LIVORNO: UNA COMUNITÀ PARROCCHIALE SI RIBELLA AL “SISTEMA FEUDALE” DELLA CHIESA. E RIVUOLE IL SUO PRETE
Tratto da: Adista Notizie n° 57 del 10/07/2010
35690. LIVORNO-ADISTA. Si può considerare normalità la supina accettazione da parte delle comunità ecclesiali di quel ‘sistema feudale’ per cui un vescovo può disporre a proprio piacimento del clero della sua diocesi, senza nemmeno consultare i fedeli? No, si sono risposti i parrocchiani di una chiesa livornese. E così, quando, nonostante le loro proteste e i loro tentativi di interloquire con la Curia, è diventato ufficiale il trasferimento del loro parroco, un migliaio di loro ha messo nero su bianco il proprio sconcerto in una lunga lettera. È avvenuto nella parrocchia di S. Pio X, periferia nord di Livorno, da dove il vescovo, mons. Simone Giusti, alla fine di maggio, ha rimosso il viceparroco, don Cristian Leonardelli, destinandolo a Castiglioncello, un paese sul litorale.
Qualcuno ipotizza che dietro la decisione del vescovo ci sia l’intenzione di affidare le parrocchie della zona nord della città a preti neocatecumenali. Al Cammino, infatti, appartiene il sostituto di don Leonardo (un prete polacco che, si dice, sarebbe stato mandato lì con la prospettiva di divenire parroco), così come altri preti arrivati in passato nelle altre due parrocchie della zona. Per la comunità di S. Pio X il trasferimento di don Cristian costituisce comunque un segnale di sfiducia nei confronti dell’azione pastorale del giovane viceparroco. E sì, perché don Cristian ha fama di prete anticonformista. Non indossa la tonaca, ha un approccio “orizzontale” al suo ministero, non disdegna il lavoro manuale, considera l'obbedienza alla propria coscienza più importante dell’ossequio formale alla gerarchia ecclesiastica, ha una particolare attenzione verso gli ultimi, portata avanti con coerenza anche nel suo lavoro a S. Pio X, una parrocchia che si trova nel popolare quartiere operaio della Cigna. Ma oggi nella Chiesa, come ebbe modo di scrivere proprio don Cristian sulla nostra agenzia (v. Adista n. 67/08), “quasi sempre sono preferite persone conformiste, inquadrate nei ranghi e che raramente sollevano questioni” rispetto ai preti ‘rompiscatole’, “che portano avanti ‘visioni’ differenti da quelle ufficiali, coloro che manifestano dissenso, anche se affettuoso e creativo”. Preti, insomma, “più funzionali alla nostra sonnolenta istituzione Chiesa”. Del resto, anche per essere ordinato prete, don Cristian, in un’epoca di inarrestabile calo delle vocazioni, ha dovuto penare non poco. La sua storia la raccontammo su Adista, appena due anni fa (v. Adista n. 45/08): entrato in seminario a Trento, dopo essere stato ordinato diacono, fu convocato dal suo vescovo di allora, mons. Luigi Bressan. “Mi presentò un dossier. Avevano investigato su di me”, raccontò: “Mi venivano attribuite affermazioni false, tendenziose e del tutto decontestualizzate. Un esempio su tutti? Il celibato dei preti, che tra l’altro io vivo serenamente. In qualche occasione avevo detto di essere aperto alla possibilità che le famiglie potessero collaborare con il ministro celibe. Fui accusato di essere contrario al celibato, di rifiutare la dottrina. Lo stesso valse per altre questioni, come l’omosessualità, il ruolo della donna nella Chiesa e la figura di Gesù: il senso originario delle mie parole venne distorto”. Dopo questo colloquio, raccontò Leonardelli, “incontrai monsignor Bressan altre quattro volte”, nelle quali, tra l’altro, “mi venne contestato il fatto di essere abbonato a riviste non ufficiali come Adista”. Alla fine, la tegola sulla testa: Bressan, racconta don Cristian, “mi disse che non sarei mai stato ordinato in Trentino”. Trovò allora accoglienza nella diocesi di Livorno, allora retta da mons. Diego Coletti. E lì fu alla fine ordinato prete, a 34 anni, nel 2008. Ma a soli due anni dal suo primo incarico, l’improvviso trasferimento.
La lettera dei parrocchiani di S. Pio X si sofferma in particolare sulle difficoltà sociali del rione e sulle risposte date da don Cristian alle esigenze di quel difficile territorio: più del 15% dei residenti, scrivono infatti al vescovo, non ha un titolo di istruzione, forte è il disagio sociale, alta la disoccupazione, mentre cresce l'esercito di immigrati e poveri (“anche intere famiglie, non solo stranieri ma anche italiani”). Di fronte a questi problemi, l'arrivo di don Cristian Leonardelli aveva portato alla creazione di un “progetto di integrazione e miglioramento culturale”, nel solco della pedagogia di don Milani, con la collaborazione della scuola elementare Thouar e della scuola media Michelangelo, progetto che avrebbe dovuto estendersi l’anno venturo alle scuole di tutto il territorio. Era inoltre nato un gruppo estivo destinato ai ragazzi dai 7 ai 14 anni: un modo per aiutare i tanti genitori del quartiere che lavorano. Poi l’attività della Caritas parrocchiale; ma, soprattutto, la capacità di “infondere coscienza critica e responsabilizzare gli adulti, i ragazzi, gli uomini, le donne ed intere famiglie all'aiuto reciproco e alla realizzazione di progetti solidali”. “Chi porterà avanti tutti questi progetti intrapresi con tanta sollecitudine ed impegno?”, si chiedono preoccupati i parrocchiani di S. Pio X. “Dobbiamo temere che con il suo trasferimento andrà tutto a morire? Temiamo di sì. Temiamo che si ritorni indietro”.
Nonostante la forte mobilitazione, finora mons. Giusti non ha voluto sentire ragioni, rifiutando qualsiasi incontro con la comunità di S. Pio X. “Siamo indignati - raccontano ad Adista un gruppo di parrocchiani si S. Pio X - dal fatto che non solo il Vescovo non ha tenuto conto delle necessità della nostra Comunità, degli impegni assorti dal suo predecessore con la medesima, ma anche dal fatto che non si è neppure degnato di darci delle spiegazioni, di avere un confronto con tutti noi, nonostante gli siano giunti un invito a partecipare ad una assemblea parrocchiale e diverse missive, prima del preannunciato trasferimento, alle quali a tutt’oggi non ha ancora risposto”. “Allora ci domandiamo: quale deve essere la qualità del rapporto tra ministero e comunità? Deve essere un rapporto ‘verticale ed individualistico’ il cui unico scopo è la cura delle anime in un’ottica di salus animarum? Oppure deve valorizzare la dimensione comunionale sia dell’ecclesia sia del presbiterio?”. Al di là del caso particolare, come ha scritto in una sua lettera a mons. Giusti un’altra parrocchiana, Maristella Ugazzi, resta il problema di fondo “della gestione del potere da parte della gerarchia, che leva e mette presbiteri come ritiene opportuno, passando non solo sulle loro teste, ma anche sulla testa dei laici che del popolo di Dio sono parte integrante e non sudditi di serie B”. (valerio gigante)
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