Nessun articolo nel carrello

LA CRISI DEL DEBITO: UNA DEMOCRAZIA SVUOTATA

Tratto da: Adista Documenti n° 30 del 01/09/2012

LE MINACCE GLOBALI

Stiamo affrontando tre grandi minacce globali concrete: l’esclusione della popolazione, il sovvertimento delle relazioni sociali e l’aggressione alla natura. Tuttavia, la minaccia più grande è un’altra: l’inflessibilità assoluta della strategia di globalizzazione. Si tratta, di fatto, della vera minaccia, perché è questa che rende impossibile affrontare le altre. (…).

Il mercato non è un sistema autoregolato. (...). Il mercato come insieme non possiede la minima tendenza all’equilibrio, tendendo sempre, in maniera nuova e sistematica, a crare squilibri. Il mercato è pura volontà di potere.

Le citate minacce globali concrete rappresentano squilibri del mercato. A beneficio di certi equilibri finanziari, tali minacce globali vengono sistematicamente aggravate. (…).

È necessario almeno ricordare le caratteristiche di questa strategia per comprendere in cosa consiste. È la commercializzazione di tutte le relazioni sociali, è la privatizzazione come politica che risponde solo a una questione di principio, senza tenere in alcuna considerazione la realtà. (...). Il fatto che la privatizzazione della metropolitana di Berlino (S-Bahn) abbia avuto pesanti effetti negativi non costituisce alcun argomento contrario alla sua privatizzazione. Contro determinate privatizzazioni non esistono argomenti perché vi sono soltanto articoli di fede. Secondo questa fede, tutte le sfere della vita devono essere sottomesse al mercato, il che significa utilizzarle a vantaggio degli investimenti del capitale. (…).

Tale politica viene considerata a favore della crescita, ma è chiaro che si tratta, principalmente, di una politica di accumulazione totale del capitale. (…).

Questa politica di massimizzazione della crescita, oggi, ha raggiunto i suoi limiti. Quello che il rapporto del Club di Roma, nel 1972, annunciava con il titolo I limiti della crescita oggi è diventato reale. La crisi del 2008 non è semplicemente una crisi del sistema finanziario, ma l’inizio di una crisi prodotta dai limiti della crescita, permanente e senza rimedio. Ciò a cui si assiste è la ribellione dei limiti. (…).

Dal 1987 al 2007, il consumo di petrolio è aumentato di circa di un terzo, con una crescita economica vicina al 5%. Tale crescita non sarebbe possibile senza un analogo aumento del consumo di petrolio e, per questo, senza un aumento corrispondente della sua produzione. Tuttavia, tornare ad avere una crescita simile nel consumo di petrolio nei prossimi 20 anni appare piuttosto impossibile. Pertanto, finché non si troverà un sostituto efficace del petrolio, sembra da escludere anche una crescita del prodotto sociale mondiale di tali proporzioni.

Non è solo il petrolio a mostrare i suoi limiti. In tutti i settori dell’economia emergono prodotti imprescindibili per il processo di crescita ma disponibili in maniera limitata, senza che si incontrino sostituti adeguati con la velocità che sarebbe necessaria. (…). La crisi ambientale porrà, sempre di più, limiti a questo processo di crescita, limiti che a un certo punto dovranno necessariamente essere tenuti in considerazione.

Peraltro, la ricerca di sostituti del petrolio presenta conseguenze perverse. Attualmente, la produzione agraria è ancora in espansione, ma la produzione di alimenti, al contrario, tende a contrarsi. Mais, soia, olio di palma, zucchero e molti altri prodotti vengono trasformati in combustibile per automobili. Negli Stati Uniti si tratta di oltre un terzo della produzione di mais. Nel XVI secolo, in Inghilterra si diceva: le pecore divorano le persone. (...). Oggi dovremmo dire che sono le automobili a divorare le persone. (…).

