NO ALLA LEGGE BAVAGLIO. ANCHE I SETTIMANALI DIOCESANI CONTRO IL DDL INTERCETTAZIONI
Tratto da: Adista Notizie n° 48 del 12/06/2010
35637. ROMA-ADISTA. Da un lato si restringe drasticamente la possibilità di effettuare intercettazioni nel corso delle indagini; dall’altro vieta ai giornali – pena sanzioni severissime – non solo di pubblicare le registrazioni, ma anche di dare notizia di un’inchiesta fino all’udienza preliminare o al rinvio a giudizio delle persone implicate. È, in sostanza, il senso del disegno di legge presentato dal governo in materia di intercettazioni telefoniche, attualmente in discussione al Senato. Se sarà approvato, il provvedimento introdurrà pesanti sanzioni economiche per gli editori, nonché sanzioni penali, ammende pecuniarie e sospensione dalla professione per i giornalisti che, facendo il loro "mestiere", dessero notizie ai propri lettori (o telespettatori) su importanti indagini in corso. Lungo e controverso è stato l’iter del ddl. Approvato all’unanimità dal Consiglio dei Ministri il 13 giugno 2008, il 30 giugno di quell’anno il testo venne presentato alla Camera, che lo approvò il 23 febbraio 2009 con 318 voti a favore, 224 contrari e 1 astenuto. Il 16 giugno 2009 il provvedimento arrivò in Senato. Attualmente è all’esame della Commissione Giustizia, in attesa di essere discusso dall’Aula di Palazzo Madama.
In molti, nelle scorse settimane, attraverso articoli, appelli, interventi pubblici, hanno ricordato come, se la legge fosse già in vigore, nulla si sarebbe saputo circa importanti procedimenti penali avviati dalla magistratura negli ultimi anni, come quelli sullo scandalo relativo ai grandi appalti (per esempio le indagini sui mondiali di nuoto del 2009 a Roma), o sulla morte di Stefano Cucchi, o su “Calciopoli”, o sulle imprese dei “furbetti del quartierino” (come la tentata scalata alla Rcs), o sugli appalti per il G8 alla Maddalena, sulla “cricca”, sul caso Scajola. Ma nemmeno le inchieste dei giornalisti free lance di Striscia la notizia, di Report, delle Iene, che entrano con telecamere nascoste nei cantieri, negli ospedali, negli studi professionali per documentare illeciti o abusi. E questo perché il ddl prevede che riprese del genere possano essere fatte solo dagli 007 o dai giornalisti professionisti.
Per difendere il diritto di conoscere, ma anche il diritto dovere dei giornalisti di divulgare, sono scesi in campo anche i settimanali diocesani, molti dei quali, nei giorni scorsi, sono intervenuti attraverso editoriali o articoli di commento per censurare unanimemente, con accenti diversi ma con identico spirito, un progetto di legge da tutti giudicato lesivo del diritto all’informazione e pericoloso per l’assetto giuridico e democratico del Paese.
Di seguito, una rassegna dei commenti. (valerio gigante)
Toscana Oggi (Firenze, 26/5), “Intercettazioni, un bavaglio alla verità”, Giuseppe Savagnone:
“L’opinione pubblica del nostro Paese, largamente anestetizzata da spettacoli di intrattenimento che non si sa se definire più superficiali o più volgari (contro quelli nessuna censura!), ha bisogno di uscire dal castello incantato delle apparenze e di riscoprire il gusto della verità. Non sono certo le sole intercettazioni che possono operare questo risveglio, ma proibirne la diffusione va esattamente nella direzione opposta all’esigenza di una più seria informazione e di una maggiore consapevolezza.
Perciò, accusare chi contesta il ddl governativo sulle intercettazioni di essere vittima del permissivismo sessantottino, per cui è «vietato vietare», e rivendicare, di contro, la legittimità delle proibizioni, come ha fatto qualcuno, individuando in questo il cuore del problema, è fuorviante. Nessuno ha negato o nega al Parlamento il diritto di fare leggi che limitino la libertà.
Il punto è che ci sono delle limitazioni che, impedendo di portare alla luce la realtà dei fatti e lasciando spazio al gioco selvaggio di illeciti interessi privati – e le cronache di questi ultimi mesi ci dicono quanto questo gioco sia pervasivo –, compromettono alla radice il perseguimento di quel bene comune che è, secondo la dottrina sociale della Chiesa, il fine della politica. Mai come in questi ultimi anni la dimensione etica del tessuto sociale e civile, nel nostro Paese, è stata minacciata. La risposta non può essere un minore, bensì un maggiore senso della verità. Questo, a nostro avviso, è il cuore del problema”.
