Nessun articolo nel carrello

UNA TEOLOGIA PER LA CUSTODIA DELLA TERRA

Tratto da: Adista Documenti n° 98 del 18/12/2010

(...) È vero che la questione ambientale esige di mettere in campo una varietà di saperi, ma scelgo di delimitare il mio intervento a una riflessione che si interroga sul contributo che una teologia e un’etica credente possono offrire per la crisi in cui ci troviamo. (...). Il premio Nobel per la chimica Paul Crutzen parla della nostra era come dell’“antropocene”, l’era in cui gli esseri umani sono diventati uno dei principali fattori dell’evoluzione biologica e geologica del nostro Pianeta. E nella storia dell’ambiente del XX secolo scritta dallo storico americano McNeill, dal titolo “Qualcosa di nuovo sotto il sole”, il XX secolo è considerato quello in cui l’impronta umana sul Pianeta è divenuta drammaticamente visibile. Qualcosa di nuovo sotto il sole, dunque: la percezione chiarissima di quanto consistente e pesante sia il potere di cui oggi dispongono gli esseri umani e di quanto forte sia l’impatto di tale potere sulla struttura ecosistemica del nostro pianeta.

In questo senso, numerose sono le eziologie della crisi ambientale che viviamo. Esiste ad esempio la prospettiva ecofemminista che associa strettamente il dominio sulla natura al dominio del maschio sulla donna. (...) Esiste una riflessione che privilegia la dimensione economica individuando nel capitalismo il fattore che avrebbe potenziato questa volontà di sfruttamento delle risorse naturali. Esiste una tradizione che sottolinea il contributo problematico della scienza e della tecnica. Ne esiste un’altra che accentua il ruolo delle religioni e in particolare del cristianesimo. (...).

Io vorrei accennare a un ulteriore livello: esiste una crisi ecologica perché siamo esseri umani, cioè esseri in cui l’evo-luzione biologica, che condividiamo con gli altri esseri viventi, oltrepassa l’evoluzione culturale. La nostra modalità non è quella di adattarci all’ambiente ma di adattare l’ambiente a noi stessi. Le grandi rivoluzioni che hanno attraversato la nostra storia sono state fondamentalmente questo: l’accesso a ulteriori modalità di adattare a noi l’ambiente circostante, spostando il limite della necessità al di là dell’orizzonte immediato del giorno dopo. Una parte dell’umanità non deve più preoccuparsi di cosa mangerà e di come si scalderà domani, perché può contare su un modo di accesso organizzato e collettivo alle risorse del Pianeta. Ma l’orizzonte della necessità, pur se allontanato, non è stato eliminato: crisi ecologica significa sostanzialmente scoprire che non possiamo pensare a una crescita illimitata su un pianeta finito.

Tutto questo è in fondo l’espressione del nostro essere culturali, declinato in modo tale da mettere in pericolo le stesse basi biologiche. (...).

 

Teologia sotto accusa

Che c’entra la teologia con tutto questo? C’entra, perché è stata tirata per i capelli in tale questione fin dall’inizio. Secondo Lynn White, per esempio, il cristianesimo sarebbe la religione più antropocentrica e come tale matrice fondamentale di quell’antropocentrismo avido e sfruttatore cui si dovrebbe in ultima analisi la crisi ecologica. Capita spesso alla teologia di finire sul banco degli imputati: alle volte riesce a reagire in modo fecondo, altre volte invece si chiude in difesa. Su questo punto, penso sia vero il primo caso e vorrei provare ad offrire qualche flash su come sono cambiate le carte nella teologia e nelle Chiese cristiane in questi 40 anni che ci separano dall’articolo di White.

Non so quanto White leggesse la teologia a lui contemporanea: se lo avesse fatto avrebbe trovato ottimi argomenti a sostegno della sua posizione. In un testo del 1966 del Consiglio ecumenico delle Chiese - lo cito proprio perché è al Cec che, a partire dagli anni ‘70, si deve maggiormente l’elabora-zione di una riflessione sul rapporto tra teologia ed ecologia -, si afferma che Dio non pone limiti al dominio dell’uomo sulla natura, al di là del fatto che tale dominio deve essere realizzato sotto la signoria di Dio. L’uomo è responsabile della sua gestione della natura per rendere possibile una vita umana più piena per tutti. C’è qui il riferimento a un limite, indicato però in maniera quasi formale, “sotto la signoria di Dio”, e c’è l’e-sigenza della finalizzazione verso la giustizia interumana e la solidarietà. Manca però completamente ogni riferimento alla declinazione ecologica del limite: il mondo è posto a completa disposizione degli esseri umani. Ho citato un testo, ma ce ne sono altri: la teologia occidentale negli anni ‘60 era davvero caratterizzata da una forte solidarietà ecumenica in una sorta di oblio del pensiero della creazione. (...). Una rimozione che ha delle eccezioni limitate ma significative. (...). Si tratta di figure, isolate nelle rispettive comunità, che si sono incaricate di recuperare un messaggio delle Scritture che non può essere ridotto alla logica del dominio. Si potrebbe elencare tutta una serie di testi della tradizione sapienziale profondamente innervata di pensiero della creazione e di senso del limite (...). Si pone quindi un interrogativo: perché una tradizione radicata in un testo così robustamente ecologico si è trovata poi così debole e sfornita su un versante tanto significativo?