LA CRISI DEL DEBITO

Finora abbiamo parlato di squilibri provocati ed enormemente rafforzati dal mercato delle merci (...). Si tratta di squilibri che riguardano la vita reale. Ma appaiono anche altri squilibri, in relazione allo stesso mercato, che rafforzano spaventosamente gli squilibri della vita reale. In questo senso, quello più importante deriva dai processi di indebitamento.

Attualmente, ci troviamo nuovamente di fronte ad uno di tali processi di indebitamento, che stavolta riguarda soprattutto i Paesi europei. L’indebitamento raggiunge un livello tale, nei Paesi più indebitati, da risultare impagabile. Ma il fatto che tale debito non possa più essere pagato è esattamente quello che vogliono le banche. (...). I Paesi indebitati possono così venire saccheggiati senza la minima possibilità di difendersi. Tutto quello che può far gola al capitale è venduto a prezzo stracciato. Tuttavia, i debiti, invece di ridursi, molte volte aumentano. (...). Il Paese che non è in condizione di pagare deve restituire almeno quello che può, perdendo in tal modo la sua indipendenza. (…). Sarà prosciugato il più possibile, ma senza esagerazioni, in maniera che sia possibile contunuare a saccheggiarlo in futuro. (…).

Si sta dunque passando per una situazione di indebitamento simile a quella vissuta negli anni ’80 in America Latina. Gli aggiustamenti strutturali che allora sono stati imposti a questi Paesi hanno condotto al saccheggio di tutto un continente. In gran parte, lo Stato sociale è stato dissolto e si è proceduto a privatizzare tutto quello che era possibile. Si è prodotta così una spaventosa miseria tra la popolazione ed è stata devastatata la natura in misura maggiore che in qualsiasi epoca storica precedente. L’indebitamento è stato la leva che ha reso possibile sottomettere tutta l’America Latina alla strategia di globalizzazione, che è cieca e irrazionale.

Gli stessi aggiustamenti strutturali vengono oggi imposti ai Paesi indebitati d’Europa, ma, questa volta, per iniziativa degli stessi Stati europei, che operano in questo modo perché il capitale ha il potere di imporre loro tale politica. (…).

Non tenterò di proporre una possibile soluzione. Al contrario, voglio sottolineare il fatto che la storia presenta un caso in cui una crisi di indebitamento è stata risolta evitando che si scatenassero processi distruttivi. È stato il caso della crisi di indebitamento seguita alla fine della II Guerra Mondiale.

Una crisi analoga del debito si era registrata anche dopo la I Guerra Mondiale. Tuttavia, in quel caso, non si era cercata una soluzione, ma erano stati semplicemente imposti pagamenti durissimi, senza considerare neppure le possibili conseguenze. Tale cecità dogmatica è stata una delle principali ragioni del successivo trionfo del nazismo in Germania, che avrebbe scatenato la II Guerra Mondiale. Keynes, che aveva partecipato ai negoziati di pace a Versailles, nel 1919, aveva avvertito, nel suo libro sul trattato di Versailles, del pericolo di un esito di questo tipo, in conseguenza della posizione dei vincitori.

Al termine della II Guerra Mondiale, invece, la gestione del debito è stata completamente diversa. Si può dire che sia stata assolutamente ragionevole e giusta. Riassumo brevemente tale politica per poi spiegare come mai questa sia stata possibile dopo la II Guerra Mondiale e per quali ragioni oggi non si sia tratto alcun insegnamento da questa esperienza. Tant’è che neppure la si menziona.

Essenzialmente, si è trattato delle seguenti misure, applicate in maniera coordinata:

1. Si è partito da un annullamento quasi completo di tutti i debiti dell’Europa Occidentale, compreso quello della Germania, in gran parte sotto forma di una moratoria a lungo termine. Nell’arco di tempo di questa moratoria, non si sono calcolati interessi sui debiti non pagati. (...).

2. Su tale rinvio del pagamento sono stati dati nuovi crediti senza interessi e a lungo termine: i crediti del piano Marshall. (…).

