passo storico sulla via della pacifica convivenza, nel rispetto delle diversità culturali e religiose.

 

*Centro internazionale studenti “G. La Pira”

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