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(RI)LANCIARE IL MADE IN ITALY INSIEME ALLE BOMBE? “SALPA” IL TOUR DEL MINISTERO DELLA DIFESA

Tratto da: Adista Notizie n° 41 del 23/11/2013

37387. ROMA-ADISTA. Dell’uso improprio dei mezzi militari, o del tentativo di “riciclarli” in attività non militari e magari umanitarie per rendere il loro ingiustificabile costo più digeribile all’opinione pubblica abbiamo ampiamente detto. Basti pensare all’operazione di soccorso e pattugliamento “Mare nostrum”. (v. Adista Notizie n. 39/13). Fa scuola, in quest’ottica, la campagna navale “Sistema Paese in movimento”, che intende rilanciare il made in Italy nel mondo attraverso una fiera itinerante promossa nientemeno che a bordo della portaerei Cavour, la quale, a capo di una piccola flotta della Marina militare italiana, raggiungerà 13 porti africani e sette del Golfo Persico. Zone, ha sottolineato il ministro Mario Mauro, «che sono strategiche per i nostri investimenti».

Il lancio del tour di cinque mesi a bordo della portaerei che costa allo Stato circa 200mila euro al giorno (100 da ferma), partito da Civitavecchia il 13 novembre scorso, vede il coinvolgimento dei Ministeri della Difesa, degli Esteri, dello Sviluppo economico, dei Beni culturali e del Turismo, con l’Expo 2015 e l’Istituto nazionale per il Commercio Estero, più tutta una serie di imprese “strategiche” tra cui Finmeccanica, Fincantieri, Selex Es, Pirelli, Piaggio Aero e FederLegnoArredo e Beretta. A conti fatti, in esposizione ci saranno principalmente materiali bellici. E tanti saluti al Trattato Onu sulle armi che, ha ricordato Giulio Marcon, indipendente di Sel, impone il «divieto di venderne a Paesi che violano i diritti umani» e fa sì che sulla missione si sollevino dubbi di moralità ma anche di legalità.

Non mancano poi gli specchietti per le allodole. Partecipano infatti al progetto anche organizzazioni umanitarie, come Croce Rossa italiana, Operation Smile e la Fondazione Francesca Rava, a dimostrare che, nel “Sistema Italia”, umanitario e militare vanno sempre a braccetto, e l’uno giustifica e legittima l’altro.

Al di là di un generico «rilancio della competitività italiana nel mondo», quali sono i reali incarichi di una missione che ha mobilitato tante risorse? Secondo il sito della Marina militare, il gruppo navale guidato dalla portaerei «ricoprirà molteplici ruoli tra cui: assistenza umanitaria nei confronti delle popolazioni, promozione delle eccellenze imprenditoriali italiane, sicurezza marittima attraverso operazioni di antipirateria e protezione del traffico mercantile nazionale, sostegno alle Marine dei Paesi rivieraschi, in funzione di cooperazione, sviluppo, modernizzazione e supporto alla politica estera nazionale». Dentro la campagna “Sistema Paese in movimento”, insomma, c’è tutto e il contrario di tutto – militare, umanitario, commerciale e diplomatico, pubblico e privato – e la scarsa chiarezza sui suoi reali intenti sembra farla da padrone, tanto che in molti hanno chiesto al ministro Mauro di chiarire in Parlamento.


Improprio e inopportuno

La trovata non è andata giù ad alcuni esponenti di Sinistra Ecologia e Libertà che hanno subito presentato un’interrogazione parlamentare. Durante l’esposizione itinerante, denunciano Franco Bordo, Arturo Scotto, Donatella Duranti, Michele Piras e Giulio Marcon, «è prevista una preponderante presenza di imprese industriali del settore militare e di produzione di sistemi d'arma con relativo marketing dei propri prodotti», tra cui elicotteri da guerra, cannoni navali, sistemi radar e di combattimento, missili, ecc. L’operazione solleva poi diversi nodi che meritano un chiarimento istituzionale: «L’utilizzo di un gruppo navale della nostra flotta militare per scopi di natura commerciale, relativamente a prodotti di natura bellica»; «la scelta di utilizzare ingenti risorse del bilancio dello Stato» in un momento di crisi e di tagli; l’opportunità e la legittimità della «scelta di andare a vendere armamenti a Paesi governati da regimi non democratici e/o con conflitti interni in corso».

«Intendiamo far uscire allo scoperto il governo rispetto ad argomenti su cui abbiamo aperto una discussione da tempo», ha aggiunto Piras, «perché stanno investendo sull’industria bellica e il commercio delle armi mentre investimenti di altro tipo non se ne vedono». «Finmeccanica per esempio sta dismettendo interi settori civili e nel frattempo continua a investire nel settore degli armamenti». E conclude: «Lo Stato non dovrebbe fare il promoter delle armi e dell’industria bellica. In questo discutibile settore, il privato curi il suo lucro senza il sostegno del pubblico».

