NEL NOME DI TUTTE LE VITTIME
Tratto da: Adista Documenti n° 124 del 05/12/2009
Signor presidente di El Salvador,
a vent’anni dall’assassinio dei nostri fratelli gesuiti, e di Elba e Celina, questa è la prima volta che un governo del nostro Paese riconosce pubblicamente e ufficialmente il valore e la dignità di questo gruppo di accademici e uomini di fede e i servizi da essi prestati a El Salvador. Uomini generosi che in epoche tragiche di sconvolgimento sociale posero il loro elevato pensiero e la loro generosità al servizio della pace con giustizia nelle nostre terre.
Di fronte a tale riconoscimento, non possiamo non ringraziarla profondamente. La vera riconciliazione di El Salvador, iniziata con gli Accordi di Pace, deve essere approfondita in molti modi, uno dei quali è proprio il riconoscimento della dignità delle vittime. Anziani, bambini, donne incinte, preti e religiosi che servivano generosamente i più poveri sono stati perseguitati, colpiti e assassinati senza altra ragione che la solidarietà da loro espressa alle vittime dell’ingiustizia o il loro semplice trovarsi in zone di conflitto. Riconoscere la dignità di queste persone è indispensabile per la coesione e lo sviluppo armonioso del nostro Paese. Perché nessun gruppo umano può raggiungere la propria interezza dimenticando le sofferenze del passato e rimuovendo dalla propria storia le vittime innocenti dei propri processi sociali.
I gesuiti che oggi celebriamo e che lei onora con questo importante riconoscimento sapevano molto bene che non si poteva ricostruire El Salvador senza fissare lo sguardo sulla grande moltitudine di vittime prodotte dalla guerra civile. Ed erano proprio queste vittime, nelle quali vedevano il volto di Gesù crocifisso, che li spingevano a difendere i diritti umani e a moltiplicare gli sforzi perché si giungesse a un negoziato tra le parti in conflitto che ponesse fine alla guerra. La difesa delle vittime ha reso anche loro vittime. Ma la loro morte, unita a quella di Elba e Celina, e a quella di tante persone semplici come loro, si è trasformata in un clamore per la pace capace di superare la brutalità della guerra, particolarmente evidente in quei giorni di conflitto che infuriava nella capitale della Repubblica. Se l’assassinio di mons. Romero era stato il segno dell’inizio della guerra civile, perché nella sua persona si era tentato di distruggere la misericordia e le ragioni della pace che egli rappresentava, il massacro dei gesuiti e delle loro due collaboratrici ha aperto le porte alla pace, mostrando come la distruzione delle ragioni della solidarietà conducesse unicamente alla follia.
A nostro giudizio, il sacrificio di questi grandi religiosi e potenti intellettuali, unito a quello di tanti altri meno noti, gli impoveriti ed esclusi della nostra storia, rappresentati dal coraggio della donna forte in Elba, e dall’innocenza in fiore di Celina, ha avuto ai fini dell’accelerazione del processo di pace un impatto maggiore che la situazione di stallo brutale riflessa dall’offensiva. In questo senso, pensiamo anche che la pace sia merito più delle vittime innocenti e dei martiri che le rappresentavano che di coloro che hanno firmato gli Accordi di Pace, per quanto sia necessario ringraziare anche questi ultimi per i loro sforzi.
Ci sembra allora fondamentale in termini di sviluppo umano di El Salvador che lo Stato dia questi segnali simbolici di riconoscimento. La società civile ha già fatto la sua parte, anticipando di molto le iniziative dello Stato, e, naturalmente, continuerà a farla. Signor presidente, anche lei, come parte attiva della società civile nel suo recente passato di giornalista, ha contribuito generosamente ed efficacemente a diffondere la coscienza della dignità delle vittime. A volte è stato denigrato per questo, ma si è anche guadagnato la simpatia delle persone oneste di El Salvador, che vogliono il riconoscimento e il giusto risarcimento per i loro sacrifici e il loro dolore. Queste persone che alla fine l’hanno condotta al posto in cui si trova ora.
Siamo allora certi che questi segnali non si limiteranno ai gesuiti o a mons. Romero, simbolo chiarissimo di quanto di meglio ha saputo esprimere El Salvador, e a cui lei ha reso onore fin dai primi momenti della sua elezione presidenziale. I bambini e le bambine di El Mozote, gli anziani del Sumpul, le donne di La Quesera (alcuni dei più orrendi massacri compiuti dall’esercito durante la guerra civile, ndt), i tantissimi salvadoregni degni, buoni, operosi, vittime della follia, continuano ad invocare di fronte al Signore, nel suo Regno, tanto in terra come in cielo, il loro mai più guerra, mai più odio, mai più violenza. È giusto onorarli qui nella città terrena come il Signore li onora nella sua Gerusalemme celeste. E farà bene, signor presidente, a portare avanti il nobile impegno di riconoscere il valore delle vittime. È, tra altre cose, un cammino indispensabile per una vera riconciliazione salvadoregna.
Conti su di noi per promuovere questo lavoro a favore della verità, della giustizia e del risarcimento alle vittime e di uno sviluppo giusto ed equo che renda impossibile un nuovo ricorso alla violenza per risolvere i problemi e i conflitti che possano sorgere nella nostra società
Signor presidente, rendendo onore a tutte le vittime del passato, sepolte fino a poco tempo fa sotto l’insidiosa consegna del perdono e dell’oblio, lei onora anche se stesso. Che Dio le dia la forza nel compito di costruire una società senza vittime dell’ingiustizia sociale.
Con tutto il cuore, grazie.
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