3. Si è fondata un’Unione Europea dei Pagamenti per evitare il sorgere di nuove relazioni di indebitamento tra i Paesi europei. (…).

4. Sono state imposte alte tasse sul rendimento del capitale e sugli alti rendimenti in generale. Un’imposta sull’eredità e sulle proprietà.

5. È stato fondato lo Stato sociale. Sono aumentate significativamente le spese sociali in quello che ha preso il nome di Welfare State e che sarebbe poi stato presentato come volto umano del capitalismo.

È questo il nucleo di tale ragionevolissima politica, che ha riportato un considerevole successo. Senza di essa, il recupero economico dell’Europa avrebbe tardato molto di più.

Le domande che dobbiamo porci sono le seguenti: perché questa politica è stata possibile dopo la Seconda Guerra Mondiale e non dopo la Prima? E perché questa politica applicata al termine della II Guerra Mondiale non è possibile ora di fronte all’attuale crisi del debito proprio come non è stata possibile negli anni ’80 in America Latina?

La ragione è chiara. All’epoca, era iniziata la guerra fredda con l’Unione Sovietica e i partiti comunisti erano molto forti, soprattutto in Francia e in Italia. Il sistema capitalista si sentiva minacciato nella sua stessa esistenza.

Il sistema percepì il pericolo e reagì come sistema globale. Ciò condusse a misure che appaiono completamente incomprensibili dal punto di vista della logica del capitalismo, ma che si spiegano bene nel quadro della guerra fredda. In questo senso, si trattava di un’economia di guerra, che comportava la sospensione della logica capitalista all’interno dello stesso capitalismo. (…).

Certamente, senza queste misure sarebbe avvenuto qualcosa se possibile peggiore a quanto verificatosi dopo la I Guerra Mondiale.

Ciò dimostra assai chiaramente come i banchieri, e anche i politici, siano ben consapevoli della catastrofe assolutamente non necessaria provocata dalla loro politica di cieca riscossione del debito e siano altrettanto consapevoli di quale sarebbe un’efficace, oltre che umana, soluzione alla crisi debitoria. E come abbiano scelto volutamente di commettere il crimine che comporta l’imposizione di un pagamento indiscriminato. (…).

I banchieri e i politici si rendono perfettamente conto delle catastrofi sociali che stanno producendo, ma non vedono la minima ragione per limitare gli affari che stanno realizzando sulle spalle delle popolazioni e della natura. La prova del fatto che si è consapevoli di tutto questo è che ciò appariva perfettamente chiaro dopo la II Guerra Mondiale, per quanto quasi nessuno ne parli. Sacrifichiamo vite umane e commettiamo grandi genocidi e ne siamo consapevoli a livello subcosciente. (…).

Ciò che ha costituito la soluzione dopo la II Guerra Mondiale è qualcosa di assolutamente unico nella storia del capitalismo. La crisi del debito è un affare troppo buono per rinunciarvi, a meno che non risulti inevitabile per assicurare l’esistenza stessa del sistema. Quanto peggiore la crisi del debito, tanto migliore risulta l’affare che si presenta allorché un Paese non è più in condizione di pagare. In questo caso, al creditore passa ad appartenere tutto ciò che si trova nel Paese. Possiamo oggi vederlo in Grecia, dove è in corso un genocidio economico di questo tipo. Ciò si estenderà a molti altri Paesi. Alla fine, arriverà anche a quelli dominanti, perché il potere economico persegue anche il saccheggio del proprio Paese, nello stesso modo in cui lo attua in Paesi stranieri. Gli Stati Uniti sono avanzati in questa direzione, ma anche la Germania passerà esattamente per la stessa via, dopo aver condotto alla rovina gli altri Paesi europei.

(…) Quando è possibile pagare i debiti solo con nuovi debiti, il debito totale cresce senza alcun limite, alla velocità di progressione degli interessi composti. Tutto viene divorato. Gli Stati Uniti si trovano oggi in un tale automatismo del debito, il cui termine nessuno può prevedere.

