GESÙ DI NAZARETH DI FRONTE AL POTERE
Tratto da: Adista Documenti n° 56 del 23/05/2009
Attualità del tema
1. Il potere non viene direttamente dagli dei
Il problema del potere solleva questioni etiche profonde per ogni persona e per la società. Il potere è ambivalente, dal momento che può essere esercitato per dominare o per servire, e in questo senso ci riguarda tutti. (...).
Ci hanno abituato a vedere il potere come un’emanazio-ne dall’alto, da delegare a rappresentanti umani sempre per decisione dall’alto. Questo potere supponeva una società di classe, quella governante e quella governata, e quest’ultima non aveva altra scelta che rispettare il potere e adempiere ai suoi obblighi, adempiervi incondizionatamente, dal momento che questo potere portava l’impronta divina e, in quanto tale, era indiscutibile.
Abbiamo ereditato allora come cosa quasi naturale la convinzione che tutti i gruppi presenti nella società debbano mirare al potere e cercare di disporne come qualcosa concesso dagli dei e di sfruttarlo come un capitale indiscusso, al riparo da ogni critica e velleità.
2. La sovranità del potere proviene dal popolo ed è per il bene di tutti
In questa prospettiva, si può vedere come il potere abbia preso una rotta che non è propriamente la sua e si sia snaturato: non si esercita per conseguire il bene e i diritti della persona e della comunità, ma per servirsi della comunità subordinandola agli obiettivi e ai fini dell’élite al potere.
È così che ci imbattiamo in un errore inveterato e di grande impatto: le religioni, e, naturalmente, la religione cat-tolica, si sono alleate reiteratamente con il potere politico, spesso antidemocratico, subendo e facendo subire alla società gli abusi e le perversioni di questo potere. E quando tale potere è stato messo a confronto con il Vangelo, si è inventata l’ideologia secondo cui le Chiese non farebbero politica, giacché lo stesso Gesù di Nazareth non fu un politico e visse ai margini della politica. Tesi che, sotto tutti gli aspetti, risulta insostenibile. (...).
Conviene quindi svelare le menzogne del potere attingendo a una doppia fonte: l’etica razionale e il Vangelo. Da entrambe le prospettive si può mettere in luce come il caos oggi sofferto a livello individuale, sociale e internazionale non sia altro che un’errata valutazione del potere.
La prima perversione: l’alienazione di chi mette il potere al centro della propria vita
(...) La logica del potere-dominio è sempre la stessa: affermarsi contro l’altro, perché la ‘propria realtà’ si erge a centro superiore e indiscusso. Nella dinamica del potere-dominio non vige l’etica dell’amore: con me e con te, insieme (etica congiuntiva), ma l’etica dell’egoismo escludente: con me o contro di me (etica disgiuntiva).
In questo senso, la tentazione più grande per la persona è di lasciarsi possedere da questo potere-dominio, che la colloca nel regno dell’arbitrarietà e del dispotismo e la porta a prescindere dalla realtà e dai diritti degli altri.
(...) Non è poco se possiamo concludere che, di fronte al potere, per quanto grande sia, ci resta sempre un arma invincibile: l’autonomia dell’etica umana che conferisce al cittadino dignità, razionalità e indipendenza. Si capisce allora perché intendiamo comunemente il potere come un pericolo e un danno. Non perché il potere sia un male in sé ma perché opera dentro a chi ne dispone come fattore alienante. (...).
Non c’è niente di più pericoloso dell’alienazione di chi comanda, perché porta a fargli credere di essere imprescindibile e, inoltre, di star compiendo una missione sacra. Succede allora che il potere non ha più limiti, oltrepassa la realtà stessa fino ad ignorarla o calpestarla secondo i propri in-teressi.
È allora che il potere inverte la fonte stessa della morale: stabilisce come fondamento del bene o del male la propria volontà e non il rispetto della realtà. Per cui diventa inevitabile il conflitto tra chi serve il potere e chi vi si oppone difendendo la dignità umana e i suoi diritti.
La seconda perversione: alleanza della religione con il potere
Se, come si è scritto, il Concilio Vaticano II è stato la tomba del ‘regime di cristianità’, ciò significa che la Chiesa cattolica è entrata in una nuova epoca caratterizzata da vari fatti salienti:
- La coscienza di essersi allontanata, non poche volte, dal messaggio originale di Gesù. Allontanamento che ha significato, molto presto, alleanza e complicità con il potere civile e politico per governare, solitamente alle spalle del popolo, a beneficio delle élite e dei settori privilegiati.
