DECRETO SALVA-LISTE: “AVVENIRE” CON IL GOVERNO. LA CHIESA DI BASE CON LA COSTITUZIONE
Tratto da: Adista Notizie n° 23 del 20/03/2010
35493. ROMA-ADISTA. Una “vicenda a metà strada fra disprezzo delle regole e farsa”: così l’ha definita Massimo Franco sul Corriere della Sera (9/3). Ed è difficile dare torto all’editorialista del primo quotidiano italiano riportando alla memoria le varie tappe dell’odissea politico-giudiziaria che ha completamente monopolizzato la campagna elettorale delle imminenti elezioni regionali. Alla fine il decreto d’urgenza con il quale il governo intendeva risolvere la questione – incurante delle critiche di chi sottolineava come le regole non possono essere cambiate in corsa – non è servito a nulla: le liste personali di Roberto Formigoni in Lombardia e di Renata Polverini nel Lazio sono state riammesse comunque dalla magistratura dopo i ricorsi, mentre l’esclusione della lista del Pdl in provincia di Roma è stata confermata dal Tar del Lazio. Il decreto “non è applicabile”, ha spiegato il presidente del tribunale Eduardo Pugliese, “perché la materia elettorale è disciplinata da legge regionale”.
Nonostante l’esito della sentenza fosse tutt’altro che imprevedibile, Silvio Berlusconi ha voluto a tutti i costi tentare la forzatura: lungi dal riconoscere le responsabilità dei suoi nel “pasticciaccio” delle liste, il premier ha caricato a testa bassa contro il “complotto” di chi vuole “impedire a milioni di persone di votare Popolo della Libertà”.
Nella sua campagna di delegittimazione di tutti coloro che lo richiamavano al rispetto delle regole e delle procedure, il premier ha trovato un alleato assai determinato: il quotidiano dei vescovi Avvenire. Inizialmente Avvenire era intervenuto sulla vicenda con un editoriale molto equilibrato firmato da Sergio Soave (4/3). “Tutti dovrebbero sperare”, aveva scritto Soave, “che il confronto elettorale avvenga alla fine tra schieramenti in grado di scendere in campo e di confrontarsi con tutti i candidati che hanno scelto, ma se ciò non accadesse è chiaro che la responsabilità sarebbe di chi ha commesso errori e affastellato pasticci e improvvisazioni, non di chi ha deciso di sanzionarli con rigore”. Il 6 marzo, però, il quotidiano dei vescovi pubblicava un articolo di tutt’altro tono che avrebbe dettato la linea sulla vicenda anche nei gironi successivi: “Di fronte ad argomenti sostanziali”, scriveva Giovanni Grasso, “come quello del diritto fondamentale del popolo di scegliere i propri rappresentanti, ripetere ossessivamente ad alta voce il mantra del rispetto formale delle regole appare un esercizio interessato, che verrebbe sicuramente frainteso da larghi strati dell’opinione pubblica. E al quale mai come stavolta si potrebbe rispondere con l’intramontabile detto latino summum ius, summa iniuria”. Il giorno dopo Marina Corradi affidava ad un fantasioso “diario di un elettore” alcuni interrogativi maliziosi; come ad esempio: “Tanto rigido ossequio della legge non nasconde invece la speranza, in alcuni, di mettere fuori gioco un avversario detestato prima ancora che inizi la partita?”.
Secondo Francesco D’Agostino, intervenuto sempre su Avvenire il 9 marzo, “il vero valore, il valore ultimo del diritto non è il rispetto delle forme, ma la giustizia: e giustizia vuole che in una competizione elettorale gli elettori di un partito radicato e a vocazione maggioritaria nel Paese non possano essere esclusi dal voto”. “Il formalista questo non lo capisce”, aveva aggiunto il presidente emerito del Comitato Nazionale di Bioetica: “Per lui l’applicazione rigorosa delle regole è comunque doverosa, anche se da esse dovesse derivare l’impossibilità di giocare. Questo è il paradosso eterno del formalismo in tutte le sue varianti (dal fariseismo al legalismo): per i formalisti l’amore delle norme è tale, che non esitano a chiudere gli occhi davanti alla realtà”. Sulla stessa edizione Marco Tarquinio rispondeva alle lettere di alcuni lettori in merito alla vicenda delle liste: “L’importante”, scriveva il direttore di Avvenire, “è che non si vada, per cause formali, a inimmaginabili elezioni dimezzate in due regioni come il Lazio e la Lombardia. L’importante è che gli elettori, prima di tutto loro, siano messi in condizione, esercitando pienamente il diritto di voto, di giudicare la qualità (anche organizzativa) delle liste che si propongono in questa grande tornata amministrativa”.
