Nessun articolo nel carrello

DIETRO IL DISASTRO NATURALE, TANTE COLPE UMANE. RIFLESSIONI SUL TERREMOTO DI HAITI

Tratto da: Adista Documenti n° 11 del 06/02/2010

DOC-2234. PORT-AU-PRINCE-ADISTA. Dov’era Dio, mentre il terremoto devastava un Paese già poverissimo? È l’eterno grido di fronte al dolore: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, l’unica preghiera possibile, sottolinea il teologo Juan Masiá, “di fronte al silenzio di Dio dinanzi al male”. È una prospettiva diversa, spiega il teologo spagnolo, da quella di “chi presume di sapere il perché del male”, riconducendolo a Dio - “Dio lo ha permesso” -; una prospettiva teologica secondo cui, al contrario, “Dio non può volerlo, né permetterlo per nessuna ragione”, per cui non resta che riconoscere la propria incapacità di capire: “Non so perché avviene tutto quello che sta avvenendo, ma il Dio in cui credo, invece di rispondere alla mia domanda su dove stava quando ha tremato la terra, mi sfida a chiedermi dove ero io prima che tremasse, quando ha tremato e dopo aver tremato (...). E mi dà la forza per liberarmi dalla mia mancanza di solidarietà e liberare anche altri dal male, malgrado tutto”.

Dov’era, dunque, l’essere umano, mentre Haiti sprofondava in un “inferno sociale”? Basta un rapido cenno alla storia dell’isola per capire come mai un terremoto della stessa intensità, se fosse avvenuto in Giappone, non avrebbe probabilmente ucciso nessuno (non a caso, i quartieri ricchi di Port-au-Prince hanno subito danni di gran lunga inferiori o, addirittura, non hanno subito proprio danni).

Quando la rivolta degli schiavi haitiani portò, nel 1804, alla conquista dell’indipendenza dalla Francia, gli Stati Uniti, temendo che l’esempio fosse contagioso, si rifiutarono di riconoscere (e così continuarono per altri 60 anni) il primo Paese libero del continente. Haiti pagò a caro prezzo la sua rivoluzione, prima con l’embargo imposto da Francia e Stati Uniti fino al 1863 e poi con il pagamento alla Francia, sotto minaccia di invasione militare, di un indennizzo di 150 milioni di franchi (quasi il doppio di quanto incassato dai francesi dalla cessione agli Usa di tutto il territorio della Luisiana). Ma neanche questo risparmiò l’isola dall’invasione straniera. Gli Stati Uniti, infatti, occuparono Haiti nel 1915 e lì restarono, dissanguandone l’economia, fino al 1934. Poi, dal 1957 al 1986, il Paese visse sotto la dittatura dei Duvalier, “Papa Doc” e “Baby Doc”, appoggiati dagli Stati Uniti economicamente e militarmente. Le forze democratiche ebbero la meglio nel 1990, con l’elezio-ne di un carismatico sacerdote vicino alla Teologia della Liberazione, Jean Bertrand Aristide. Ma i militari, guidati dal generale Raoul Cedras, e ancora una volta sostenuti dagli Stati Uniti, impiegarono meno di un anno a liberarsene. Quando finalmente poté far ritorno, alla fine del 1993, aveva ormai le mani legate: “Gli diedero il permesso di recuperare il governo – ha sottolineato lo scrittore uruguayano Eduardo Galeano – ma gli proibirono di esercitare il potere” (finché non è stato nuovamente rovesciato da un colpo di Stato nel 2004). Il suo successore, René Préval, “ottenne – prosegue Galeano – quasi il 90% dei voti, ma qualunque funzionario di quarta categoria del Fondo Monetario o della Banca Mondiale, per quanto nessun haitiano lo abbia votato, ha più potere di lui. Più che il voto, può il veto. Il veto alle riforme”.

A fare le spese della liberalizzazione dei mercati imposta da Fmi e Banca Mondiale è stata in primo luogo l’agricoltura, annientata dall’invasione del riso e dello zucchero statunitensi, massicciamente sussidiati. Così, come scrive il frate carmelitano brasiliano Gilvander Moreira, “se nel 1970, Haiti produceva il 90% degli alimenti che consumava, oggi ne importa il 55%”. E chi è stato costretto a lasciare i campi è finito a lavorare, per meno di due dollari al giorno, nelle industrie maquiladoras, fabbriche specializzate nella produzione di manufatti per l’esportazione, diretti verso il mercato statunitense.

Di seguito gli interventi di Frei Gilvander Moreira (in una nostra traduzione dal portoghese) e dei teologi spagnoli José María Castillo e Juan Masiá (tratti da Redes Cristianas il 19/1 e tradotti dallo spagnolo). (claudia fanti)

Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.

Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!

Condividi questo articolo:
  • Chi Siamo

    Adista è un settimanale di informazione indipendente su mondo cattolico e realtà religioso. Ogni settimana pubblica due fascicoli: uno di notizie ed un secondo di documentazione che si alterna ad uno di approfondimento e di riflessione. All'offerta cartacea è affiancato un servizio di informazione quotidiana con il sito Adista.it.

    leggi tutto...

  • Contattaci

  • Seguici

  • Sito conforme a WCAG 2.0 livello A

    Level A conformance,
			     W3C WAI Web Content Accessibility Guidelines 2.0

50 anni e oltre

Adista è... ancora più Adista!

A partire dal 2018 Adista ha implementato la sua informazione online. Da allora, ogni giorno sul nostro sito vengono infatti pubblicate nuove notizie e adista.it è ormai diventato a tutti gli effetti un giornale online con tanti contenuti in più oltre alle notizie, ai documenti, agli approfondimenti presenti nelle edizioni cartacee.

Tutto questo... gratis e totalmente disponibile sia per i lettori della rivista che per i visitatori del sito.