- Questa alleanza è cominciata a venir meno in epoca moderna, grazie all’autonomia e all’emancipazione dell’es-sere umano e della società rispetto alla Chiesa. Da allora, la Chiesa si è impegnata più a difendere ciò che aveva ereditato che a discernere e ad assimilare il nuovo, apparendo a priori contro la ragione, la democrazia, la scienza e il progresso.
- È esattamente questa immagine di trinceramento nel passato e di autodifesa che è stata rivista e superata dal Vaticano II. Da allora, è andato crescendo il movimento ecclesiale di ritorno alle fonti della fede; di fedeltà alla vita (teoria e prassi) del Gesù storico; di opzione preferenziale per i poveri; di denuncia di quelle situazioni strutturali (socioeconomiche, culturali, politiche) che generano e favoriscono l’impoverimento, la disuguaglianza, l’ingiustizia e la discriminazione; di impegno a delineare una politica più democratica con maggiore partecipazione dei settori popolari; di dialogo con la cultura, ecc.
Sarebbe troppo lungo descrivere la mappa di questa prassi diffusa, opposta quasi sempre ai poteri economico-politici della società e ai poteri interni della Chiesa. (...). Ma è qui che sta la testimonianza - sociologicamente importante - di questa nuova Chiesa ancorata al Vangelo, impegnata a favore dei poveri e dei diritti umani, della giustizia e della pace. (...).
Gesù di Nazareth: la vocazione dell’uomo non è di dominare ma di servire
1. Gesù non fu politico né apolitico ma predicò un regno dalle enormi implicazioni politiche
Mi interessa porre il problema sul terreno della politica perché è qui che (...) si sono registrate le maggiori manovre per affermare che Gesù non ebbe niente a che fare con la politica e che lo stesso dovrebbe fare la Chiesa.
A ragione ha scritto il teologo Schillebeeckx: “Conosciamo l’atteggiamento storico di Gesù di fronte ai poteri politici unicamente attraverso un’apologetica ecclesiale il cui o-biettivo era preservare la comunità cristiana da possibili persecuzioni”.
Tra gli attuali esegeti sembra chiaro che i cristiani più vicini nel tempo a Gesù non si ponevano la possibilità di un cambiamento delle strutture sociali. Tuttavia, non mostrarono neanche di approvarle e men che meno di benedirle come spazio adeguato per il compimento dell’eredità di Gesù. Essi si trovavano nella necessità di vivere in quella società, e bastava loro, non potendo fare altro, distanziarsi interiormente da quel modello sociale che non incarnava il messaggio di Gesù.
Non sarebbe allora corretto evocare certi testi del Nuovo Testamento, che fanno riferimento a questa situazione storica, per giustificare il rispetto incondizionato all’autorità costituita o per disinteressarsi completamente del cambiamento delle strutture sociali. Tale interpretazione è considerata oggi fondamentalista e reazionaria per il suo ricorso ai testi delle Scritture senza la dovuta analisi del contesto so-cio-storico.
Se Gesù non fu un politico in senso stretto, neanche fu un apolitico: “Gesù non ebbe un interesse diretto per la politica, nonostante si sappia che la sua predicazione del regno e, soprattutto, il suo atteggiamento verso gli oppressi aveva una serie di implicazioni politiche”; “La prassi del regno di Dio implica essenzialmente il miglioramento del mondo”; “L’interesse indiretto di Gesù per la politica è un fatto di primaria importanza” (Schillebeeckx).
Siamo allora nel giusto se pensiamo che, nella nostra società, l’applicazione dello spirito e del messaggio di Gesù può essere diversa da come lo fu nelle prime comunità cristiane: “Ogni generazione cristiana che si ritenga tale dovrà determinare, a partire dalla propria fede, la sua posizione in merito alla situazione politica, specialmente quando le strutture esistenti schiavizzano l’uomo” (Schillebeeckx).
