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Da De gasperi a palazzo Grazioli

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 75 del 04/07/2009

Alcide De Gasperi «fu autonomo e responsabile nelle sue scelte politiche, senza servirsi della Chiesa per fini politici e senza mai scendere a compromessi con la sua retta coscienza… Formato alla scuola del Vangelo, egli fu capace di tradurre in atti concreti e coerenti la fede che professava».

La sua “indiscussa fedeltà ai valori umani e cristiani” è stata ricordata da Benedetto XVI proprio nei giorni in cui emergono gravi interrogativi di carattere morale che riguardano i vertici del governo italiano. Certo qualcuno ha ricordato che lo stesso De Gasperi seppe dire di no a Pio XII che voleva un’alleanza tra la Dc e la destra monarchica e fascista in funzione anticomunista; e da allora il Papa si rifiutò di riceverlo in udienza persino in occasione del cinquantesimo anniversario di matrimonio e della professione solenne della figlia suora.

La coerenza e il rigore morale di De Gasperi rifulgono tanto più in questa stagione di atei devoti e di family day affollati di gente che non ha famiglia e ne ha troppe; e induce a domandarsi come e perché si sia sviluppato il degrado morale che riempie oggi le pagine dei giornali.

Quel che sorprende non è soltanto che certi fatti avvengano, ma che siano circondati da un’aura di impunità, e che molti cittadini non se ne scandalizzino affatto. Forse ha ragione l’arcivescovo Carlo Ghidelli che nella sua bella intervista al Corriere della Sera del 21 giugno affermava: «Ho qualche dubbio sul fatto che la gente sia turbata. Temo che pure fra la nostra gente vacilli il sostegno di un giudizio etico forte, sicuro. Viviamo in una società nella quale è bravo chi ha fatto i soldi, ha successo, sa attrarre l’attenzione degli altri. Magari c’è chi pensa: beato lui che è diventato ricco, che ha fatto carriera, eccetera. Questi sono gli pseudovalori su cui si giudica. Ho paura che la gente non si scandalizzi. E non vorrei si pensasse a una Chiesa connivente».

Certo la Chiesa è stata presa un po’ in contropiede. La parte più visibile e potente di essa aveva investito sul centrodestra, ripetendo e aggravando l’antico errore che Scoppola riassumeva così: la Chiesa era tutta impegnata a combattere contro materialismo e comunismo e intanto non si accorgeva che un nemico più subdolo, il secolarismo consumista, ancor più materialista, arrivava alle spalle e vinceva quasi senza combattere. E infatti, come scrive Franco Monaco su questo stesso giornale, la gerarchia, salvo eccezioni, è stata assai “diplomatica” e “prudente” sulla vicenda che coinvolge Berlusconi e il suo entourage. Qualcuno potrebbe dire connivente.

Molto meglio hanno fatto commentatori “laici” di alto livello come Gad Lerner (Repubblica 20 giugno), Edmondo Berselli (Repubblica 23 giugno), Barbara Spinellli (La Stampa 23 giugno); e, anche sollecitato dai lettori del settimanale, don Antonio Sciortino su Famiglia Cristiana.

Ma la cosa più importante non è tanto la durezza dei toni di condanna quanto la volontà di cogliere l’occasione per fare un vero esame di coscienza. Conviene domandarsi come e perché ciò sia potuto accadere; come è successo che da De Gasperi, Lazzati, Berlinguer, Moro siamo passati a palazzo Grazioli; e soprattutto perché la reazione di tante persone, anche “cattoliche”, sia stata così leggera, distratta, ai limiti della connivenza o dell’invidia.

Forse converrebbe domandarsi se negli anni recenti la chiesa italiana non abbia fatto troppa politica, troppa organizzazione esteriore, troppi interventi sulle istituzioni, le leggi, i bilanci… e poca educazione delle coscienze: educazione alla libertà, alla legalità e alla responsabilità. Troppe parole e poca testimonianza di coerenza e di rigore. Mi sembra che dovremmo meditare sulle parole con le quali il cardinale Dionigi Tettamanzi aveva aperto il convegno ecclesiale di Verona, parole che non erano piaciute a tutti, ma che portavano il segno della sapienza dei Padri: “Meglio essere cristiani senza dirlo che proclamarlo senza esserlo”. (ab)


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