Le misure che si stanno adottando sono esattamente contrarie a quelle applicate in occasione della crisi debitoria successiva alla II Guerra Mondiale, ma non se ne discute neppure. Attualmente, proporre una reazione alla crisi del debito analoga a quella che si ebbe allora – è chiaro, senza copiarla meccanicamente – viene considerata una cosa da pazzi, oltre che estremista. Nella nostra ipocrita società, chi rifiuta questi genocidi economici viene considerato estremista, mentre chi li appoggia appare moderato e realista.

Per noi, dal punto di vista della nostra società, è chiaro: il capitalismo non ha più bisogno di mostrare un volto umano e, per questo, qualunque spesa sociale e qualunque considerazione relativa ad un’umanizzazione della società non significano altro che denaro sprecato.

LO SVUOTAMENTO DELLA DEMOCRAZIA

Abbiamo indicato due elementi decisivi dell’attuale crisi. Da un lato, la strategia di globalizzazione è diventata l’ostacolo decisivo per ottenere una risposta alle grandi minacce che incombono sul nostro mondo: l’esclusione di fasce sempre più grandi della popolazione mondiale, la dissoluzione interna delle relazioni sociali e la sempre più evidente devastazione della natura. Dall’altro, la totale subordinazione della politica all’automatismo del debito si è trasformata nel motore di questo processo distruttivo.

Sono i Paesi democratici, ossia quelli che si presentano arrogantemente come democrazie modello, a imporre questa politica al mondo intero. Finora, tali Paesi possiedono maggioranze interne a favore di questa politica e condannano tutti i governi che non l’accettano incondizionatamente come non democratici. Nel caso invece si sottomettano a questa politica, tali governi sono invece definiti democratici, anche se chi li guida si chiama Pinochet o Mubarak. Perlomeno, democratici nella loro essenza, anche se non nella loro apparenza. È questo il criterio seguito dalle democrazie modello, soprattutto degli Stati Uniti e dell’Europa. È con questo criterio che democratizzano il mondo.

Ma perché esistono maggioranze a favore di questa deficienza mentale? Brecht diceva: soltanto i vitelli più grossi e stupidi si scelgono da sé i loro macellai (Nur die allergrössten Kälber wählen ihre Schlächter selber). Tuttavia, continuano a sceglierli. Anche se non sempre.

Si tratta di quella che viene definita sovranità popolare, che si suppone propria delle democrazie modello: tutto il potere deriva dal popolo. Tuttavia, questa sovranità popolare presenta un punto problematico. Attualmente, consiste nel fatto che il popolo dichiara sovranamente che il potere economico, e pertanto il Capitale, è sovrano. In Germania la cancelliera Merkel ha dichiarato: «La democrazia deve essere in accordo con il mercato». Ciò è stato detto in maniera molto specifica. Vuol dire che il mercato è un essere autoregolato che non deve subire l’intervento di alcuna volontà umana e pertanto neppure della volontà espressa nelle scelte del popolo sovrano. Per l’Unione Europea questo è il contenuto centrale della sua Costituzione.

È proprio l’affermazione secondo cui il potere economico è sovrano che deve essere confermata dalla sovranità popolare. Secondo i nostri apologeti del mercato, la sovranità popolare smette di essere democratica nel caso non affermi tale sovranità del Capitale. (…).

È questo svuotamento della democrazia che ha avuto luogo nelle democrazie modello. Il popolo rinuncia alla sua sovranità e la cede al potere economico, che si rende presente come Capitale. I metodi per ottenerlo sono molti. Ne voglio ricordare solo due, che hanno un carattere centrale: la creazione dell’opinione pubblica, nel senso dell’opinione pubblicata, e l’ampio condizionamento della politica attraverso il finanziamento delle elezioni.

Al momento attuale, il dominio sui mezzi di comunicazione è esercitato quasi totalmente da società del capitale, che ne detengono la proprietà. Tali mezzi di comunicazione si basano sulla libertà di stampa, che è la libertà dei proprietari dei mezzi di comunicazione. (…).