La voce del popolo (Treviso, 28/5), “Un diritto in gioco”, Marco Deriu:
“Lasciamo agli analisti politici l’esame delle vere motivazioni del provvedimento in discussione in queste ore, in un momento in cui le cronache giornalistiche riportano quotidianamente le malefatte di molti esponenti della classe dirigente del nostro Paese, rese note proprio attraverso la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche raccolte dagli inquirenti. Per quanto riguarda specificamente i media, ci auguriamo una volta di più che prevalgano sempre e comunque il buon senso e la razionalità, prima e più ancora delle regole imposte. Senza dimenticare che la libertà di espressione è fondamentale e che una democrazia degna di questo nome si regge su una società costituita da cittadini ben informati su ciò che accade intorno a loro”.
La voce dei Berici (Vicenza, 30 maggio 2010), “Informazione e democrazia”, Gianluca Amadori:
“Una legge vergognosa, che ha il palese obiettivo di limitare il diritto dei cittadini ad essere informati per proteggere la ‘casta’ dei potenti di turno.
E urgenza non è la crisi economica, le aziende che chiudono e i posti di lavoro a rischio, le famiglie che non arrivano a fine mese. L’urgenza, per la maggioranza, è tappare la bocca ai giornalisti, per impedire loro di continuare a raccontare di ministri che si fanno regalare sontuosi appartamenti e di imprenditori che corrompono pubblici amministratori per aggiudicarsi appalti milionari. I cittadini non devono sapere. Devono accontentarsi delle soft news, che già oggi ‘intossicano’ i mezzi d'informazione, togliendo spazio alle notizie serie, alle inchieste, agli approfondimenti, con la complicità di troppi direttori ed editori che preferiscono i pettegolezzi all'informazione di qualità.
Noi giornalisti abbiamo ecceduto, pubblicando qualche intercettazione di troppo; coinvolgendo nelle cronache persone per la quali non vi era interesse pubblico. E su questo dobbiamo fare autocritica e fare in modo che ciò non accada più. Dunque è giusto mettere mano alla disciplina relativa alla pubblicabilità delle intercettazioni. Ma ciò non giustifica la censura che ora si vorrebbe imporre. E non si tratta di difendere un privilegio dei giornalisti: in ballo c’è un pezzo di democrazia”.
La vita del popolo (Treviso, 30/5) “Intercettazioni: Trasparenza e diritto di cronaca”, Stefano Zoccarato:
“È chiaro a tutti, dunque, che certa magistratura fa un uso distorto delle intercettazioni, gettandole come si fa con una rete a strascico e violando il principio costituzionale della segretezza delle comunicazioni e della corrispondenza. Tutto ciò, congiunto ad una stampa che è avida di indiscrezioni, specie quando sono piccanti, ha colpito al cuore la fiducia sull’utilità delle intercettazioni. Che invece sono uno strumento preziosissimo per combattere la criminalità che affligge il nostro Paese ben più della crisi economica.
Quello che purtroppo in pochi hanno messo in rilievo è il fatto che le distorsioni del sistema non derivano, se non in minima parte, dalla legge attuale. Che prevede già limiti ben precisi alle intercettazioni e tutela la segretezza della fase istruttoria delle indagini. Lo scontro in atto deriva piuttosto da un cortocircuito che si è creato tra la stampa, la magistratura e il potere politico. Quest’ultimo è sempre più restio a farsi giudicare con trasparenza dall’opinione pubblica, e considera la critica a viso aperto e l’attenzione della stampa ai propri comportamenti, anche personali, come un delitto di lesa maestà. La magistratura, per contro, non è in grado di concludere con la dovuta rapidità le inchieste, e a volte pecca di vigilanza rispetto alla fuga di notizie. La stampa, dal canto suo, sovente non è in grado di (o non vuole) distinguere tra il diritto di cronaca e il rispetto della persona e della sua facoltà di difendersi.
(...) Occorre, dunque, da una parte una seria assunzione di responsabilità e un approfondimento dei propri doveri professionali da parte della stampa. E dall’altra, una rinnovata disponibilità della classe politica a farsi giudicare liberamente dall’opinione pubblica. Perché un uomo politico deve assicurare al proprio elettorato un surplus di trasparenza, anche con riferimento ai propri comportamenti privati. Solo così, e non con leggi dannose e inutili, si potrà incominciare a superare la crisi della nostra democrazia”.
La voce misena (Senigallia, 27/5), “Notizie da conoscere”, senza firma:
“Se la legge fosse già in vigore, non si sarebbe saputo nulla dello scandalo dei grandi appalti, soltanto per citare l'ultimo argomento oggetto di attenzione giudiziaria e mediatica. Nemmeno si sarebbe saputo alcunché delle indagini sulla morte di Stefano Cucchi, di "Calciopoli" delle imprese dei "furbetti del quartierino" e di moltissime altre vicende che hanno risvolti giudiziari e anche sociali. E che, quindi, le persone hanno il diritto di conoscere, come i giornalisti hanno il diritto-dovere di divulgare se sono interessanti per la collettività. Interessanti e utili per una democrazia compiuta”.
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