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SE L'IMMAGINE DI DIO È "IN ESPANSIONE". DALLA NUOVA COSMOLOGIA UN NUOVO "RACCONTO SACRO" PER L'UMANITÀ

Tratto da: Adista Documenti n° 29 del 03/04/2010

DOC-2251. ROMA-ADISTA. Non c’è stato alcun peccato originale, ma, al contrario, una “benedizione originale”. È quanto ci insegna quel “nuovo racconto sacro” trasmesso all’umanità dalla nuova cosmologia, “una nuova rivelazione” che obbliga le religioni a una radicale “riconversione ecologica”. Proprio al rapporto tra ecologia e religione è dedicato il numero collettivo pubblicato da tredici riviste latinoamericane - Christus (Messico), Voces del Tiempo (Guatemala), Alternativas (Nicaragua), Amigo del Hogar (R. Dominicana), La Antigua (Panama), Vínculum (Colombia), Páginas (Perù), REB e Perspectiva (Brasil), Tiempo Latinoamericano (Argentina), Acción (Paraguay), OBSUR (Uruguay) e Pastoral Popular (Cile), oltre al bollettino web Ecodes - per iniziativa della Commissione Teologica Internazionale dell’Associazione ecumenica dei teologi e delle teologhe del Terzo Mondo (Asett o Eatwot; www.comision.teologica.latinoamericana.org).

 

Siamo natura

Che tale - e sempre più obbligato - rapporto sia tutt’altro che scontato, basta a dimostrarlo il fatto che, come si legge nella Presentazione al numero del religioso claretiano José María Vigil, coordinatore della Commissione Teologica dell’Asett, non sono state le religioni a lanciare l’allarme sull’emergenza ambientale, né a porsi in prima linea nella lotta contro il riscaldamento climatico, né a mettere in guardia sui pericoli già evidenti di un’economia centrata sul carbonio: “le religioni sembrano essere molto occupate in altre cose, ‘nel loro mondo’, nelle loro questioni religiose”. Eppure la loro responsabilità nell’attuale crisi è molto più profonda di quanto potrebbe apparire: se infatti la causa maggiore del disastro va individuata nel modello di civiltà che lo ha reso possibile, si scopre facilmente e fatalmente che il paradigma centrale che si nasconde dietro le pratiche predatorie secolari che hanno distrutto il pianeta “è stato costruito e veicolato, di generazione in generazione, per millenni, dalla religione”. Quella religione occidentale che ci ha reso “a-naturali” alienandoci dalla natura per collocarci su un piano radicalmente altro, quello della Storia della salvezza in cui la natura non gioca alcun ruolo, e “anti-naturali”, convinti della necessità di fuggire dal mondo e di andare oltre la materia “per divinizzarci”.

E se, come diceva Einstein, “un problema non può essere risolto con un rimedio derivato dalla stessa mentalità che ha causato il problema”, solo cambiando modello di civiltà, e dunque, necessariamente, riconsiderando la relazione della religione con il cosmo e con la natura, sarà possibile individuare soluzioni alla crisi attuale. Da qui la straordinaria importanza del “nuovo racconto sacro” trasmesso dalla nuova cosmologia, di fronte a cui le religioni sono obbligate a riconsiderare il loro antico racconto - piccolo e pallido rispetto alla grandiosa, inesauribile narrazione cosmica - riformulando radicalmente il loro capitale simbolico. Il contenuto della nuova “rivelazione” non potrebbe essere più rivoluzionario, comunicandoci la visione di un universo in movimento totale e continuo, in espansione e in evoluzione - non un cosmo retto da leggi eterne e immutabili ma “una cosmogenesi che si dispiega da dentro”, come un fiore o un embrione -, di un universo che si auto-organizza a partire dal caos, “un tutto che è maggiore delle sue parti e che è in ogni parte”, assumendo coerenza di comportamento “a partire da componenti che presentano un’incoerenza iniziale”, orientato verso la vita, la complessità, la coscienza. Un universo in cui tutto il lungo cammino a partire dal big bang sembra tendere alla comparsa dell’essere umano ( “non è solo l’essere umano che è adattato all’Universo - sostiene il cosmologo John Barrow -. Anche l’Universo è adattato all’essere umano”), come se esso ‘desiderasse’ l’apparizione dell’umano: “Era necessario che la vita e il pensiero fossero inscritti nelle potenzialità dell’Universo primitivo”, sottolinea l’astrofisico Hubert Reeves. E il poeta Ernesto Cardenal si interroga: “Quale Premio Nobel ci spiegherà perché stiamo in un Universo che ha imparato a pensare?”. 