I cattolici oltre l’Avvenire
Di diverso avviso mons. Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo e presidente del Consiglio per gli Affari Giuridici della Cei. Lo scorso 7 marzo infatti mons. Mogavero dichiarava alla Radio Vaticana: “Cambiare le regole del gioco mentre il gioco è già in atto è altamente scorretto, perché si legittima ogni intervento arbitrario con la motivazione che ragioni più o meno intrinseche o pertinenti mettono in gioco il valore della partecipazione”. “In democrazia non si può fare una distinzione fra ciò che sono le regole e quello che è il bene sostanziale. Le regole non sono un aspetto accidentale del vivere insieme, ma quelle che dettano il binario attraverso cui incamminarci. La democrazia è una realtà fragile che ha bisogno di essere sostenuta e accompagnata da norme, da regole, perché altrimenti non riusciamo più ad orientarci e se dovesse essere frutto dell’arbitrio di qualcuno o improvvisata ogni giorno mancherebbe certezza del diritto”. Poche ore dopo però il portavoce della Cei Domenico Pompili precisava che “le questioni di procedura elettorale hanno natura squisitamente tecnico-giuridica ed hanno assunto nelle vicende degli ultimi giorni ricadute di tipo politico e istituzionale. Considerata questa connotazione”, ha aggiunto a scanso di equivoci mons. Pompili, “la Cei non ha espresso e non ritiene di dover esprimere valutazioni al riguardo”.
Una precisazione che non è piaciuta a don Rosario Giuè, prete antimafia ed ex parroco di Brancaccio, a Palermo. “Mons. Mogavero”, ha scritto il sacerdote sulle pagine palermitane della Repubblica (9/3) “ha voluto legittimamente assumersi la sua responsabilità di cittadino democratico e di vescovo conciliare in un momento difficile per il bene del Paese. Non si può fare questo? La repentina presa di distanza della Cei rischia di dare l’impressione che il documento da poco pubblicato, ‘Per un Paese solidale, Chiesa italiana e Mezzogiorno’, possa rimanere solo qualcosa di retorico. Non si può dire che l’arroganza di qualcuno non fa crescere ‘un Paese solidale’? E dirlo quando è necessario, senza parlare la sera alla luna?”. “Sarebbe bello”, ha concluso don Giuè, “se anche altri vescovi siciliani si muovessero così decisamente, come mons. Mogavero, per difendere la democrazia come casa di tutti e di tutte in occasioni simili”.
Molto deciso è stato anche l’intervento della Commissione italiana domenicana di Giustizia Pace e Creato: “Noi frati, monache, laici e suore”, si legge in un comunicato diffuso lo scorso 7 marzo, “prendiamo posizione in difesa dello Stato democratico e di diritto, che vediamo gravemente minacciato da una serie di provvedimenti legislativi, in cui si inserisce, da ultimo, il decreto legge interpretativo cosiddetto salva liste. In particolare, critichiamo la previsione dell'articolo 1 del citato decreto, che dà preminenza ai diritti dell'elettorato rispetto alle formalità. Invero derubricare a mere formalità le norme sulle modalità e i termini di presentazione delle liste elettorali - peraltro a tutti note - significa anzitutto togliere peso al rispetto delle regole del gioco, cambiandole mentre il gioco stesso si svolge”.
Su Famiglia Cristiana (11/2010) è apparso un editoriale firmato da Beppe Del Colle in cui si legge: il decreto salvaliste “ha portato alla luce il tormento della vita politica italiana dopo la discesa in campo del Cavaliere: il costante rifiuto delle leggi che non servano i suoi interessi personali, imprenditoriali o politici che siano”.
Più di “sistema” la riflessione con la quale i Comitati Dossetti per la Costituzione hanno aderito alla manifestazione delle opposizioni del 13 marzo: “Da molto tempo nel nostro Paese è in atto una vera e propria emergenza democratica”, è la tesi dei Comitati; “il fatto che l’attuale crisi sia esplosa in periodo elettorale attorno alla necessità di risolvere un problema di rappresentanza apertosi in due regioni per il maldestro comportamento di funzionari del partito di governo e per loro esclusiva responsabilità, richiama drammaticamente il fatto che una ben più grave lesione del principio di rappresentanza è in atto da anni nel nostro Paese, da quando è stato introdotto il sistema maggioritario e nelle leggi elettorali si è ricorso ad ogni artificio per trasformare gli eletti in delegati nominati dalle segreterie, per escludere dal Parlamento e dalle istituzioni forze sgradite ai partiti maggiori, per costringere le forze politiche ad innaturali alleanze, per stabilire soglie e sbarramenti distruttivi di aggregazioni e di idee, e per fuorviare la volontà popolare trasformando in schiaccianti maggioranze il primo arrivato anche per pochi voti nella corsa per la conquista del potere, ciò a cui ormai sono ridotte le elezioni”. “È di fronte al difetto di democraticità ‘sostanziale’”, hanno scritto ancora i Comitati Dossetti, “di un sistema politico organizzato per mortificare il Parlamento, ridurre il pluralismo, escludere milioni di elettori dalla rappresentanza e distogliere i cittadini dal concorrere a determinare la politica nazionale, che diventa inaccettabile l’arbitrio con cui il governo ha preteso risolvere un suo problema di rappresentanza riguardante solo la sua parte politica e insorto per colpa sua”. (e. c.)
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