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Diverse, non incompatibili: scienza e fede nel dialogo tra un religioso e un fisico

Tratto da: Adista Documenti n° 47 del 18/06/2011

DOC-2360. RIO DE JANEIRO-ADISTA. Quanto possa essere proficuo per la ricerca umana della saggezza un dialogo autentico tra fede e scienza, lo mostra in modo assai efficace il libro del frate domenicano Frei Betto e del fisico teorico brasiliano, ma residente negli Stati Uniti, Marcelo Gleiser, appena uscito in Brasile (Agir, 2011, pp. 334) con il titolo Conversa sobre a fé e a ciência (Conversazione sulla fede e la scienza): un brillante colloquio, condotto in maniera informale con la mediazione dello scrittore, musicista e astrologo Waldemar Falcão, tra un credente e un agnostico, un uomo di fede - ma attento alle più avanzate teorie della scienza moderna nei campi della Biologia, della Cosmologia e della Fisica Quantistica (alla base del suo libro A obra do artista: uma visão holística do universo, pubblicato nel 1995) -  e un uomo di scienza - ma che ama definirsi «un fisico mistico», ricordando come già Albert Einstein parlasse della scienza come una specie di devozione religiosa, per l’emozione che si prova nel dedicarsi a qualcosa di sconosciuto. Non stupisce, così, che le affinità siano ben maggiori delle divergenze: come insistono entrambi ripetutamente, scienza e fede sono aree diverse ma non incompatibili, essendo l’una impegnata nello studio del “come” e l’altra immersa nella ricerca del “perché”. Di più: entrambe svolgono la funzione, afferma Gleiser, di «pacificare i desideri umani», cercando risposte «per questa inquietudine di voler sapere chi siamo noi; entrambe si pongono domande sulle “origini”, su quale sia il senso della vita. Del resto, prosegue il fisico, se non siamo altro che un insieme di molecole, «com’è che esiste quest’ansia di vita? Perché le molecole si organizzano in un certo modo per vivere?».

 

Bellezza e mistero

Non incompatibili, dunque, ma chiaramente distinte, al punto che Frei Betto può affermare che «la scienza può vivere senza la religione», e che, anzi, si sentirebbe «molto a disagio con una scienza confessionalizzata», impegnata magari a dimostrare «che là, al vertice del Big Bang, c’è Dio». Perché un Dio che ha bisogno di essere spiegato dalla scienza, che richiede «prove scientifiche o razionali, come il Dio di Cartesio, o prove astrofisiche, come il Dio geometra di Newton, non è il Dio della mia fede. Il mio Dio è quello di Gesù». Né c’è bisogno di chiamare in causa Dio, secondo Frei Betto, per giustificare fenomeni inesplicabili, come quello della sua stessa guarigione da una malattia considerata incurabile attraverso la meditazione: «Credo - afferma - che un giorno la scienza saprà spiegarlo, come oggi spiega le onde radio e i fotoni». Ed è in questo modo che il frate domenicano, riguardo ai miracoli, legge l’episodio evangelico della “moltiplicazione” dei pani e dei pesci: «Gesù ha fatto, sì, un miracolo. E cos’è il miracolo? È il potere di Dio di alterare il corso naturale delle cose. E dove opera questo potere? Nel cuore umano. Gesù ha condotto le persone a condividere i loro beni».

Dall’altro lato, Marcelo Gleiser - contestando affermazioni come quella di Stephen Hawking (il celebre matematico e astrofisico britannico condannato all'immobilità dall'atrofia muscolare progressiva), il quale, nel suo ultimo libro (Il Grande disegno) sostiene che Dio non è necessario a spiegare l’origine dell’universo - afferma che la scienza non può dimostrare l’inesistenza di Dio, in quanto «è una narrazione che spiega come funziona il mondo, e non perché il mondo funziona». E, d’altro verso, in perfetta sintonia con Frei Betto, ricorda che «una vita solo razionale, una vita senza mistero, è una vita orribile», contestando lo stereotipo dello scienziato come persona interamente presa da calcoli e dati concreti, senza passione e sensibilità: «non esiste incompatibilità tra la spiritualità e la scienza. Al contrario, lo scienziato dedica tutta la vita allo studio della natura perché ne è innamorato. Questa relazione è spirituale, anche se molti scienziati non la riconoscono come tale».

Ed è per questo che entrambi, il frate domenicano e il fisico, possono condividere la stessa emozione di fronte alla bellezza: il cervello, dice Gleiser, «una cosa meravigliosa», «la cosa più incredibile che esiste nell’universo», perché «è a partire da questo che creiamo tutte le nostre concezioni». E Frei Betto: «Noi siamo l’Universo che si vede allo specchio, nel senso che l’Universo è stato sempre bello, ma non lo sapeva perché era cieco. Finché non ha prodotto il cervello umano», con cui è diventato capace «di autoammirarsi. Per questo i greci lo hanno chiamato cosmo, che significa bellezza».

Molti i temi accennati nel libro, come, ad esempio, quello del passaggio dal paradigma medioevale, caratterizzato dalla fede, al paradigma della modernità, caratterizzato dalla ragione, fino alla crisi di quest’ultima nella post-modernità, quando scienza e tecnica si sono dimostrate incapaci di risolvere da sole - come afferma Betto - «una questione assolutamente primaria, quella della sopravvivenza umana in condizioni degne», portando l’uomo a porre piede sulla luna, ma non riuscendo a «porre gli alimenti nella pancia di tutti». E anzi giungendo a minacciare in più modi la stessa umanità (che si tratti di nucleare, di transgenici o dei rischi legati alla creazione di un ibrido uomo-macchina). E se, con la secolarizzazione prodotta dalla modernità per mezzo della tradizione razionalista, il mondo post-moderno si è ritrovato in un limbo etico - a corto di un nuovo paradigma che, dice Frei Betto, non sia quello, oggi predominante, del mercato, della «mercificazione totale di tutti gli aspetti della vita» - la questione, secondo Gleiser, «è la seguente: esisterà una moralità universale, esisteranno regole che trascendano le scelte religiose delle persone, che siano assolutamente universali e che valgano per l’umanità come un tutto?». In questo senso, un terreno comune, assolutamente prioritario, viene, secondo entrambi, dall’ecologia, possibile «nuovo polo morale dell’umanità», che, con essa, dice Gleiser, ha «finalmente una ragione per unificarsi come specie». 

Di seguito, in una nostra traduzione dal portoghese, alcuni brevi stralci di Conversa sobre a fé e a ciência. (claudia fanti)

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