 

Una diversa immagine di Dio

Una visione del mondo tanto diversa da quella che ci hanno trasmesso le religioni porta naturalmente con sé anche immagini radicalmente diverse della natura, dell’essere umano, di Dio. Così, evidenzia José María Vigil nel suo intervento, non può più risultare credibile “una definizione religiosa negativa della materia e di tutto ciò che si relaziona ad essa”, per cui non di “peccato originale” si deve parlare ma di “benedizione originale”. Né si può considerare questa vita “solo un’illusione passeggera, una ‘prova’, in funzione dell’altra vita, quella vera e definitiva, quella oltre la morte, a cui un Creatore ci avrebbe destinato”: “Le religioni di ‘salvezza eterna’ - sottolinea il teologo - devono con urgenza dare nuovamente ragione di sé nel contesto mentale attuale”. Allo stesso modo, non è più possibile accettare che l’essere umano venga “da sopra, né da fuori, ma da dentro e dal basso, dalla Terra, dal Cosmo”, come “il fiore dell’evoluzione cosmica”. Ancora, non possiamo più considerarci i “padroni della creazione”, bensì una specie tra tante, “per quanto l’unica capace di assumere responsabilità”; né possiamo credere di vivere separati dalla Natura, “ingiustificatamente auto-esiliati dalla nostra placenta”, essendo noi non soprannaturali, “ma molto naturali”: “Siamo Natura, Terra che sente, che pensa e ama, materia che in noi giunge alla riflessione”, scrive Vigil; quando guardiamo le stelle, siamo idrogeno che contempla idrogeno, ci ricorda Cardenal nel suo Canto Cosmico.

E una visione così radicalmente mutata della realtà non permette più, sottolinea Vigil, nemmeno “di immaginare un Dio che sta fuori, che sta sopra, in un ‘secondo piano superiore’ da cui dipenderebbe il nostro”, perché non ha più senso parlare di un “fuori” e di un “sopra” rispetto al cosmo. È qui che entra in gioco, secondo Guillermo Kerber, coordinatore del Programma sul Cambiamento Climatico del Consiglio Mondiale delle Chiese a Ginevra, la categoria della trasparenza divina, definita anche panenteismo: Dio in tutto e tutto in Dio. Una visione “in cui la creazione e i suoi processi sono in qualche modo ‘in’ Dio, malgrado Dio sia più della creazione”.

Ha ragione dunque Manuel Gonzalo ad affermare, nel suo intervento, che “anche la nostra immagine di Dio è in ‘espansione’. La moderna cosmologia esige una teologia attualizzata. Questo cambiamento sta già conducendo a uno sviluppo delle capacità di ammirazione e di ascolto di fronte all’Universo, verso atteggiamenti più contemplativi, verso responsabilità nuove nei confronti del pianeta e della vita in esso, verso la comprensione di un Dio dinamico che ama il mondo”. Atteggiamenti di rispetto, venerazione, comunione (“nelle stelle siamo fratelli di tutto”), adorazione (“tutto è una grande liturgia cosmica”) e conquista di una nuova identità (“la storia dell’Universo si rivela come parte della nostra stessa storia. Non abbiamo 20, 40 o 70 anni. Ciascuno ha 15 miliardi di anni.”). “Senza alcun dubbio - conclude - oggi nella coscienza ecologica sta soffiando lo Spirito di Dio. È un invito a porci in maniera diversa nell’Universo e a prendere sul serio la responsabilità che abbiamo nei confronti della creazione”.

Di seguito, in una nostra traduzione dallo spagnolo, alcuni stralci dell’intervento introduttivo della Commissione Teologica Latinoamericana dell’Asett e degli articoli di Kerber e di Gonzalo (il numero ospita anche gli interventi di Leonardo Boff, Faustino Texeira, Giannino Piana e Luis Diego Cascante, oltre che di José Maria Vigil). (claudia fanti)

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