Intanto, il gruppo dei parlamentari Sel, capitanato da Gennaro Migliore, ha lanciato, sul sito Change.org, la petizione “Fermiamo il tour bellico della Cavour”, ricordando che «l’impegno dell'Italia dovrebbe andare nella direzione della pace e della diplomazia. Non privilegiare l'industria militare come strumento di politica estera. Chiediamo che il governo risponda in Parlamento di questa scelta, affinché la Marina Militare non sia trasformata in un supermarket di prodotti militari».


Nave inutile, incarichi ambigui

Ha denunciato il «silenzio tombale» di larga parte del mondo politico e dei media l’analista della Rete italiana per il Disarmo Giorgio Beretta, in un articolo pubblicato su Unimondo il 7 novembre scorso. «Sono rimasto anche stavolta l’ultimo dei Mohicani a trovare un po’ più che “discutibile” l’impiego di una portaerei per “attività promozionali del sistema Paese”?», si è chiesto, ricordando anche che la Rete italiana Disarmo fu in prima linea, insieme alla Tavola della Pace, nel contestare la decisione del governo italiano di inviare la portaerei Cavour in “missione umanitaria” ad Haiti, colpita nel 2010 da un terribile terremoto. «Ho sempre pensato che le portaerei fossero “navi da guerra”», incalza Beretta, «e servissero fondamentalmente» «per fare la guerra. Non per fare “operazioni umanitarie” o di promozione del “sistema Paese”. Se non ci serve a questo diciamocelo chiaro. E vendiamola».


Squallore dopo squallore

«Praticamente le forze armate vanno in giro a piazzare armi, una sorta di vendita porta a porta», ironizza anche Pax Christi in un “primo piano” di Antonio Lombardi sul sito del movimento (8 novembre). Due gli aspetti intollerabili della campagna navale. Primo, «verranno toccate le due zone del pianeta più sconvolte dalle guerre, per proporre l’acquisto di altre armi». Secondo, «c’è una pennellatina qua e là di iniziative umanitarie (come le cure oftalmiche per bambini) che aggiunge squallore a squallore: si usano le sofferenze per giustificare il commercio di armi, per incentivare cioè di fatto le guerre che impoveriscono i popoli. Regaliamo occhiali ai bambini africani, in cambio di lauti contratti di vendita di missili e cannoni sottoscritti dagli adulti che li uccideranno».


Caro Giorgio…

Il 13 novembre, a poche ore dalla partenza della campagna, si è aggiunto al coro dei “no” un appello al presidente Giorgio Napolitano, lanciato da un cartello di associazioni pacifiste e non governative, laiche e cattoliche, aderenti alla Rete italiana per il disarmo, tra cui Acli, Amnesty International, Archivio Disarmo, Arci, Associazione Obiettori Nonviolenti, Associazione Papa Giovanni XXIII, Associazione per la Pace, Attac, Beati i costruttori di Pace, Campagna Italiana contro le Mine, Cimi (Conferenza degli Istituti Missionari in Italia), Fim-Cisl, Fiom, Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Gruppo Abele, Libera, Mani Tese, Movimento Internazionale della Riconciliazione, Movimento Nonviolento, Pax Christi, PeaceLink, Rete di Lilliput, Rete Radiè Resch, Un ponte per...

La missione navale, si legge nell’appello, «mescola una serie di attività» «che riteniamo sia importante continuare a tenere separate. Soprattutto crediamo che promuovere la vendita di sistemi militari o sostenere iniziative di tipo commerciale abbinandole ad operazioni umanitarie non sia un compito che il nostro ordinamento attribuisce al Ministero della Difesa o alle Forze Amate». La promozione di sistemi d’arma non compete al ministro della Difesa, né può essere condotta fuori dagli obblighi che derivano dall’art. 11 della Costituzione o dalla legge 185 che ad essa rinvia.

Inoltre, si legge più avanti, «l’impiego di organizzazioni umanitarie da parte di attori militari e commerciali mette in discussione non solo l’indipendenza, la neutralità e l’imparzialità delle organizzazioni autenticamente umanitarie, ma anche la stessa possibilità che gli operatori umanitari continuino ad intervenire efficacemente e in relativa sicurezza nei contesti di crisi».Il pasticcio della Cavour rischia poi di ripercuotersi anche sul piano comunitario, dopo i ripetuti pronunciamenti dell’Unione europea che hanno evidenziato come «la crisi economica stia trasformando alcuni Ministeri della Difesa in espliciti promotori delle esportazioni di armamenti. Una tendenza che, per sostenere la competitività delle industrie militari dei rispettivi Paesi, rischia di mettere a repentaglio gli sforzi in ambito comunitario per definire una politica organica di sicurezza e di difesa comune». In quanto garante della Costituzione, scrivono le associazioni al presidente della Repubblica, «le chiediamo di esprimersi su questa operazione che a nostro avviso configura un impiego delle Forze armate che non risponde al nostro ordinamento, e di agire affinché il programma della Campagna navale venga discusso a livello istituzionale». (giampaolo petrucci)

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