Droga per la guerra
- Il ruolo giocato dal narcotraffico nella politica estera degli Stati Uniti
Tratto da: Adista Contesti n° 25 del 30/06/2012
Tratto dal portale di informazione sull’America Latina Alai-Amlatina (29 maggio 2012). Titolo originale: Narcotráfico, instrumento de dominio imperial
Dopo vari decenni di “guerra contro la droga”, con un costo colossale in termini di vite umane e risorse materiali, i narcotrafficanti sono oggi più forti che mai e controllano un territorio più ampio che in passato.
Negli ultimi sei anni in Messico si sono registrati più di 47mila omicidi collegati con il traffico di droga. Dai 2.119 del 2006 si è passati ai circa 17mila del 2011. Nel 2008, il Dipartimento di Giustizia statunitense ha denunciato che le Dtos (Organizzazioni di Traffico di droga), collegate a cartelli messicani, sono attive in tutti gli Stati Uniti. In Florida agiscono mafie associate con il cartello del Golfo, gli Zetas e la Federazione di Sinaloa. Miami è uno dei principali centri di ricezione e distribuzione. Anche altri cartelli, come quello di Juárez e di Tijuana, operano negli Usa.
I cartelli messicani hanno guadagnato forza dopo essersi sostituiti a quelli colombiani di Cali e Medellín negli anni ‘90 e controllano ora il 90% della cocaina che arriva negli Usa. Il più grande impulso al narcotraffico è l’alto consumo statunitense. Nel 2010, un’inchiesta nazionale del Dipartimento di Salute ha rivelato che circa 22 milioni di statunitensi al di sopra dei 12 anni fanno uso di qualche tipo di droga. Questi dati, solo alcuni dei più inquietanti, permettono di interrogarsi sull’efficacia della cosiddetta “guerra contro la droga”. È impossibile credere che esista realmente una volontà politica di porre fine a questo flagello universale quando osserviamo il ruolo che ha giocato il narcotraffico nella controinsurrezione, nell’espansione delle transnazionali e nelle ambizioni geopolitiche degli Stati Uniti e di altre potenze.
Ripassiamo, in sintesi, la storia recente. L’amministrazione di Richard Nixon, all’inizio della “guerra contro la droga” (1971), sviluppava contemporaneamente il traffico di eroina nel Sudest asiatico con il proposito di finanziare le sue operazioni militari in questa regione. L’eroina prodotta nel Triangolo d’oro (dove si incrociano le zone montuose di Vietnam, Laos, Thailandia e Myanmar) veniva trasportata in aerei dell’“Air America” di proprietà della Cia. In una conferenza stampa televisiva, il 1° giugno del 1971, un giornalista chiedeva a Nixon : «Signor presidente che farà con le decine di migliaia di soldati statunitensi che tornano tossicodipendenti di eroina?».
Le operazioni di “Air America” proseguirono fino alla caduta di Saigon nel 1975. Mentre la Cia trafficava oppio e eroina nel Sudest asiatico, il traffico e il consumo di stupefacenti negli Usa si trasformava in tragedia nazionale. Nel 1976, il presidente Gerald Ford sollecitò il Congresso ad approvare alcune leggi che sostituivano la libertà condizionata con la prigione, stabilivano condanne minime obbligatorie e negavano la malleveria per determinati crimini di droga. Il risultato fu un aumento esponenziale del numero di condanne per delitti collegati al traffico e al consumo di droga e la conseguente trasformazione degli Usa nel Paese con il più alto numero di popolazione carceraria del mondo. Il peso principale di questa politica punitiva ricadde sulla popolazione nera e su altre minoranze.
Le amministrazioni statunitensi durante gli anni ‘80 e ‘90 sostennero governi sudamericani coinvolti direttamente nel traffico di cocaina. Sotto Carter, la Cia intervenne per evitare che due capi del cartello di Roberto Suárez (re della cocaina) fossero sottoposti a giudizio negli Usa. Tornati liberi poterono rientrare in Bolivia e rivestire ruoli da protagonista nel golpe (“Cocaine Coup”) del 17 luglio del 1980, finanziato dai baroni della droga. La sanguinosa tirannia del generale Luis García Meza fu sostenuta dall’amministrazione Reagan.