 

Il cristianesimo, portatore sano di germi gnostici

Una risposta molto facile è quella che viene da una parte della tradizione cattolica, secondo cui il problema sarebbe legato alla modernità (...). In questa prospettiva, che io non condivido, a perdere il senso del limite sarebbe l’uomo ateo, l’uomo che dimentica Dio quale garante della limitatezza umana: è qui che si innesterebbe la crisi ecologica. Per certi aspetti tale approccio potrebbe anche funzionare: non c’è dubbio che la crisi ecologica non si dispieghi prima della modernità e che i suoi effetti si facciano sentire, anzi, alcuni secoli dopo. Mi sembra però un po’ troppo semplice, perché, come ci ricordava Garrone, Bacone era un cristiano che perorava lo studio della natura in nome della necessità di costruire uno spazio abitabile per gli esseri umani, in nome della carità interumana. Gettare sulle spalle della modernità le responsabilità della crisi ecologica non è una strategia che io possa considerare accettabile.

Un’interpretazione molto interessante è quella offerta da Hans Jonas, un autore rilevante per noi su più di un versante: il suo Il principio responsabilità. Un'etica per la civiltà tecnologica è uno dei testi più robusti dell’etica ambientale europea contemporanea (...). Jonas coglie il fatto che lo gnosticismo è, nonostante le apparenze, una matrice importante della modernità. Il cristianesimo ha un rapporto complicato con lo gnosticismo, una dottrina dalle significative valenze antimondane, espressione di un radicale disagio rispetto al nostro essere gettati nel mondo, da cui l’essere umano sarebbe chiamato a fuggire. Il cristianesimo ha condannato più volte in diversi concilii posizioni di questo tipo, ma, di fatto, nella spiritualità cristiana, infiltrazioni gnostiche ce ne sono, e di potenti. Pensiamo a un’espressione come fuga mundi, riempita di contenuti non necessariamente anti-cristiani ma, nella sua forma, terrificante. Fuggire il mondo? Allontanarsi dalla creazione di Dio per incontrare Dio? Potremmo dire che il cristianesimo ha attraversato 2000 anni della sua storia come una sorta di portatore più o meno sano di germi gnostici, condannati ma non eliminati. Un portatore sano che talvolta manifesta alcuni sintomi ma la cui presenza nella storia non è riducibile ad essi. (...). Questa componente gnostica si esprime nella modernità in modo diverso: se il mondo non è in sintonia con me, cambio il mondo. Se il mondo è radicalmente impregnato di negatività - e questa è la dimensione gnostica -, devo cambiare radicalmente il mondo.

Il rapporto fra cristianesimo, modernità, dinamica ecologica diventa più complesso: se la modernità, da un lato, porta effettivamente in sé un potenziale eversore nei confronti della creazione, dall’altro ha in sé una positiva dinamica del sogno di una natura finalmente abitabile dagli esseri umani. Anche la modernità presenta un carattere ambivalente e la tecnica abita questa ambivalenza: si vuol cambiare la natura perché, se non la cambiamo, ci schiaccia, e, d’altra parte, e-siste un abuso della tecnica che è stato devastante per vaste aree del nostro Pianeta.

 

Una nuova attenzione per il creato

Attraversiamo quindi una storia, e una storia del cristianesimo, profondamente ambivalenti. È in questo contesto che, a partire dagli anni ‘60-‘70 e poi con più forza dagli anni ‘80-’90, la teologia ha provato a declinare una parola decisamente diversa per misurarsi con la sfida postale da una terra in crisi. Tra le tante figure che bisognerebbe evocare, mi limiterò a citarne due: quella di un teologo evangelico estremamente noto, Jürgen Moltmann, e quella di un teologo cattolico quasi sconosciuto in Italia, Denis Edwards, autore di uno dei testi più interessanti a riguardo, L’ecologia al centro della fede.

(...) Quello che interessa a Moltmann è sottolineare la di-mensione della comunionalità, della relazionalità, come caratteristica propria del mondo quale ci appare nella percezione ecologica e, d’altra parte, della natura stessa di Dio: il Dio trino è un Dio caratterizzato dal suo essere attraversato da relazioni, non il Dio altro che semplicemente è al di là del mondo, ma piuttosto colui che, pur mantenendo la sua trascendenza, si pone in una relazione quasi pericoretica con il mondo, nello Spirito. Lo Spirito è colui che fa vivere la comunione tra Dio e la creazione. Una creazione che - e questo è il secondo elemento della riflessione di Moltmann - va sempre colta nella sua dinamica escatologica. La bontà della creazione di Dio non può essere colta a pieno nel suo essere presente: è certamente già reale ora, ma in forma o-paca, contraddittoria, attraversata dal grido e dalla macerazione. Una creazione per la quale il dispiegarsi pieno della bontà, di questa efficacia completa dell’agire creatore di Dio, è escatologico, è al futuro. Non a caso una delle prime opere di Moltmann è La teologia della speranza. (...). La morte di Cristo non è soltanto la morte solitaria di un uomo, ma è la morte di chi condivide il gemito della creazione e che proprio per questo, nella sua Pasqua, apre una primavera di speranza per la creazione tutta.

