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Come il Sudafrica dell’apartheid. La criminale politica di Israele nei Territori Occupati

Tratto da: Adista Documenti n° 35 del 06/10/2012

DOC-2472. ROMA-ADISTA. Entro il 2020 la Striscia di Gaza non sarà più vivibile. La popolazione passerà dall’attuale milione e mezzo a quota 2,1 milioni di abitanti, vale a dire 5.800 persone per km quadrato (contro le 201 del nostro Paese), e in mancanza di azioni urgenti non ci saranno né acqua né energia elettrica sufficienti. A lanciare l’allarme è Maxwell Gaylard, coordinatore dell'Ufficio Onu per gli Affari Umanitari nei Territori palestinesi occupati, che, il 27 agosto scorso, assieme a Jean Gough dell'Unicef e a Robert Turner dell'Unrwa, ha diffuso i dati del rapporto “Gaza nel 2020, un luogo vivibile?”. La posta in gioco è così alta, qui come nel resto dei Territori occupati, da rendere improrogabile l’adozione di misure sostanziali. Ma c’è ancora chi fa orecchie da mercante.

In estate l’organizzazione Breaking the Silence, che riunisce ex soldati israeliani “pentiti”,  ha divulgato un dossier che dà conto delle vessazioni cui l’esercito israeliano sottopone il popolo palestinese nella più assoluta impunità: la notizia è, sì, rimbalzata qua e là sulla stampa internazionale, ma niente di più.

E c’è di peggio. A dispetto di tutti i documenti in cui mette in rilievo il mancato rispetto dei diritti umani da parte di Israele, nel mese di luglio l’Unione Europea ha approvato il rafforzamento delle relazioni bilaterali (regolate dall’Accordo di Associazione entrato in vigore nel 2000) attraverso l’apertura di ben 15 nuovi settori di cooperazione e circa 60 progetti. Il 18 settembre, poi, la Commissione per il Commercio Internazionale del Parlamento Europeo ha approvato (con 15 voti a favore, 13 contro e 2 astenuti) l’Agreement on Conformity Assesment and Acceptance (ACAA), l’accordo che regola la “conformità e l’accettazione dei prodotti industriali” negli scambi commerciali tra Unione Europea e Israele, con il quale, di fatto, i prodotti industriali europei potrebbero essere esportati in Israele e viceversa senza il bisogno di un’ulteriore certificazione nel Paese importatore. Scelte sulle quali – in attesa che il Parlamento Europeo in sede plenaria dica la sua il prossimo ottobre – è piombata la condanna dell’Euro-Mediterranean Human Rights Network (EMHRN) e del Centro palestinese per i diritti umani (Pchr), nonché di un ampio ventaglio di organizzazioni palestinesi (tra cui One Democratic State Group, piattaforma che raccoglie diversi gruppi di attivisti palestinesi) che, in una lettera aperta dell’agosto scorso, fanno appello all’Unione Europea affinché non si limiti a condannare a parole le politiche di apartheid di Israele che, consapevole del fatto che «l’Europa abbaia ma non morde», continua ad agire indisturbato.

Ma la UE non è stata l’unica a essere chiamata in causa in questi giorni. Alla vigilia della 21.ma sessione del Consiglio per i diritti umani Onu in programma a Ginevra dal 10 al 28 settembre, Pax Christi International e il Consiglio Ecumenico delle Chiese (CEC) hanno inviato una lettera congiunta al segretario generale dell'Onu in cui denunciano le sistematiche violazioni dei diritti umani in atto a Gerusalemme Est. Violazioni che - scrivono, raccomandando la nomina di un relatore speciale delle Nazioni Unite per Gerusalemme - «compromettono la possibilità di un futuro di pace», tanto più che, a causa dello status particolare di Gerusalemme, «non riguardano solo i suoi abitanti, ma la comunità globale in generale».

Di seguito, in una nostra traduzione dall’inglese, il testo della lettera aperta all’UE da parte delle organizzazioni palestinesi; un articolo di Gerard Horton (avvocato del Defence for Children International) sul trattamento riservato ai bambini palestinesi nelle carceri israeliane, apparso sull’ultimo numero di Cornerstone, il trimestrale del Centro ecumenico di Teologia della Liberazione Sabeel di Gerusalemme, e il testo della lettera di Pax Christi International e del Consiglio Ecumenico delle Chiese al segretario generale dell’Onu. (ingrid colanicchia)

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