Se c’è una cosa chiara, è questa: per Gesù la politica non è qualcosa di assoluto, l’assoluto è il regno di Dio. Molte realizzazioni del potere umano, viste alla luce del regno di Dio, appaiono inadeguate, ingiuste, utopicamente superate. Il regno di Dio risulta perciò demolitore per chi persiste nella costruzione di progetti contrari alla dignità e ai diritti della persona e dei popoli.
2. Rilettura delle fonti della fede: un ritorno all’essenziale
Se, come afferma il teologo Comblin, “bisogna smontare le strutture nate dall’infiltrazione pagana e dai sistemi neofarisaici della Chiesa”, questo compito non può essere portato a termine che nella fedeltà alla figura storica di Gesù. “La causa di Cristo, la figura storica di Gesù povero, debole, senza potere, critico rispetto allo status quo sociale e religioso del suo tempo, è stata iconizzata e spiritualizzata dall’istituzione e, in questo modo, privata del suo fermento di messa in discussione” (Leonardo Boff).
a) L’annuncio di Gesù: il regno di Dio o la sovranità dell’amore
Gesù opera nella sua vita con un potere. Ma qual è il potere di Gesù? Il potere che gli ha dato Dio e che non è altro che il potere dell’amore. (...). Un amore presente e invasivo nell’annuncio centrale del regno di Dio: in questo regno hanno fine le disuguaglianze, le dominazioni, i padroni e gli schiavi, i grandi e i piccoli; tutti sono fratelli e, pertanto, le relazioni proprie di questa nuova convivenza sono ugualitarie e fraterne.
Nessuno, in questo regno, è invitato ad obbedire ciecamente, a sopportare l’ingiustizia, a tacere vigliaccamente, a disinteressarsi del fratello più bisognoso, e nessuno è autorizzato a esercitare un potere di dominio: “Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così: ma chi vuol esser grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,42-44; Lc 22,25-27).
b) I discepoli di Gesù, fratelli e servitori
Il testo precedente non lascia dubbi sul fatto che il discepolo di Gesù, quale che sia la sua responsabilità nella comunità, non può esercitare poteri di dominio, propri dei tiranni. Al contrario, deve agire fraternamente, come l’ultimo dei servitori: “Non fatevi chiamare ‘rabbì’, perché uno solo è il vostro Maestro, e voi siete tutti fratelli. E non chiamate nessuno ‘padre’ sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. E non fatevi chiamare ‘maestri’ perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo. Il più grande tra voi sia vostro servo” (Mt 23,8-1).
Gli apostoli, portatori del messaggio di Gesù, non hanno altro potere che quello del servizio, incompatibile con ogni tipo di privilegio e dominio.
3. Denunce di Gesù: il potere idolatrato o i falsi dei
Potrebbe sembrare che la vita di Gesù non fosse altro che una vita vissuta a partire dall’amore, ma senza che questo lo portasse a mettere in discussione o a entrare in conflitto con i poteri della società in cui viveva.
Pensare così significherebbe uscire dalla realtà e tradire la storia. Perché la crocifissione di quest’uomo non avrebbe avuto senso se con la sua dottrina e il suo modo di vivere non avesse smascherato le falsità dei poteri più rilevanti del-la sua società. Gesù era un uomo con una vita pubblica, che viveva in mezzo alle vicissitudini del suo popolo e che si esprimeva liberamente pur sapendo che le sue idee avrebbero potuto scontrarsi con quanti esercitavano ufficialmente il monopolio ideologico e politico di quella società. L’assassinio di Gesù non ha senso se non all’interno di questo contesto storico in cui i diversi poteri - impero e sinedrio - confabulavano per eliminare l’influsso della sua visione critica e alternativa.
Gesù di Nazareth si è mostrato in chiara antitesi al potere: economico, ideologico, religioso e politico.
a) Rispetto al potere economico o alla ricchezza
Il possesso di ricchezze è considerato da Gesù un male, una maledizione e un grande ostacolo per entrare nel regno di Dio: non perché la ricchezza sia in se stessa cattiva, ma perché appare insultante di fronte alla disumana povertà di altri. I ricchi diventano tali sulle spalle dei poveri, appropriandosi di ciò che non è loro e creando relazioni di sfruttamento e di oppressione. I ricchi sono tali su una base di oppressione. E in questo modo si rivela il nesso causale esistente tra ricchi e poveri: gli uni risultano impoveriti e gli altri sono coloro che impoveriscono. La sorte del povero dipende dal ricco (Lc 16,21).