Il diritto umano non è la libertà di stampa, ma la libertà di opinione di tutti, e pertanto universale. Invece, nel fare della libertà di stampa l’unico criterio per i diritti di opinione nei mezzi di comunicazione, la libertà di stampa si è trasformata in uno strumento sommamente efficace per il controllo della libertà dell’opinione universale. (…).

Il potere economico come vero sovrano è un partecipante importante delle elezioni, e molte volte decisivo. Partecipa sempre, ma la sua presenza è invisibile e possiamo solamente dedurla. Questo grande altro attore è presente anche quando esso stesso non ne ha coscienza. È presente nelle scelte dei candidati, nei discorsi e nei mezzi di comunicazione.

IN NOME DELLA DIGNITÀ UMANA

(…) Gli Indignati in Spagna si sono resi conto di questo svuotamento democratico che li dominava, sottraendo loro qualsiasi possibilità di partecipazione. Per questo, sono passati ad esigere “democrazia reale ora”, di fronte a un sistema che si presenta, persino attraverso la polizia, come democrazia autentica.

(…) Che i cittadini prendano coscienza della sovranità popolare è il grande pericolo per le democrazie modello. La sovranità popolare non è il prodotto di una legge che la riconosce; al contrario, la legge che la riconosce parte dal fatto che un popolo che sa di essere sovrano e che opera in maniera conseguente è effettivamente sovrano, che ci sia o meno la legge. È questa sovranità popolare che le nostre democrazie devono trasformare in sovranità del mercato e del Capitale; tuttavia, possono fallire ed è questo che temono quando prendono avvio insurrezioni popolari democratiche.

Oggi tali insurrezioni sono in corso, e altre se ne annunciano. (…).

Questi movimenti popolari sono apparsi con una forza particolare, nel 2011, nei Paesi arabi, soprattutto del Nordafrica.

(...) Nelle democrazie occidentali è scattato l’allarme. (…). Successivamente, è stato offerto sostegno, ma sempre con lo stesso obiettivo: fondare democrazie che pongano la sovranità del mercato e del Capitale al di sopra della sovranità popolare. Si vogliono “democrazie vere”. Ciò sembra ancora più facile quando la ribellione dei movimenti popolari si rivolge contro i regimi dittatoriali, per quanto questi abbiano sempre contato, anteriormente, con l’appoggio quasi assoluto delle nostre democrazie modello. Per questo, amici della libertà come Mubarak e Gheddafi sono stati condannati come mostri da un giorno all’altro. Prima erano buoni, poi sono diventati cattivi. Ma dietro di ciò c’e solo la preoccupazione di creare anche in questi Paesi democrazie svuotate, come lo sono attualmente le democrazie occidentali. (…).

Su questo cammino, sono seguite le proteste democratiche in Spagna, cioè all’interno di una di queste democrazie modello occidentali. Anche questo movimento anela alla democrazia, mostrando chiaramente di sfidare un sistema in cui i politici – quasi tutti – fanno politica a servizio dei poteri del mercato e del capitale, e rappresentano questi come poteri sovrani. In Argentina, nel 2001, questi ribelli gridavano: “que se vayan todos”, che se ne vadano via tutti.

In Spagna, il nome scelto per questo movimento, che prima era già stato dato ad alcuni movimenti arabi, è significativo. Si sono denominati “indignati”, nel senso di sentirsi esseri umani la cui dignità è stata disprezzata e calpestata. Lo stesso sistema dominante si è trasformato in un sistema di negazione della dignità umana. (…).

Esseri umani protestano e si ribellano perché la loro dignità umana è stata violata. Vogliono un’altra democrazia,  essendo la violazione della loro dignità un prodotto della stessa logica dello svuotamento democratico. (…).

Si tratta, insomma, della ribellione in nome della dignità umana. E non soltanto di questa, ma anche della dignità della natura. Gli esseri umani non si riducono a capitale umano e la natura non si riduce a capitale naturale. Esiste qualcosa come la dignità. Da molto tempo le democrazie occidentali se ne sono dimenticate. Si tratta, allora, del recupero della dignità umana: un trattamento degno nei confronti dell’essere umano, dell’altro essere umano, di se stessi e della natura.

