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I 100 giorni di Obama Dalla potenza imperiale alla egemonia politica?

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 51 del 09/05/2009

A qualche settimana di distanza dal G20 si può proporre, guardando ai commenti, un bilancio per titoli: il mondo sta cambiando, ma non si sa ancora quanto, in che direzione e con che velocità; resta aperto il dilemma se aggredire l’origine (finanziaria) del fenomeno-crisi, e dunque imporre nuove regole, oppure andare al nocciolo del problema (economico) e dunque governare un riassetto degli equilibri mondiali (sociali, economici, di potere). In ogni caso, Obama sta mantenendo le promesse e si candida a guidare il cambiamento anche in termini di ridimensionamento del ruolo guida degli Usa; l’Europa resta indietro, incerta e divisa; l’Italia è ai margini, finanche dell’Europa. […]

Una lettura lucida e obiettiva delle posizioni espresse da Obama (al G20, a Praga, a Istanbul) porta a dire che i messaggi che ha lanciato sono chiaramente spostati sull’asse dell’economia reale, della democrazia, degli equilibri internazionali, piuttosto che delle regole di mercato. Ne consegue che l’Europa, che voleva sembrare intransigente e severa sul campo della battaglia per mettere le briglie al capitalismo e al mercato, finisce per apparire indietro, inadeguata, attenta solo alla superficie dei problemi, vittima di divisioni che la allontanano ancor più dal nocciolo e dalla radice dei problemi.

Restano pur tuttavia da spiegare i primi scricchiolii che si sono palesemente registrati nella base di consenso di Obama. C’era da aspettarselo, in realtà, che, dopo gli ultra-conservatori, anche una schiera di ultra-radicali denunciasse una progressiva assimilazione di Obama a Bush. Ma era invece meno prevedibile che anche una significativa schiera di supporter della prima ora affermassero, già allo scadere dei cento giorni, la loro delusione. La spiegazione potrebbe trovarsi nel fatto che la crisi è ben più profonda di quanto l’opinione pubblica sia disposta ad immaginare. In una certa misura si può dunque spiegare la delusione che fa capolino con la difficoltà a prendere atto fino in fondo della dura realtà della crisi. […]

È però anche vero che i nodi più grossi da sciogliere sono ancora lì: Palestina e Israele, Afghanistan, Iran. E poi la Cina, la partita più difficile da giocare sul terreno economico: non c’è misura di politica economica interna che possa reggere senza un accordo di fondo con il paese che più di ogni altro condiziona l’economia americana.

La crisi può far collassare tutti i sistemi con cui gli Usa imponevano al mondo intero di accollarsi una parte dell’onere del suo alto reddito. Il sogno di Obama potrebbe essere quello di attutite eil colpo trasmutando poco a poco la leadership basata sulla potenza imperiale in una leadership basata sull’egemonia politica.

Questo quadro che vede Obama mirare ad un nuovo ordine mondiale e non solo a nuove regole di mercato può lasciare aperta la porta alla speranza.

 

* Stralci da www.eguaglianzaelibertà.it

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