Le parole che Gesù pronuncia parlando di beatitudini e del loro contrario (Lc 6,20-26), riflettono una chiara e formale opposizione tra due bande, i ricchi da una parte e i po-veri dall’altra. Ma se per Gesù la ricchezza risulta insultante e, inoltre, disumanizzante per chi la possiede, è perché è ingiusta.
“Gesù fustiga la ricchezza e il vangelo di Luca è quello che meglio lo testimonia. In questo vangelo si mostra Gesù come appassionato difensore dei poveri. E ciò è un segno del fatto che la malignità ultima della ricchezza è relazionale: l’oppressione dei poveri” (Jon Sobrino).
Gesù presenta la ricchezza come qualcosa di radicalmente opposto a Dio: “Non potete servire Dio e il denaro” (Mt 6,24; Lc 16,13). Dio e la ricchezza sono due signori antagonisti. (...).
b) Rispetto al potere ideologico o alla legge
Riguardo a questo aspetto, voglio evidenziare l’importan-za della denuncia da parte di Gesù dell’uso della legge per opprimere gli uomini. C’erano i dottori della legge (farisei) e i loro ferventi esecutori (scribi). Gli uni e gli altri possedevano un grande potere, erano il referente intellettuale e pratico sul modo di intendere e praticare la legge. (...).
Gesù li denuncia pubblicamente (Lc 11,37-53; Mt 23,1-36) per la loro vanità e ipocrisia: si vantano di essere i migliori interpreti ed esecutori della volontà di Dio. Vista in profondità, la denuncia di Gesù va contro l’oppressione che gli uni e gli altri esercitano sul popolo. Cioè, per Lui, la cosa più intollerabile: “Gli scribi e i farisei opprimono i poveri con l’aggra-vante di farlo attraverso la religione” (Jon Sobrino).
I dottori e gli esecutori della legge possono manovrare l’interiorità, ma le opere mostrano la loro malvagità op-pressiva: “Guai anche a voi, dottori della legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!” (Lc 11,46); “Guai a voi, che costruite i sepolcri dei profeti” (Lc 11,47-51); “Guai a voi, dottori della legge, che avete tolto la chiave della scienza. Voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare l'avete impedito” (Lc 11,52), mostrando di essere “ciechi e guide di ciechi” (Mt 23,17.19.26.15).
La conclusione è chiara: scribi e farisei, portatori del potere ideologico e simbolico-esemplare, non insegnano né rispettano veramente la legge, rappresentano un ostacolo e, quel che è più grave, opprimono il popolo.
c) Rispetto al potere religioso o al tempio
Per intendere bene questo punto, bisogna partire dal-l’importanza che il tempio di Gerusalemme rivestiva per gli ebrei. Gli esegeti sono d’accordo nell’ammettere che Gesù denunciò con forza gli abusi commessi dalla casta sacerdotale nel tempio: l’espulsione dei mercanti lascia intendere una richiesta di cambiamento radicale. Gesù affrontava e-nergicamente quel sistema religioso che permetteva l’op-pressione e promuoveva gli affari e i guadagni dei sacerdoti.
Si può però affermare che Gesù si spinge più in là di una semplice correzione degli abusi: la sua frase “bisogna distruggere il tempio” è interpretata nel senso che il tempio, in quanto tale, non è più necessariamente il luogo di incontro con Dio, ancor meno quando questo tempio ha simboleggiato un Dio che è a favore dei privilegi della casta sacerdotale e legittima imposte e obblighi ai contadini: “È giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità” (Gv 4,21,32). Gesù non può approvare un sistema religioso (il tempio) che promuoveva simbolicamente il culto a un dio falso e legittimava l’oppressione.
Il luogo dell’incontro con Dio sarà, secondo Matteo, la comunità: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,19) o anche “ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me” (Mt 25,31-49).
d) Rispetto al potere politico
Le denunce di Gesù non si rivolgono solo ai poteri economici, ideologici e religiosi. È vero che Egli non entra in uno scontro diretto con il potere di Roma, ma il suo insegnamento presenta un forte impatto politico. Afferma in maniera lapidaria che “i governanti capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere” (Mt 20,25).