Il coinvolgimento più ampio dell’amministrazione Reagan nel narcotraffico si ebbe con lo scandalo conosciuto come “Iran-contras” il cui aspetto più pubblicizzato fu la raccolta di fondi per finanziare i contras nicaraguensi con la vendita illegale di armi all’Iran, anche se è ben documentato anche l’appoggio di Reagan, allo stesso scopo, al traffico di cocaina dentro e fuori gli Usa.
Queste connessioni le spiega il giornalista William Blum nel suo libro Rogue State. In Costa Rica, che serviva come Fronte Sud dei contras (l’Honduras era il Fronte Nord) operavano varie reti Cia-contras coinvolte nel traffico di droga. Queste reti erano associate a Jorge Morales, capo colombiano residente a Miami. Gli aerei di Morales venivano caricati di armi in Florida, volavano in Centro America e tornavano carichi di cocaina. Un’altra rete con base in Costa Rica era usata da cubani anticastristi arruolati dalla Cia come istruttori militari. Questa rete utilizzava aerei dei contras e di una compagnia di vendita di gamberetti che riciclava denaro per la Cia, per il trasporto della droga negli Usa.
In Honduras la Cia assoldò Alan Hyde, il principale trafficante del Paese (“il padrino di tutte le attività criminali”, stando a informative del governo statunitense), per trasportare sulle sue imbarcazioni aiuti ai contras. La Cia, in cambio, impediva qualsiasi azione contro Hyde da parte delle agenzie antinarcotiche.
I percorsi della cocaina facevano importanti tappe, come la base aerea di Ilopango in El Salvador. Un ex ufficiale della Cia, Celerino Castillo, raccontò come gli aerei carichi di cocaina volassero fino al nord, atterrando impunemente in vari luoghi degli Usa, inclusa la base della Forze Aeree in Texas, tornando con denaro in abbondanza per finanziare la guerra. “Tutto sotto l’ombrello protettivo del governo statunitense”. L’operazione di Ilopango si realizzava sotto la direzione di Félix Rodríguez (alias Max Gómez) in connessione con l’allora vicepresidente George H. W. Bush (padre, ndt) e con Oliver North, che faceva parte della squadra del Consiglio di Sicurezza nazionale di Reagan.
Nel 1982, il direttore della Cia, William Casey, negoziò un “memorandum di intesa” con il Procuratore Generale, William French Smith, che esonerava la Cia da qualsiasi responsabilità relazionata con le operazioni di traffico di droga realizzate dai suoi agenti. Accordo rimasto in vigore fino al 1995.
Reagan e il suo successore, George H. W. Bush, patrocinarono l’“uomo della Cia a Panama”, Manuel Noriega, legato al cartello di Medellín e al riciclaggio di grandi quantità di denaro derivanti dalla droga. Quando Noriega non fu più utile e divenne un ostacolo, gli Usa invasero Panama (20 dicembre del 1989) in un barbaro atto senza precedenti contro il diritto internazionale e la sovranità di un piccolo Paese.
Michael Ruppert, giornalista ed ex ufficiale della narcotici, presentò nel 1997 un’ampia dichiarazione, accompagnata da prove documentali, ai comitati di intelligence (“Select Intelligence Committees”) delle Camere del Congresso. In uno di questi si afferma: «La Cia trafficò con la droga non solo durante il periodo di Iran-contras; lo ha fatto durante tutti i 50 anni della sua storia. Oggi presenterò prove che dimostrano che la Cia, e molte figure celebri durante l’Iran-contras, come Richard Secord, Ted Shackley, Tom Clines, Félix Rodríguez e George H. W. Bush vendettero droga agli statunitensi dall’epoca del Vietnam».
Nel 1999, l’amministrazione Clinton bombardò spietatamente la Jugoslavia per 78 giorni e 78 notti. Anche qui, appare la droga come sfondo. I servizi di intelligence degli Usa e i suoi omologhi di Germania e Gran Bretagna utilizzarono il traffico di eroina per finanziare la creazione e l’equipaggiamento dell’Esercito di liberazione del Kosovo. L’eroina proveniente dalla Turchia e dall’Asia centrale passava per Mar Nero, Bulgaria, Macedonia e Albania (Rotta dei Balcani) con destinazione Italia. Con la distruzione della Serbia e il rafforzamento – desiderato o no – della mafia albanese, l’amministrazione Clinton lasciava aperta la rotta della droga dall’Afghanistan all’Europa occidentale. Stando a informative della Drug Enforcement Administration (Dea) e del Dipartimento di Giustizia degli Usa, l’80% dell’eroina che entra in Europa passa per il Kosovo.