Gli indignati non parlano in nome di interessi e di un’utilità da raggiungere. Parlano in nome della loro dignità umana, al di sopra della quale non è possibile alcun calcolo utilitaristico. (...). Tuttavia, la nostra società è così disumanizzata che questo orizzonte della dignità umana è quasi scomparso, con la conseguenza che quasi tutti si considerano e si lasciano considerare come capitale umano. È il mercato che indica quello che dobbiamo fare con l’essere umano. E il mercato dice quello che dicono i nostri banchieri. E i politici dicono quello che prima dicono i banchieri. Per questo, se il mercato lo ritiene utile, il genocidio può prendere il via in qualsiasi momento. Allora, il mercato si trasforma in quello che Stiglitz ha definito come armi finanziarie di distruzione di massa, che oggi realizzano il loro compito in Grecia e in Spagna.

Il potere economico lascia morire, il potere politico esegue. (...). Entrambi sono assassini. (...).

UCCIDERE LASCIANDO MORIRE

La denuncia dell’assassinio ordinato dal potere economico ha una storia. Nella Bibbia ebraica viene denunciato espressamente: «Uccide il prossimo chi gli toglie il nutrimento, versa sangue chi rifiuta il salario all'operaio» (Siracide, 34, 22).

(…) In Adam Smith, questo lasciar morire diviene legge di mercato (...). Secondo Smith, i mercati lasciano sempre morire coloro che all’interno delle leggi del mercato non hanno possibilità di vivere, e così deve essere. Fa parte della legge del mercato. L’equilibrio della mano invisibile si ottiene lasciando morire quelli che cadono nella miseria. (…).

È interessante il fatto che Adam Smith presenti questo lasciar morire come conseguenza di una legge di mercato. Pertanto, c’è un legislatore che condanna alla morte e questo legislatore è il mercato.

In questo modo, cioè come legge, tutto ciò continua ad essere valido ancora adesso e lo viviamo, proprio ora, con la condanna del popolo greco alla miseria (…).

Oggi, tutta la strategia di globalizzazione è considerata una legge di mercato da rispettare ciecamente. Ciò vale, soprattutto, per la sottomissione di tutte le relazioni sociali alle relazioni del mercato e per la privatizzazione, quanto più possibile estesa, di tutte le istanze della società. (...).

La legge risolve tutti i problemi legati a una possibile cattiva coscienza di quanti commettono il crimine. Stanno rispettando una legge e, pertanto, non commettono alcun crimine. È proprio questo che è avvenuto in Grecia. Il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Centrale Europea, il Consiglio Europeo e i governi Merkel e Sarkozy sono considerati innocenti rispetto al crimine che hanno effettivamente commesso in nome di una legge promossa dalla società borghese. Deve essere stato coltivato un cuore di pietra nei nostri dirigenti, perché siano capaci di fare quello che fanno.

Quando si opera in questo modo, la coscienza morale fa una capriola. C’è ora cattiva coscienza se i crimini non vengono commessi, diventando questi un dovere rispetto al compimento della legge.

(…) Si opera addirittura un capovolgimento di posizione. Chi opera queste violazioni dei diritti umani si sente talmente libero da qualsiasi crimine da godere in maniera sadica delle sofferenze delle vittime. (...). Nel 1991, il capo della Nestlé, Maucher, scrisse un articolo nella rivista degli imprenditori tedeschi in cui dichiarava che nella sua impresa c’era bisogno di dirigenti con “Killerinstinkt”, cioè con l’istinto di uccidere.

Non è solo la Nestlé ad aver bisogno di “Killerinstinkt” perché la sua cioccolata risulti deliziosa (…). Questo Killerinstinkt è necessario per alimentare tanto la violenza diretta quanto quella del lasciar morire in nome del mercato. (...).