Nella sua lotta contro questo molteplice potere, Gesù mostra che nella storia il conflitto nasce perché alcuni uomini si levano contro gli altri, creando una convivenza ingiusta e oppressiva. Sono questi attori storici dell’oppres-sione che si organizzano e si oppongono al progetto di Dio (al suo regno), operando come se si trattasse di dei, dei che si trasformano nell’antitesi del Dio che Egli rivela.
4. La lotta di Gesù è contro gli idolatri e non contro gli atei
Da quanto esposto, appare che per Gesù sono gli idolatri e non gli atei che attentano all’esistenza del vero Dio. Non direttamente, ma attraverso la distruzione dell’uomo. Per nostra disgrazia, la mentalità moderna occidentale considera l’i-dolatria come cosa del passato, ricordo di culti e riti in cui le immagini di alcuni dei rivaleggiavano con quelle di altri.
Per una cultura razionalista e secolarizzata, l’uomo è u-scito dall’alienazione ed ha affrontato se stesso, senza bisogno neppure di ricorrere all’esistenza di Dio.
La posizione di Gesù è altra. Egli non discute se Dio e-sista o meno, ma comunica un’immagine e un’esperienza di Dio e, inoltre, stabilisce le condizioni che portano all’in-contro con questo Dio. Il suo Dio è un “Dio di vita” ed E-gli cerca di smascherare quelle realtà storiche che, senza essere dio, si rendono tali e si comportano in modo opposto a Dio, producendo morte.
Questi idoli non sono, naturalmente, cose del passato né pezzi di museo. Gli idoli del nostro tempo (Ricchezza, Potere, Multinazionali, Stato, Sicurezza Nazionale...) hanno un comportamento reale e si fanno conoscere per i loro effetti. (...). Così, gli idoli sono diversi ma la loro maggiore o minore pericolosità dipende dalla maggiore o minore minaccia che esercitano contro la vita: quanto più anti-vita, tanto più anti-Dio, e quanto più anti-poveri tanto più anti-Dio, poiché è nei poveri che la vita è più minacciata. Sono molte le forme di idolatria, ma non c’è dubbio che l’assolutizzazione della ricchezza sia la principale, poiché è quella che porta maggiori conseguenze in termini di ingiustizia, di oppressione, di dolore e di morte. È, propriamente, divinità di morte. E non esattamente pezzo di museo.
La Teologia della Liberazione denuncia gli idoli attuali di ingiustizia e di morte
In questa prospettiva si è mossa la TdL per analizzare la questione di Dio: “Milioni di esseri umani sono stati sacrificati sull’altare dell’oro e dell’argento. Oro e argento si sono trasformati nei nuovi dei” (J. Minguez Bonino).
Perché e per cosa tanta guerra? Perché e per cosa tanta colonizzazione? Perché e per cosa tanto imperialismo predatore e terrorista? Il fine ultimo di sempre è lo stesso: l’oro, il dollaro, il petrolio…
È la Chiesa latinoamericana quella che ha analizzato teologicamente l’idolatria secondo il criterio fondamentale di vita-morte delle maggioranze. Criterio basato sulla prassi e l’insegnamento di Gesù. Gesù quando si rivolge ai suoi uditori, lo fa dialetticalmente, mostrando loro che non c’è neutralità possibile: si sceglie o l’uno o l’altro, perché scegliere uno significa odiare l’altro. Bisogna sapere quindi in che Dio si crede e quali dei si rifiutano. Gli dei che si rifiutano Gesù li chiama signori e, contrapponendoli a Dio, li tratta come dei.
Così, la ricchezza per Gesù è un idolo, non precisamente religioso, che offre una falsa salvezza a coloro che gli rendono culto e che fa vittime tra i poveri. Quando i capi giudaici pensano di conoscere Dio, Gesù replica: “Non lo conoscete” (Gv 8,54). E non lo conoscono perché, malgrado le apparenze, le preghiere e i culti, rifiutano il fratello, e chi ri-fiuta il fratello non ama Dio, è un assassino (1 Gv 3,15).
In conclusione: la fede autentica è fede nel “Dio della vi-ta” e, per questo, è antiidolatrica, perché gli idolatri sono gli ingiusti, gli avidi, i perversi, quanti con il culto all’idolo che professano danno morte ad altri. Questa morte degli altri mostra la malvagità oggettiva degli idoli e la loro inutilità salvifica.