L’altra figura che vorrei citare è quella di Denis Edwards, il cui interesse è quello di comprendere l’agire di Dio che si dispiega attraverso le dinamiche dell’evoluzione cosmica e biologica, di accentuare la presenza di Dio attraverso le dinamiche evolutive. E anche lui, come Moltmann, sottolinea il ruolo dello Spirito che, per Edwards, è il compagno della creatura sofferente, colui che è vicino ad ogni creatura ed è contemporaneamente “levatrice” di nuova creazione - interessante l’uso di un termine femminile -, colui che genera la promessa di una terra senza male e senza dolore di cui ci parla l’Apocalisse. È chiaro che al centro della riflessione di Edwards, come anche in buona parte di quella di Moltmann, c’è il grande testo di Romani 8: la sofferenza della creazione, che geme e soffre nelle doglie del parto, è anche un protendersi, in qualche misura sotto l’azione dello Spirito di Dio, verso una pienezza di liberazione.

Il primo luogo in cui è stata percepita la sfida ecologica è il Consiglio ecumenico delle Chiese (...). Nel 1975 il Cec utilizzava come uno dei tre assiomi della sua etica sociale la nozione di sostenibilità, prima organizzazione internazionale a usare questo concetto. In parallelo a questo attivo impegno del Cec sul versante della costruzione di una società giusta, partecipativa e sostenibile e su quello dell’attenzione all’integrità della creazione (compresa l’attenzione per i singoli viventi), si sono mossi su questa stessa linea, ad esempio, la Federazione luterana mondiale, l’Alleanza riformata mondiale e anche il mondo evangelico. Per quanto riguarda il mondo ortodosso, è sufficiente evocare la figura di Bartolomeo I, definito il Patriarca verde. (...).

Infine, il mondo cattolico, il quale si è mosso molto lentamente su questi temi (...), ma poi, gradualmente, li ha assunti in misura molto ampia. Mi limito a citare pochi testi: i messaggi per la Giornata della pace 1990 (Pace con Dio creatore, pace con tutto il creato) e 2010 (Se vuoi costruire la pace custodisci il creato); il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa del 2004, che dedica una ventina di pagine proprio alla salvaguardia dell’ambiente e, soprattutto, la Caritas in Veritate del 2009, che dedica ai temi ambientali i capitoli dal 48 al 51, la parte più riuscita di un documento che secondo me presenta luci ed ombre. Forse l’affermazione più forte del-l’intero documento è nel capitolo 50, laddove si parla di un “dovere gravissimo” - è il linguaggio della teologia morale - di lasciare la terra alle prossime generazioni in condizioni tali che esse stesse possano abitarla e ulteriormente coltivarla. Il contenuto di questo dovere è quello che sostanzialmente viene definito sostenibilità: l’esigenza di costruire una forma di vita in grado di soddisfare i bisogni della generazione presente senza precludere analoga possibilità per le generazioni future. È un approccio antropocentrico, perché parla comunque di generazioni umane, quella presente e quelle future, ma di un antropocentrismo relazionale, che sa cogliersi in relazione con gli altri viventi, non ripiegato su se stesso ma disponibile a cogliere il valore delle altre realtà intorno a sé.

Ma l’attenzione per il creato è uscita dai documenti per passare anche nella pratica concreta delle comunità locali. La rete interdiocesana Stili di vita, nata da 5-6 diocesi del Nord-est allo scopo di costruire stili di vita più sostenibili nelle comunità cristiane locali, attualmente è presente in 27 diocesi del Nord Italia. E recentemente si è costituita una rete interdiocesana del Centro-sud. (...).

Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.

Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!

Condividi questo articolo:
  • Chi Siamo

    Adista è un settimanale di informazione indipendente su mondo cattolico e realtà religioso. Ogni settimana pubblica due fascicoli: uno di notizie ed un secondo di documentazione che si alterna ad uno di approfondimento e di riflessione. All'offerta cartacea è affiancato un servizio di informazione quotidiana con il sito Adista.it.

    leggi tutto...

  • Contattaci

  • Seguici

  • Sito conforme a WCAG 2.0 livello A

    Level A conformance,
			     W3C WAI Web Content Accessibility Guidelines 2.0

50 anni e oltre

Adista è... ancora più Adista!

A partire dal 2018 Adista ha implementato la sua informazione online. Da allora, ogni giorno sul nostro sito vengono infatti pubblicate nuove notizie e adista.it è ormai diventato a tutti gli effetti un giornale online con tanti contenuti in più oltre alle notizie, ai documenti, agli approfondimenti presenti nelle edizioni cartacee.

Tutto questo... gratis e totalmente disponibile sia per i lettori della rivista che per i visitatori del sito.