Diverse amministrazioni statunitensi, e in particolare quella di George W. Bush, sono state complici del genocidio in Colombia. La “guerra contro la droga” sostenuta dagli Stati Uniti con risorse finanziarie multimilionarie, assistenza tecnica e ingenti aiuti militari, non è riuscita a fermare il flusso di cocaina ma, al contrario, è stata determinante nella nascita e nello sviluppo dei gruppi paramilitari al servizio dei narcoterratenientes e anche come pretesto per mantenere il dominio sui lavoratori e la popolazione contadina. Il Plan Colombia è risultato un completo fallimento, ma servì come paravento per le ingerenze degli Usa nel Paese e mostrò chiaramento il suo vero scopo, la controinsurrezione.
Si dimentica spesso che il narcotraffico è probabilmente l’affare più redditizio dei capitalisti. Con la guerra in Colombia lucrano le imprese chimiche che producono erbicidi, l’industria aerospazionale che produce elicotteri e aerei, i fabbricanti di armi e, in generale, tutto l’apparato militare-industriale. I miliardi di dollari che genera il traffico illegale di droga incrementa il potere finanziario delle corporazioni transnazionali e della oligarchia locale.
La recente dichiarazione del Segretario di Stato Maggiore delle Farc-Ep (Forze Armate Rvoluzionarie della Colombia - Esercito del Popolo), in occasione del 48° anniversario dell’inizio della lotta armata ribelle, denuncia questo legame droga-capitale: «I soldi del narcotraffico si trasformano in terre, inondano le banche, le finanze, gli investimenti produttivi e speculativi, i complessi alberghieri, la costruzione e la contrattazione pubblica, risultando funzionali e finanche necessari nel gioco della cattura e della circolazione dei grandi capitali che caratterizza il capitalismo neoliberalista di oggi. Stessa cosa succede nel Centroamerica e nel Messico».
Il Trattato di Libero Commercio Stati Uniti-Messico (Nafta) ha obbligato molti contadini, di fronte alla concorrenza dei produttori agricoli statunitensi, a coltivare nelle loro terre marihuana e papaveri. Altri, di fronte all’alternativa del lavoro schiavista nelle maquiladoras (stabilimenti industriali), preferiscono entrare nei cartelli mafiosi della droga. Il grande aumento del traffico di merci attraverso la frontiera e i controlli bancari per combattere il terrorismo hanno reindirizzato il riciclaggio di denaro dalle banche alle corporazioni commerciali. La complessità e il volume delle operazioni finanziarie, e il flusso istantaneo e costante di capitali “online”, rendono estremamente difficile seguire il percorso delle transazioni illecite.
Una delle conseguenze del Nafta è l’impunità quasi totale che accompagna il flusso dei narcodollari verso entrambi i lati della frontiera. Come in Messico, il Trattato di Libero Commercio recentemente entrato in vigore in Colombia darà fiato alla violenza, al narcotraffico e alla repressione dei lavoratori e dei contadini. L’“Iniciativa Mérida” (o Plan México, il trattato internazionale tra Stati Uniti, Messico e Centroamerica contro il narcotraffico, entrato in vigore nel 2008, ndt), è solo la versione Messico-Centroamerica del Plan Colombia. Dobbiamo meditare sul fatto che in tutti gli scenari in cui gli Usa sono intervenuti militarmente, soprattutto in quelli in cui hanno messo a ferro e fuoco il territorio, il narcotraffico, lungi dal diminuire, come sarebbe da sperare, si è moltiplicato e rafforzato. In Afghanistan, la coltivazione di papavero si era ridotta drasticamente durante il governo dei talebani per conoscere invece, sotto l’occupazione statunitense, una crescita accelerata. L’Afghanistan è attualmente il primo produttore di oppio al mondo e, inoltre, non solo lo esporta in altri Paesi in forma di pasta per la sua trasformazione, ma fabbrica eroina e morfina sul proprio territorio.
Se ci atteniamo ai fatti storici, possiamo affermare che la politica degli Usa non è stata quella della “guerra contro la droga” ma quella della “droga per la guerra”.
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