La posizione cristiana rispetto all’attuale potere imperiale idolatrato
Oggi conosciamo fin troppo bene come è ripartito il potere e in che direzione sta operando. Sono le multinazionali e i grandi centri di potere finanziario quelli che, inseriti nelle istanze del potere politico e degli Stati, dominano la società in linea con la loro filosofia e i loro interessi.
Tutti conoscono i postulati di base del neoliberismo e come, nella pratica, questi vengano attuati al fine di raggiungere i propri obiettivi. Si produce molto, fino al punto che si potrebbero soddisfare le necessità fondamentali di tutta l’umanità e ottenere anche un surplus del 10%. Ma quanto è prodotto viene ripartito in maniera diseguale tra i destinatari. Al punto che solo una minoranza si appropria di ciò che spetterebbe alla maggioranza. La minoranza si arricchisce, diventa opulenta, ipersviluppata, consumista e la maggioranza manca dei beni fondamentali per vivere dignitosamente.
Questa situazione di disuguaglianza non è casuale ma causale: è prodotta da persone, gruppi, organismi e istituzioni che, secondo il modello e i meccanismi propri di un’e-conomia neoliberista, si arricchiscono e impoveriscono, do-minano e creano dominati, promuovono il privilegio, il lusso, la discriminazione, lo stile di vita sontuoso di una minoranza a scapito dei diritti essenziali della maggioranza. È un clamoroso disordine che non ha altro fondamento che l’e-goismo e la legge del più forte. (...).
La grande crisi attuale riguarda il mondo intero, ma, al momento di scoprine le cause e di proporre soluzioni, solo il Gruppo dei 20 - che rappresenta il 60% dell’umanità - interviene e ha potere decisionale, mentre il restante 40% resta senza voce e senza potere. Le vittime, quelle che hanno sperimentato l’avidità predatrice dell’Occidente, quelle che sono state utilizzate come fonte di un benessere e di un progresso di cui si va fieri, quelle che più hanno subìto gli effetti della crisi, non contano.
Sono innumerevoli le situazioni ingiuste di questa nostra società. Non le enumereremo. Ma sottolineiamo che, di fronte ad esse, chi vuole essere discepolo di Gesù deve necessariamente soddisfare alcuni requisiti:
1. percepire e analizzare la gravità, la portata, le conseguenze e le cause di queste situazioni di ingiustizia. (...).
2. Provare indignazione, protestare e ribellarsi di fronte a queste situazioni. L’indifferenza lo screditerebbe automaticamente e gli negherebbe il diritto a essere discepolo: “Perché mi chiamate: Signore, Signore, e poi non fate ciò che dico?” (Lc 6,46). “Che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, vi dico, e più che un profeta” (Lc 7,25-27). “Mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 8,21). “Fa’ questo (ama il prossimo tuo come te stesso) e vivrai” (Lc 10,28). “Va’ e fa’ lo stesso (abbi cura dell’uomo che fu spogliato, percosso e lasciato quasi senza vita)” (Lc 10,37).
3. Determinare i passi, i mezzi e le strategie più efficaci per eliminare le ingiustizie. In questo senso, il cristiano non sembra dotato di un arsenale specifico per questa lotta; deve cercarlo, elaborarlo e coordinarlo con quanti, a partire da questa o da quella ideologia, credenti o meno, si propongano di creare una società nuova, in cui si riconoscano uguale dignità e diritti a tutti. (...).
4. Il cristiano, fedele in tutto alla dignità e al rispetto dei diritti umani, si riserva come promessa inconfutabile la speranza che la sua lotta, fruttuosa o meno nell’immediato, si compia nella pienezza della resurrezione di Gesù: Egli, pervaso di passione per i poveri e per la giustizia, imbevuto della convinzione dell’essenziale uguaglianza di tutti, non si ritirò a vivere nello spazio di una solitudine rassegnata o fatalista, ma si vide ‘forzato’ a vivere nella libertà e nel coraggio della profezia.
Per cui, agli occhi dei suoi nemici (gli agenti del potere-dominio) fu un illuso e un fallito, ma agli occhi della storia e della coscienza umana, un uomo completo. E, agli occhi di Dio, il paradigma di una nuova umanità che non conosca la corruzione della morte.
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