L’ALTERNATIVA

Questo assassinio ordinato dal mercato non è mai l’unica strada, per quanto sia sempre presentato come tale dai mezzi di comunicazione. Esiste sempre l’alternativa della regolamentazione e della canalizzazione dei mercati, proprio come è stato possibile dopo la II Guerra Mondiale. Ma questo significa necessariamente intervenire nei privilegi di quanti detengono il potere economico. Tuttavia, la nostra società vive a tal punto l’idolatria del potere da non considerare neppure tale alternativa, con la conseguente trasformazione di tutta la società in assassina e criminale.

Attualmente, la sfida è quella di dare vita a una società capace di regolamentare e canalizzare il mercato ad un livello tale da impedirgli di pronunciare condanne a morte. È questa la società di cui si tratta.

CONSIDERAZIONI FINALI

Per questo scritto, mi sono basato su un recente e straordinario discorso di Theodorakis come pure sulle posizioni di Jean Ziegler. Posizioni del genere sono considerate dai nostri mezzi di comunicazione, in modo unisono, come estremismi. Partecipare a questi genocidi economici è ritenuto realismo. Rifiutarli è estremismo. È così che deve essere in una società organizzata dai responsabili di tali genocidi.

Theodorakis era presente al tempo dell’occupazione militare della Grecia da parte delle truppe tedesche durante la II Guerra Mondiale, quando hanno avuto luogo il saccheggio dell’intero Paese e l’assassinio di circa un milione di persone. Ha fatto parte della resistenza greca e ha conosciuto personalmente le prigioni della Gestapo. Ebbene, dopo la guerra, la Germania, che era la responsabile, non aveva alcun debito con la Grecia. Si trattava infatti di debiti impagabili, che pertanto erano stati annullati. Tuttavia, oggi la Grecia deve alla Germania somme che sono anch’esse assolutamente impagabili, ma la Germania non annulla tale debito ed esige anzi che venga pagato fino all’ultimo centesimo. Ancora una volta la Germania procederà, in nome di questo debito, ad un completo saccheggio del Paese e realizzerà un genocidio economico senza pietà. Eppure, in Germania si intravede appena una resistenza di fronte a un tale scandalo. Una delle poche eccezioni è costituita da Günter Grass, che, tuttavia, è stato maltrattato da quasi tutti i mezzi di comunicazione. La Germania, che una volta si proclamava il Paese dei poeti e dei filosofi, distrugge le sue radici. Una di queste radici è la Grecia.

Nel suo discorso, Theodorakis ha dichiarato che ora tutto è passibile di privatizzazione, anche l’Acropoli. Non ho dubbi che il capitale tedesco sia capace, con piacere, di comprarla e di dichiararla proprietà di qualche banca tedesca. E i filosofi tedeschi? Celebreranno questo favoloso successo? Cosa avrebbe detto Hölderlin?

Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.

Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!

Condividi questo articolo:
  • Chi Siamo

    Adista è un settimanale di informazione indipendente su mondo cattolico e realtà religioso. Ogni settimana pubblica due fascicoli: uno di notizie ed un secondo di documentazione che si alterna ad uno di approfondimento e di riflessione. All'offerta cartacea è affiancato un servizio di informazione quotidiana con il sito Adista.it.

    leggi tutto...

  • Contattaci

  • Seguici

  • Sito conforme a WCAG 2.0 livello A

    Level A conformance,
			     W3C WAI Web Content Accessibility Guidelines 2.0

50 anni e oltre

Adista è... ancora più Adista!

A partire dal 2018 Adista ha implementato la sua informazione online. Da allora, ogni giorno sul nostro sito vengono infatti pubblicate nuove notizie e adista.it è ormai diventato a tutti gli effetti un giornale online con tanti contenuti in più oltre alle notizie, ai documenti, agli approfondimenti presenti nelle edizioni cartacee.

Tutto questo... gratis e totalmente disponibile sia per i lettori della rivista che per i visitatori del sito.