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L’ARCIVESCOVO DI PALERMO NEGA GLI IMMOBILI DELLA CURIA AI SENZA CASA. E LORO SCRIVONO AL PAPA

Tratto da: Adista Notizie n° 41 del 23/11/2013

37390. PALERMO-ADISTA. «Gli immobili chiusi e non utilizzati della Curia di Palermo sono molti, noi vorremmo utilizzarli, recuperandoli con la nostra stessa opera per poi restituirli alla Chiesa nel momento in cui risaliremo la china della miseria in cui adesso ci troviamo». Scrivono così, in una lettera del 3 novembre, 16 famiglie palermitane sgomberate qualche giorno prima da via Calvi, dove avevano occupato, ma anche risistemato, un edificio. E scrivono direttamente al papa, dopo tre giorni e tre notti passati all’addiaccio davanti Palazzo delle Aquile, sede del Comune, perché l’arcivescovo card. Paolo Romeo non è venuto loro incontro: le giovani coppie avevano occupato uno stabile di proprietà della Curia, in piazza Verdi, disabitato da oltre 15 anni, senza luce e senza acqua, chiedendo al cardinale di poterlo utilizzare, regolarizzando la loro situazione con affitti simbolici fino ad eventuale altra sistemazione e rendendolo abitabile per usi futuri.

«Secondo Tony Pellicane, leader del Movimento dei Senzacasa – si legge sul quotidiano online BlogSicilia il 6/11 – Paolo Romeo, avrebbe chiuso al dialogo intimando di sgomberare pacificamente gli alloggi per evitare di creare ulteriori situazioni poco piacevoli». Dalla Curia solo silenzio, non esiste alcun comunicato ufficiale, ma il diniego sarebbe riconducibile, seguita il servizio di cronaca, ad un non meglio precisato «contenzioso tra la Curia, proprietaria dell’immobile e il precedente affittuario, la Idi Informatica».

I firmatari, che si dichiarano «operai disoccupati», riprendono quanto detto dal papa in visita al centro Astalli per i rifugiati il 10 settembre scorso (a «cosa servono alla Chiesa i conventi chiusi? I conventi dovrebbero servire alla carne di Cristo e i rifugiati sono la carne di Cristo»): «Il patrimonio immobiliare della Chiesa», scrivono, è innanzitutto «stato donato per i poveri e noi vorremmo che non si sprecasse, ma venisse utilizzato e valorizzato per tutti coloro che, come noi, stanno vivendo un momento di grande disagio e di sofferenze». «Non vogliamo elemosine», sottolineano nella lettera, «non tendiamo la mano per carpire la vostra pietà, ma chiediamo che ci venga restituita la nostra dignità di uomini e donne, di padri e madri che hanno voglia di lottare e di lavorare per mantenere i propri figli». «Aprite le porte dei vostri palazzi abbandonati all’incuria – è la frase finale – e noi ve li restituiremo efficienti e abitabili per le povere famiglie come noi!». (e. c.)

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