SE IL PAKISTAN FOSSE STATO CATTOLICO
Tratto da: Adista Documenti n° 67 del 11/09/2010
Ban Ki Moon, che ha da poco visitato il Pakistan, ha dichiarato che si tratta della peggiore catastrofe che abbia mai visto. (...). Le Nazioni Unite si sono appellate alla comunità internazionale perché mettano a disposizione immediatamente 460 milioni di dollari. E hanno invitato gli Stati Uniti a sostenere la ricostruzione, che potrebbe costare miliardi di dollari. (...).
Washington porterà il suo aiuto a 150 milioni di dollari, e si è impegnata a versare 7,5 miliardi di dollari (5,8 miliardi di euro) nel corso dei prossimi cinque anni. (...). Gli Stati Uniti considerano il Pakistan un elemento chiave della loro strategia per vincere l’estremismo islamico e stabilizzare il vicino Afghanistan. Islamabad ha informato di aver ricevuto già 300 milioni di dollari di aiuti internazionali, tramite l’Onu. Il gruppo dei saggi The Elders (gli Anziani), del quale fanno parte notoriamente Desmond Tutu e Jimmy Carter, ha esortato il mondo “a rispondere più rapidamente e più generosamente” alla richiesta di aiuto dei sinistrati pakistani. Il ministro degli Esteri canadese, Lawrence Cannon, ha affermato che non ha intenzione di andare oltre i 33 milioni di dollari già stanziati (...).
Una constatazione si impone: l’aiuto umanitario arriva con il contagocce. I Paesi si fanno tirare per le orecchie per allentare i cordoni delle borse. (...). Marilyn McHarg, direttrice generale della sezione canadese di “Medici senza Frontiere” (Msf), ha sottolineato che spetta innanzitutto agli Stati farsi carico della loro popolazione. “Le organizzazioni internazionali sono là per prestare assistenza nei periodi di crisi, che possono essere di origine umana o naturale. ‘Medici senza Frontiere’ non divide le vittime per categorie. Non facciamo politica né esercitiamo la giustizia, che sono compiti di altri organismi. L’aiuto umanitario che forniamo è senza frontiere, cioè ci occupiamo concretamente delle vittime indipendentemente dalla loro razza, religione o appartenenza politica”.
A motivo delle sue responsabilità e del mandato del suo organismo, sarebbe stato piuttosto sorprendente leggere nell’intervento della signora McHarg una posizione chiara e ferma su quello che non piace al resto dell’umanità quando si parla di Pakistan e degli altri Paesi musulmani. In un editoriale su Vif/L’Express, Gerard Papy scrive: “È poco dire che il Pakistan, Paese fondato sulla religione musulmana in una regione così strategica, soffre attualmente di una immagine poco invidiabile in Occidente. Per convincersene, è sufficiente ricordare che, all’inizio di agosto, quando le inondazioni avevano già fatto i primi morti nel nord del Paese, il presidente pakistano Asif Ali Zardari era costretto a difendersi, a Parigi e a Londra, dalle accuse di collusione coi talebani afgani rivolte ai suoi servizi segreti dopo la divulgazione da parte del sito WikiLeaks di rapporti informativi americani confidenziali. Tutti i pakistani sarebbero estremisti e corrotti e dovrebbero essere perciò bollati come infami e privati del benché minimo aiuto umanitario? Il ricorso alla generalizzazione è sempre un’offesa all’intelli-genza e una perversione delle relazioni umane”.
Il sito Palestine-Solidarité scrive: “Geograficamente e culturalmente molto lontano dall’Europa, e chiaramente dalla Francia, il Pakistan non è esattamente la destinazione da cartolina sognata dai francesi. Le sue coste non evocano niente a paragone di quelle della Thailandia. È un fatto: le catastrofi naturali, a seconda di dove succedono, non ispirano nei benefattori del mondo lo stesso trattamento di favore. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore: un adagio popolare valido anche qui”. Secondo un sondaggio del sito internet del Figaro del 17 agosto, più del 75% dei francesi si dichiara insensibile alla situazione pakistana. (...).
L’aiuto umanitario al Pakistan deve mettersi in moto celermente perché, come sostengono il senatore americano John Kerry e il presidente pakistano Ali Zardari, bisogna evitare che gruppi ribelli sfruttino la miseria e incitino a nuove esplosioni di violenza. Il 60% della popolazione vive con meno di due dollari al giorno. Il ministro pakistano Shah Mehmood Qureshi ha affermato che la comunità internazionale non deve permettere ai “terroristi” di trarre vantaggio dalle inondazioni nel loro Paese, di cui ha valutato il costo in 43 miliardi di dollari. “Ci sono per strada 20 milioni di persone disperate che hanno fame. Diamo loro tutto ciò che abbiamo, ma è possibile che alcune forze malintenzionate sfruttino questa situazione”, suggerisce Asif Ali Zardari, quest’uomo che ha scontentato più di una persona per non aver sospeso la visita che stava svolgendo in Europa.
Gli appelli all’aiuto umanitario non sono innocenti, e le persone generose del mondo dovrebbero sapere che il Pakistan fa parte dei 20 Paesi che più spendono nel comparto bellico in rapporto al Pil. A motivo degli imperativi della guerra contro il terrorismo, il budget militare del Pakistan è l’unico capitolo di spesa di cui il Fondo monetario internazionale non ha preteso la riduzione. Il Pakistan consacra più di cinque miliardi di dollari alle spese militari, al netto di quelle per l’arsenale nucleare, non contabilizzate in questa cifra. (...).
Sul fronte interno, di fronte alla risposta, giudicata insufficiente, del governo pakistano, le vittime, secondo la Reuters, fanno sempre più appello alla solidarietà del vicinato, in attesa dell’arrivo degli aiuti internazionali. Il ministro degli Esteri pakistano, Qureshi, ha promesso che Islamabad opererà secondo meccanismi “trasparenti e responsabili” per la gestione degli aiuti internazionali che affluiranno nel Paese. Bisognava attendere una simile tragedia per adottare una tale misura? Mark Malloch Brown, dell’Onu, constatando con tristezza che “la dirigenza del Pakistan si è mossa in modo confuso e lento”, ha detto: “Difficile per i governi donatori convincersi del tutto della gravità della crisi quando il presidente del Paese viene filmato nel suo castello privato in Francia o prosegue la sua visita di Stato recandosi anche nel Regno Unito. È terribile a dirsi, ma hanno bisogno di uno studio di marketing: si deve dire chiaramente che sono in gioco delle vite e che tutto lo sforzo interno del Paese è impegnato a cercare di salvare quelle vite” (New-York Times, 19 agosto 2010).
E se il Pakistan fosse stato di confessione cattolica?
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